Alberto Flores d’Arcais, Affari&Finanza – la Repubblica 11/7/2016, 11 luglio 2016
STANFORD, LA PRIMA UNIVERSITÀ DEL MONDO. 32 NOBEL MA SOPRATTUTTO TANTO BUSINESS
Nel grande campus di oltre tremila ettari si lavora come sempre. In una giornata di luglio che sembra primavera, nei laboratori dove si progettano avveniristiche startup oppure il software per l’auto che si guida da sola, è un giorno come un altro. Nelle strade in mezzo al verde studenti e professori vanno in bicicletta, una piccola folla di reporter è assiepata nella grande aula del Bechtel Center dove tre premi Pulitzer discutono di inchieste e futuro del giornalismo. Anche nelle settimane estive a Stanford le attività non mancano, quasi a voler dare ragione alla classifica pubblicata da Forbes il 5 luglio scorso che ha messo la celeberrima università della Silicon Valley al numero uno tra i “25 Top College” degli Stati Uniti. Come tutte le classifiche anche quella di Forbes può essere considerata arbitraria (in quella tradizionale di U.S. News & World Report è al quarto posto dietro Princeton, Harvard e Yale), ma da alcuni anni questa è considerata la più completa: perché oltre a tenere conto dei parametri più classici (reputazione, ex alunni, costi, premi Nobel) usa diverse altre considerazioni (e dati) che cercano di quantificare i “successi” (o gli insuccessi) di una grande università e soprattutto delle soddisfazioni che seguono – in primo luogo in ambito lavorativo – gli anni della laurea. Una classifica che tiene conto non tanto del “perché scelgo quel college”, quanto piuttosto del “cosa mi ha dato quel college”. Non c’è dubbio che negli ultimi decenni Stanford ha dato molto (e molto ha ricevuto dai suoi ex alunni, per la fama riflessa e per le generose donazioni) in termini di studio, ricerca, invenzioni. Mai come adesso è diventata però un’istituzione che va ben oltre l’essere un semplice campus studentesco (sia pure di prestigio): è ormai da tempo una sorta di colosso, dove oltre che sulla cultura e l’istruzione si investe in settori fondamentali della vita di un paese: come l’economia, la finanza, la politica. Non è un college come gli altri. Quando venne fondato (era il 1885 e fin da subito furono ammesse anche le donne) la California era ancora una terra promessa e Mr. Leland Stanford, ex Governatore e senatore Usa decise di costruirlo per rendere eterna memoria al figlio quindicenne morto di tifo. Una piccola università locale (fino al 1920 era gratis), riuscita a sopravvivere in qualche modo ai primi rovesci finanziari e semidistrutta dal terribile terremoto di San Francisco del 1906. Il primo a credere che quel lontano Far West potesse diventare il motore di una nuova America fu un giovane laureato, ingegnere minerario e quacchero, che molti anni dopo sarebbe entrato alla Casa Bianca e ricordato come il presidente della “economic modernization”. È con Herbert Hoover, presidente mezzo visionario e mezzo pragmatico che negli anni Venti diede il via alla superpotenza Usa (cui oggi è dedicata la famosa torre che svetta nel campus e la prestigiosa scuola di relazioni internazionali) che il college privato – cresciuto in mezzo al migliore sistema pubblico made in Usa che è quello delle varie sedi della University of California (Ucla, Berkeley etc.) – inizia a farsi conoscere. Ma è negli anni Cinquanta che la nuova filosofia di Stanford prende vita, insieme con i primi semi della Silicon Valley: professori e neo-laureati vengono incoraggiati a “starting up”, a fondare le proprie imprese utilizzando e sfruttando il know-how dell’università (fu allora che cominciarono a nascere tutte le più famose società tecnologiche). Come sia andata lo sappiamo tutti. La ‘new economy’ e gli imperi digitali di oggi devono molto a questo college. I due fondatori di Google Sergey Brin e Larry Page hanno studiato qui e qui hanno iniziato il loro sodalizio, Steve Jobs – che non si è mai laureato – viveva da queste parti e frequentava l’ambiente, Mark Zuckerberg è l’ennesimo nobile dropout di Stanford. L’università vanta 32 premi Nobel (venti ancora in vita), annovera tra i suoi ex alunni uomini e donne diventati famosi nei campi più diversi: giudici della Corte Suprema attuale come Stephen Breyer, Arthur Kennedy e lo scomparso William Rehnquist, uno scrittore come John Steinbeck, vari attori e attrici, politici come Condoleezza Rice. Più le centinaia di “cervelli” reclutati in ogni angolo d’America e del mondo che da anni rappresentano il meglio che ci sia nel campo scientifico e dell’innovazione. Studio e business è un binomio che a Stanford non è mai mancato e che ha raggiunto tra gli anni Ottanta e Duemila le vette più alte. E negli ultimi anni, pur non facendo parte della élite dell’Ivy League (le esclusive università della East Coast dove un tempo tutti i rampolli delle grandi dinastie Usa dovevano andarsi a misurare) l’università della Silicon Valley è diventata la più richiesta per chi vuole sentirsi parte di un mondo all’avanguardia. Poco più di un anno fa è iniziato un altro ambizioso programma, il Global Innovation Leadership. Per circa 8mila dollari ai partecipanti (manager di grande aziende come Samsung, Nissan, Philips, Konica Minolta, ma anche scienziati, imprenditori e ricercatori) viene insegnato come – attraverso informazione e tecnologia – si possa rivoluzionare il mondo del lavoro. Il periodico finanziario Forbes ha promosso Stanford università numero uno
Alberto Flores d’Arcais, Affari&Finanza – la Repubblica 11/7/2016