Stefano Vecchia, Avvenire 10/7/2016, 10 luglio 2016
SINGAPORE NON RUGGISCE PIU’
Anche la tigre singaporeana non ruggisce più. Chiari i segnali di stasi, se non di regressione. La crescita economica al 2% nel 2015 (contro il 3,3% del 2014 e il 6,2 del 2011), la produzione industriale (in negativo del 5,1% contro il +2,7% del 2014) e il mercato borsistico in contrazione del 14,3% sull’anno precedente indicano tra altri parametri una situazione poco confortante, anche se relativamente meno inquieta di altre potenze asiatiche. A giocare a favore resta una economia diversificata, con un consumo interno consistente e benefici agli investimenti che consentono un turn over di iniziative a alimentare produzione e consumi.
Un segnale di disagio arriva dalle ristrutturazioni aziendali, con un crescente numero di licenziamenti, in particolare nei settori manifatturiero e dei servizi professionali, che più risentono del crollo dei prezzi petroliferi e del rallentamento della cantieristica navale e dell’edilizia. Tendenza degli ultimi mesi, poi, anche le prime ristrutturazioni nel commercio all’ingrosso e nei servizi finanziari.
Il tasso ufficiale di disoccupazione – bassissimo – per i 5,5 milioni di residenti resta sostanzialmente nel range dell’ultimo decennio, ma le modalità attuali delle ristrutturazioni potrebbero avere conseguenze sulla stabilità, centrale nel sistema-paese fortemente guidato e insieme fondato su consenso tra parti sociali cementato dal benessere diffuso.
Per i dati del ministero del Lavoro diffusi il 20 aprile, nel 2015 in 15.580 sono rimasti senza lavoro nella città-stato, con un consistente incremento dai 12.930 del 2014. A aggravare la situazione, la difficoltà di un re-impiego, in particolare per gli ultra-quarantenni, il 65% del totale. Solo il 66% sono in grado di ritrovare un posto di lavoro ma con tempi di attesa sempre più lunghi e livelli di riassunzione sovente inferiori. Preoccupa la tendenza alla precarizzazione di professionisti, manager, alti gradi impiegatizi e tecnici, ancor più se stranieri. Anche questo in controtendenza rispetto al passato in cui il massiccio arrivo di forza lavoro esperta dall’estero alimentava impieghi, produttività, consumi locali e – come controindicazione – costi di abitazioni e servizi.