Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 10/7/2016, 10 luglio 2016
SCUSI, DICE A NOI?
Noi vorremmo, col caldo che fa, andare via qualche giorno. E non è che non ci proviamo. Ma, mentre già siamo lì sulla porta con i bagagli in mano, veniamo regolarmente raggiunti da un avvertimento del presidente del Consiglio, che ci ammonisce a non fare ciò che ha appena fatto lui e che, per quanto possiamo autostimarci e anche sopravvalutarci, esula proprio dalle nostre possibilità. Appena apre bocca, si leva da tutto il Paese una domanda, all’unisono: “Scusi, Renzi, ma dice a noi?”. E così riponiamo la valigia nell’armadio e torniamo a dedicare le nostre cure a questo ragazzo così nervoso che – lo dicono anche i sanitari – non va lasciato solo un istante. L’altro giorno, per dire, ha auspicato “una discussione sincera, e anche molto franca”. Supponendo che dicesse a noi, ce lo siamo subito segnato, pur non riuscendo a cogliere la differenza fra una discussione sincera e una discussione franca. “Occorre – ha poi aggiunto– aprirsi in modalità open, aperta”. E anche questo ce lo siamo appuntato, provando a immaginare come sarebbe aprirsi in modalità closed, chiusa. Mentre comunque, per obbedienza, ci aprivamo in modalità open, aperta, senza fare discussioni, ci è giunto un ulteriore monito: “Bisogna tenere la politica fuori dalle banche”. E lì il pensiero è corso difilato a Pier Luigi Boschi, promosso vicepresidente di Banca Etruria all’indomani della nomina della figlia a ministro, con i balsamici effetti a tutti noti. E ci è parso di sentire alcune migliaia di correntisti (salvo quelli nel frattempo suicidatisi) urlare un filino alterati: “Scusi, Renzi, dice a noi?”.
Voci che si accavallavano al nuovo vibrante ammonimento del premier: “Chi aveva responsabilità di governo poteva fare un intervento per salvare le banche”, prima che a fine 2015 scattasse il divieto del famigerato bail in. Giusto, se non fosse che nel 2014-2015 il governo che poteva salvare le banche era il suo. E che a votare a Strasburgo e a Roma il famigerato bail in, è stato il suo Pd. Scusi, Renzi, dice a noi? Nemmeno il tempo di pensarlo, ed ecco un altro ditino alzato: “Nessuno dice qual è la domanda del referendum, ma lo si trasforma in un derby personale”. Sante parole: bisognerebbe proprio dire cosa contiene la “riforma” che voteremo a ottobre. E chi dovrebbe dirlo? I Comitati del No, che in tre mesi hanno avuto ben 79 secondi di spazio sui tg della Rai renziana. Non certo Renzi, Boschi e Napolitano, che nelle decine di ore a essi riservate erano troppo impegnati a terrorizzarci con scenari apocalittici in caso di vittoria del No.
E chi sarà mai che trasforma il referendum in derby personale, ripetendo che, se vince il No, se ne va a casa, poi cade il governo, poi il pil, poi l’occupazione, poi la produzione prima che l’Italia s’inabissi nel Mediterraneo? Dev’essere quello Zagrebelsky con quei putribondi gufi dei costituzionalisti e del Fatto. Infatti ieri Renzi ci ha avvertiti che “il referendum non si vince evocando la paura del No, ma con un dibattito approfondito sul contenuto delle riforme”. Tipo a Ballarò o a Virus, appena chiusi dall’apposito Campo Dall’Orto? No, meglio dalla D’Urso e da Maria. Sempre a proposito dei farabutti che evocano la paura del No, ecco un’altra rasserenante notazione del premier: “All’estero temono i rischi di un’eventuale vittoria del No, cui s’è aggiunto in queste ore D’Alema”. Chi è vicino alla Merkel, a Hollande e a Juncker non ne può più: è tutto un “François, e ora come la mettiamo col referendum d’ottobre?”, “Non mi dire, Angela, non ci dormo la notte”, “Oddio, Jean-Claude, hai saputo che s’è aggiunto in queste ore D’Alema? Questa proprio non ci voleva”. Non mancano i moniti sull’Italicum, affidati al ventriloquo del giorno. Ieri toccava al vice Guerini: “Se ci saranno ipotesi in campo concrete che portano a eventuali miglioramenti, ci confronteremo”. E subito nelle fabbriche, nei supermercati e nelle botteghe è scattata unanime l’autocritica dei destinatari della rampogna, cioè i metalmeccanici, le commesse e gli artigiani tutti mortificati: “È chiaro, il compagno Guerini ce l’ha con noi. In effetti, cosa abbiamo fatto per agevolare ipotesi concrete e soprattutto in campo, che portino a eventuali miglioramenti di una legge entrata in vigore un mese fa, per aiutare il Pd e i centristi, che l’anno scorso l’approvarono entusiasti come la migliore e la più invidiata del mondo, a modificarla?”.
Intanto Renzi trovava il tempo per bacchettarci pure sulle infiltrazioni mafiose a Expo: “Bisogna bloccare i ladri, non le grandi opere”. Ora, furono le linee guida del suo governo e del leggendario prefetto Tronca a escludere dai controlli antimafia gli allestimenti, spalancando le porte a Cosa Nostra. Ma è chiaro come il sole che Renzi non parla a se stesso, a Tronca, a Sala e men che meno a Cantone. Dice proprio a noi, che in effetti non abbiamo fatto abbastanza per bloccare ladri e mafiosi. Colpa nostra anche il decreto attuativo mai fatto dal ministro dell’Interno per la legge sulle unioni civili. Il nostro Matteo l’ha detto ieri papale papale al gay malato che teme di morire senza lasciare la pensione all’uomo che ama da 40 anni: “Tempi rapidi per il decreto attuativo”. Ecco, non ci avevamo proprio pensato, al decreto attuativo. Domani, appena riapre il Viminale, ci recheremo negli uffici preposti e rimedieremo, con tante scuse al governo per non aver provveduto prima. Soprattutto ad Alfano, che ha già tanto da fare con le Poste. E pazienza, quest’anno niente ferie. Tocca fare tutto a noi. Basta lasciarlo solo in casa o distrarsi un attimo e, nervoso com’è, sarebbe capace di rinfacciarci pure gli 80 euro e il Jobs Act. Il birbantello.
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 10/7/2016