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 2016  luglio 09 Sabato calendario

NORVEGESI D’ASSALTO

Una pesantissima mimetica indosso, testa e volto nascosti da elmetto e maschera, Janne (nome di fantasia per esigenze di sicurezza) è sdraiata da mezz’ora col corpo in tensione sotto una Jeep, pistola puntata e sguardo fisso, come quello delle sue compagne di pattuglia. Stanno presidiando un posto di blocco, proteggendolo dal nemico che si aggira nelle vicinanze. Sopra Rena, una distesa di foreste infestate dai moscerini dove è collocato uno dei quartier generali dell’esercito norvegese, il sole si affaccia a sprazzi, ma quando c’è non scalda meno che a Palermo. Janne controlla tra i tronchi movimenti sospetti, poi appena ci sente sopraggiungere si volta di scatto.
«Puoi interrompere l’esercitazione per parlare con una giornalista?», le chiede Rine Veberg, il tenente che guida il pool dei suoi istruttori. Janne abbassa l’arma, si alza, sfila l’elmetto: spalle erculee, bionda, occhi chiarissimi e pelle di luna arrossata dalla fatica, ci stringe la mano. «Janne, cosa farai una volta finito il corso?». «Il cecchino. Nel Panserbataljonen, su al Nord, a Setermoen. Inizio a settembre».
Janne fa parte delle Jegertroppen. Sono 11, e sono l’unica squadra di Forze speciali esclusivamente femminile tra Europa e America. Nell’ultimo decennio molti eserciti hanno aperto alle donne la possibilità di arruolarsi e di ricoprire ogni incarico. Da noi nelle Forze armate la parità di genere vige dal 2000, ma le donne sono appena il 6,3% (il 3 tra gli ufficiali, il 2,2 tra i sottufficiali, il 18,7 tra i graduati e la truppa ma ben il 46,7 tra gli allievi, secondo il Rapporto Esercito 2015), mentre quelle impegnate in zone di conflitto sono ancor meno e nelle Forze speciali si arriva a zero. Gli Stati Uniti hanno aperto alle donne ogni possibilità d’impiego al fronte a dicembre, mettendo in atto forti pressioni contro l’atteggiamento misogino dei soldati, ma a parte il fatto che «non abbiamo visto frotte di ragazze fare la fila per arruolarsi», come ha commentato il generale Donna W. Martin, vice comandante di Fort Knox, le Forze speciali non sono ancora state coinvolte nel cambiamento. La ragione è sempre la stessa. In tutti i Paesi si è scelto di mantenere nelle prove di ammissione gli stessi standard maschili. Nessuna donna, fino a oggi, è stata in grado di superare gli eccezionali test fisici a cui gli appartenenti a queste squadre d’élite si devono sottoporre (in verità con l’eccezione di alcuni battaglioni “misti” dell’esercito israeliano, ma lì la parità di genere in divisa è antica quanto la storia del Paese).
E allora perché proprio i norvegesi, che hanno un esercito di soli 17mila soldati in servizio permanente (più 8mila di leva e 45mila riservisti), hanno iniziato ad avventurarsi in questo terreno inesplorato? Il piano del Regno è in verità ancor più ambizioso, e punta a una cospicua presenza femminile in Marina, Aviazione, Esercito, e perfino nella Guardia Reale. Si era parlato di un 20% di donne entro il 2020, ma l’obiettivo è stato, sembra, già raggiunto quest’anno. Con una mossa decisiva: se fino al 2015 la leva di 12 mesi era obbligatoria per i maschi diciottenni idonei, nel 2014 il Parlamento ha varato una legge che la estende anche alle ragazze. La prima tornata di coscritte entrerà in caserma tra pochi giorni.
Tutti questi sforzi sono frutto di un progetto preciso. Un Paese che ha accantonato per le future generazioni 375 miliardi di dollari dalle vendite del petrolio del Mare del Nord evidentemente ci tiene a costruire il futuro con cura. «L’esperienza in Iraq, e poi in Afghanistan, con la Nato, ci ha insegnato che senza donne opportunamente addestrate in molti Paesi diventa impossibile entrare in contatto con la popolazione locale»: Frode Kristoffersen è il pluridecorato comandante delle Forze Speciali norvegesi. Seduto nel suo ufficio nella moderna base di Rena (un paio di ore d’auto a nord di Oslo, questa è anche la cittadina dove Anders Breivik ha preparato le bombe con cui ha messo a ferro e fuoco la capitale per poi concludere con la strage di Utoya), parla piano. Accenna un vago sorriso e tiene lo sguardo fisso sul suo interlocutore («La freddezza, il controllo, è la prima dote dei nostri uomini», ci dirà poi Vegard Finberg, il portavoce del Capo di Stato Maggiore). «Le ragazze che stiamo formando stanno facendo grandi cose», riprende Kristoffersen. «Anche quando, a fine addestramento, non vengono subito spedite in missione ma scelgono ulteriori percorsi formativi o entrano in altri battaglioni, sono in grado di alzare il livello medio delle scuole e delle unità a cui arrivano. Abbiamo dimostrato che se le donne seguono un programma fatto per loro sanno raggiungere risultati eccezionali. Sono tenaci e caparbie, si pongono traguardi altissimi».
L’operazione Jegertroppen è partita nel 2014: 6 mesi prima il colonnello Eirik Kristoffersen, allora capo delle Forze Speciali (ha passato quell’anno il testimone al fratello Frode), era stato “sfidato” durante un seminario ministeriale sulle questioni di genere nell’esercito a creare un’unità di sole donne. «Pochi mesi dopo erano pronti i fondi, due medici, un fisioterapista e tre istruttori dedicati», spiega il tenente Rine Veberg, sguardo da sirena e fisico da paracadutista, scelta a guida del plotone tra uno sparuto gruppo di ufficiali donne che avevano già missioni internazionali nel curriculum. Il patto era andare avanti fino al 2016, dopodiché si sarebbero tirate le somme. I tre anni scadono ad agosto, mentre l’ultima squadra da formare entrerà in caserma quest’estate e finirà 12 mesi dopo: «Ma siamo quasi sicuri che andremo avanti», anticipa Kristoffersen.
Trovare le volontarie per le Jegertroppen è stata una procedura lineare: a 4.000 ragazze in possesso dei requisiti necessari l’esercito ha spedito a casa una lettera in cui si illustrava la possibilità. Il sito e i social network militari si sono attivati ed è partita una campagna nelle scuole. Risultato: il primo anno 319 risposte, ma solo in 10 sono riuscite a superare i severissimi criteri di ammissione (174 domande, 11 ammesse nel 2015; 220 domande, 10 ammesse nel 2016).
La resistenza fisica al training è il vero punto. Janne, 26 anni, quando è stata reclutata oltre a un passato agonistico nello sci nordico (quasi il 90% delle Jegertroppen sono state sportive a livello semi-professionistico) aveva già completato la Scuola di polizia. Ma era nulla, in confronto: con le Forze Speciali lei e le altre hanno dovuto camminare ogni giorno per decine di chilometri trasportando dai 40 ai 50 kg di attrezzatura. Hanno digiunato a lungo per capire quale era il loro limite, hanno messo in atto scene di guerriglia urbana e test di sopravvivenza a temperature artiche.
«Gli allenamenti per i primi 6 mesi sono identici a quelli previsti per i paracadutisti», spiega Ida (anche questo è un nome di fantasia), 19 anni, visino con lentiggini su un corpo snello che fai fatica a credere così tenace. Ida era una campionessa di sci di fondo, ha saputo al liceo di questa possibilità e si è arruolata, «un modo per fronteggiare un’altra sfida», racconta. A giorni, finito l’anno con le Jegertroppen, entrerà in Accademia. Il livello della “sfida”, come lo chiama Ida, è un pacchetto che comprende, con la gloria, «talloni consumati fino alla carne e fratture del bacino, ernia del disco e usura delle ginocchia», aggiunge il tenente Veberg con un sorriso. «Gli uomini all’inizio sembrano più solidi, mentre le donne sono più soggette a cedimenti. Ma la forza e la resistenza crescono con l’allenamento e dopo qualche mese il rendimento fisico è pari. Le donne però portano in dote abilità che gli uomini non possono apprendere: sono più attente ai dettagli e affidabili, oltre che più capaci di reagire alle difficoltà», aggiunge il capitano Vegar Harviken, responsabile del training di tutte le Forze Speciali.
L’interesse internazionale per questa squadra cresce di mese in mese. Il colonnello Kristoffersen racconta: «Un anno fa, mentre ero in visita negli Usa allo Special Operation Command di Tampa, in Florida, mi hanno chiesto a sorpresa una relazione sulle Jegertroppen. So che sia gli inglesi che gli svedesi si stanno muovendo per costruire pattuglie simili a questa». Un altro dei passi verso la gender equality partiti dal profondo Nord.