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 2016  luglio 11 Lunedì calendario

SE IN CIELO COMANDA UN PADRONE STRANIERO

Il braccio di ferro che ha opposto nelle scorse settimane i vertici di Alitalia e le organizzazioni sindacali, culminate con lo sciopero di mercoledì scorso, ha un sapore antico. Di quando, cioè, la compagnia di bandiera attraversava una dietro l’altra le turbolenze di mercato, con gli aerei in livrea tricolore costantemente in perdita, e i bruschi atterraggi interni, con il conflitto quasi permanente tra piloti, assistenti di volo e management, spesso risolto con l’oneroso intervento dello Stato. A suo tempo l’arrivo di Etihad fu salutato come il cavaliere bianco che avrebbe portato la compagnia stremata dalle perdite verso un più solido equilibrio di bilancio, anche se accompagnato da sacrifici iniziali. Ma era chiaro sin dall’inizio che la nuova società avrebbe impostato il modello di business permanente su un percorso tipicamente anglosassone: meno spese, più ricavi, zero privilegi.
Ora alcuni nodi vengono al pettine. Esaminando il bilancio della compagnia l’ad Cramer Ball ha iniziato a demolire il reticolato di prassi ereditate dalla vecchia Alitalia, come quella di non far pagare al personale di volo i passaggi aerei. Nel mirino è finito il mancato rispetto di una regola interna stabilita nel 2009, la quale prevede che il personale di volo non debba avere una residenza lontana più di 50 chilometri dalla base di armamento. Ball si è accorto che spesso posti paganti sono occupati gratuitamente da personale Alitalia che raggiunge Roma o Milano da località ben più lontane di quanto stabilito dalla norma. Con crescente irritazione di quelli che invece hanno cambiato residenza per ottemperare alle nuove regole e di quelli che, non facendo parte della élite di bordo, il luogo di lavoro comunque lo hanno sempre raggiunto a proprie spese.
I sindacati attaccano: concezione medievale dei rapporti sindacali, violati diritti primari e morali. L’azienda replica: i passaggi aerei di servizio rimangono a nostro carico, quelli gratuiti senza motivazioni no; non esistono in nessun’altra compagnia al mondo. Le spese per questi spostamenti sono comunque una goccia nel mare dei conti della compagnia; è più una questione di principio e di demolizione di uno status che di sostanza. Alla fine un accordo si troverà. Non sono invece una questione di principio i 500mila euro al giorno che Alitalia continua a perdere, e che spera presto di azzerare grazie al rilancio delle rotte internazionali e ai promessi aiuti sul fronte della promozione. Magari ora con l’arrivo del ministro Calenda allo Sviluppo economico potranno finalmente essere sbloccati. L’importante è fare presto e con decisione. Perché anche se arrivati di recente, gli azionisti di Etihad hanno memoria sufficiente per ricordare che dal 1974 al 2014 (dati Mediobanca) a causa di inefficienze manageriali e rigidità sindacali Alitalia è costata al settore pubblico e alla collettività 7,1 miliardi di euro. Difficile che il padrone straniero voglia fare il bis.
di FABIO BOGO, Affari&Finanza – la Repubblica 11/7/2016