Lanfranco Vaccari, SportWeek 9/7/2016, 9 luglio 2016
LO SPORT USA ABBRACCIA LA CAPITALE DEI VIZI
Il mondo, anche quello delle scommesse, è cambiato e così l’anatema contro la capitale di vizi e tentazioni è stato revocato. Il grande sport Usa sbarca a Las Vegas, finora evitata nel terrore di mettere in pericolo l’integrità del gioco. Lo fa attraverso la National Hockey League (Nhl), che ha aggiunto alle sue 30 una franchigia di espansione, ancora senza nome, a partire dal 2017-18. In fondo, 8 giocatori dei Chicago White Sox vendettero le World Series del 1919, 12 anni prima che il Nevada legalizzasse il gioco d’azzardo. Pete Rose, tra i più grandi giocatori nella storia del baseball, non ebbe bisogno di Las Vegas per scommettere fra gli 8 e i 16 mila dollari al giorno nel 1987, quand’era manager dei Cincinnati Reds. E, fra 2005 e 2007, l’arbitro Tim Donaghy si appoggiò a bookmakers collegati alla malavita della Pennsylvania per produrre quella che l’allora commissioner David Stern definì “l’ora più nera della Nba”.
Ormai il gioco d’azzardo permea la cultura popolare: 19 stadi Nfl distano meno di 30 km da un casinò. Attraverso siti offshore si possono piazzare scommesse su qualsiasi avvenimento sportivo americano con lo smartphone: un buco nero in cui finiscono ogni anno fra gli 80 e i 380 miliardi di dollari, a seconda delle stime (a Las Vegas sullo sport se ne puntano 4 l’anno). E poi ci sono le fanta-leghe, in un limbo fra gioco d’azzardo e d’abilità, ma che consentono agli appassionati di mettere soldi sulle statistiche dei singoli giocatori in ogni partita.
Così, le grandi leghe hanno fatto proprio il principio attribuito a Giulio Cesare, «Se non puoi battere il tuo nemico, alleati con lui». Un paio d’anni fa, Stern scrisse un articolo per il New York Times, sostenendo che il Congresso dovrebbe rivedere la legge proibizionista del 1992 e «portare le scommesse alla luce del sole, in modo da monitorarle e regolarle». Nel frattempo la Nba ha fatto un accordo con FanDuel, mentre Mlb e Nhl hanno scelto DraftKings, le due maggiori aziende nel settore Daily Fantasy Sports. È stato tuttavia l’hockey a rompere il tabù di Las Vegas. Infranto il sortilegio che ne faceva la più grande città Usa senza uno dei 4 sport maggiori, ora molti scommettono (che altro?) su una mossa del football. Mark Davis, proprietario degli Oakland Raiders, aspetta solo che venga costruito uno stadio per trasferirsi lì, mentre la contea è disposta a investire 750 mln di dollari quando avrà la certezza che la Nfl approva il trasferimento.
Nell’attesa, non è detto che sia un successo. L’esperimento dell’hockey nel deserto con gli Arizona Coyotes non è incoraggiante e neppure i precedenti di sport professionistici minori a Las Vegas. Tre tentativi nell’arco di 20 anni con l’Arena Football League sono falliti per l’esiguo numero di spettatori: prima gli Sting, poi i Gladiators e l’anno scorso gli Outlaws. Nel baseball, gli spalti dei 51s, franchigia Triple-A affiliata ai NY Mets, sono fra i meno frequentati della Pacific Coast League. E i Wranglers hanno resistito una decina d’anni nella Echl, il terzo livello dell’hockey americano, per essere poi sciolti due anni fa: gli spettatori erano nella media della lega ma, scaduto il contratto di affitto con il vecchio palazzetto, non ne hanno trovato uno nuovo.