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 2016  luglio 09 Sabato calendario

NELLA SILICON VALLEY ARRUOLANO ARTISTI

Alla corte rinascimentale dei Medici, a Firenze, i migliori artisti del tempo erano “impiegati” per creare opere anche utili per il prestigio dei loro mecenati. Un meccanismo simile sta fiorendo nella culla americana dell’high-tech, fra la Silicon Valley e la Baia di San Francisco. È il fenomeno degli artist-in-residence, gli artisti ospitati e finanziati da un’azienda che dà loro spazio, tempo e soldi per creare le loro opere.
Tutte le principali imprese tecnologiche californiane hanno lanciato negli ultimi due anni programmi di residenza artistica, da Google a Facebook, da Autodesk a Planet Labs.
È una forma di filantropia sui generis, che punta a ottenere un ritorno sull’investimento: l’idea è che anche gli ingegneri imparino qualcosa dal modo di pensare creativo degli artisti. Lo ha spiegato bene l’artista-venture capitalist di San Francisco Tristan Pollock, che lavora con 500 Startups – il fondo d’investimento e acceleratore di startup più attivo al mondo -, in un recente intervento sul sito VentureBeat specializzato sulle notizie tecnologiche.
Secondo Pollock ogni azienda innovativa dovrebbe ospitare artisti perché «quando metti insieme imprenditori e artisti ottieni fantastici risultati. Un artista immerso nel tessuto di un’azienda, libero di sperimentare, può far emergere opportunità fino ad allora inesplorate. Dai video creati per gli apparecchi mobili alla stampa 3D fino alla realtà virtuale, l’arte sta spingendo in avanti l’industria». E i programmi di residenza artistica «sono essenziali per costruire aziende forti sul piano creativo e capaci di ispirare», secondo Pollock, non importa di che tipo siano, se cioè impiegano artisti con abilità imprenditoriali o semplicemente li ospitano negli spazi di co-working aziendali.
A San Francisco la società di software Autodesk invita gli artisti a lavorare da tre a sei mesi nel suo laboratorio di manifatturadigitale sul Piers, pagandolo- ro uno stipendio e le spese dei materiali necessari alle loro opere. E lì che la designer olandese Anouk Wipprecht ha creato un vestito che trasmette elettricità: per realizzarlo, gli ingegneri di Autodesk hanno aggiunto una nuova funzione al software 123D Make, che è servita alla Wipprecht per tagliare e cucire le placche metalliche componenti del vestito. Finita la residenza al Pier 9, la designer è rimasta a San Francisco come direttrice creativa di Codame Labs, un nuovo studio di ricerca & sviluppo per la collaborazione interdisciplinare fra artisti e ingegneri, stilisti di moda e architetti.
Un anno intero dura invece il programma creative resident di Adobe, la società nota per il Photoshop e i Pdf. Gli artisti selezionati possono restare nel loro studio abituale, devono però andare nella sede dell’azienda a San Francisco una volta ogni tre mesi, dedicare un quarto del loro tempo a viaggiare per partecipare a eventi creativi e soprattutto devono condividere il processo del loro lavoro. In cambio, percepiscono salario e benefit come fossero dipendenti e ricevono il sostegno di mentori in varie discipline. Fra i creativi selezionati perii 2016 ci sono llustr-anima-tor Syd Weiler di Sarasota, Florida, che lavora solo in digitale e Craig Winslow di Portland, Oregon, che lavora in multimedia.
I partecipanti ai Planet Labs ricevono 1.000 dollari al mese e usufruiscono di uno spazio dentro gli uffici dell’azienda dove devono lavorare almeno tre giorni la settimana per tre mesi, interagendo con gli altri impiegati. I candidati nel 2016 hanno risposto a questo annuncio: «Sei un artista unico e motivato? L’esplorazione della scienza e della tecnologia ispira il tuo lavoro? Fai opere che illuminano concetti belli e provocatori? Sei interessato a lavorare a San Francisco con la nostra squadra che fa satelliti e scatta foto dallo spazio per aiutare la vita sulla Terra? Allora fai domanda al nostro programma di arti- st-in-residence». Fra i selezionati, c’e George Zisiadis, artista e designer che vuole farti sorridere – dice – e per Planet labs ha creato “Cosmic Imagination”, un collage di tovaglioli di carta disegnati per invitare i suoi dipendenti a immaginare «che cosa ci può essere di divertente nello spazio».
Anche Google ovviamente ha il suo Lab, «un crocevia di idee, arte e tecnologia», ma lontano da Mountain View: a Parigi, dove gli artisti residenti arrivano da tutto il mondo per lavorare dieci settimane insieme agli ingegneri del Cultural Institute dell’azienda. L’unica condizione è essere nati dopo il 1989, «l’anno del crollo del Muro di Berlino e l’inizio della disponibilità di Internet», spiega 89plus, il progetto fondato da Simon Castets e Hans Ulrich Obrist, partner di Google in questa iniziativa. Le opere create vengono poi esposte nella galleria del Google Cultural Institute e sulla piattaforma online Google Art Project.
Sono disseminate in giro per il mondo, invece, le creazioni incentivate da Facebook. Ogni sede dell’azienda invita gli artisti a realizzare delle opere, che poi rimangono in loco. Il programma ha la sua pagina Facebook con l’hashtag #fbAIR (facebook Artist-In-Residence), dove si possono vedere, fra l’altro 10,000Marks di Geoff Gouveia installato a Los Angeles; la Manhattan Memories Map di Jennifer Maravillas a New York; e il lavoro di Isaac Lin che ricopre le pareti di una scala per tre piani nel quartier generale di Menlo Park.
Emergerà da tutti questi artisti un Botticelli del “nuovo rinascimento”? Ai suoi tempi il pittore fiorentino era stato il più bravo nel doppio, duro lavoro di sedurre i mecenati finanziatori lasciando ai posteri opere di eterna validità. La sfida oggi può sembrare diversissima, ma non lo è. I talenti non hanno i limiti strumentali, con pennelli e scalpelli c’è lo screen del computer a far da tavolozza, e la scienza è una miniera. E se le loro opere saranno apprezzate dai posteri, l’umanità dovrà ringraziare anche le corporation e i Ceo che hanno preso il posto dei Medici, scoprendo i più capaci e meritevoli per gloriarsi del bello, e perché no del redditizio, prodotto grazie alla loro generosità.