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 2016  luglio 09 Sabato calendario

AFFARI SUI VIRUS, COSA RESTA DELLE ACCUSE ALLA SCIENZIATA CAPUA

Per Ilaria Capua, veterinaria di fama mondiale, eletta deputata con Scelta Civica nel 2013, la vicenda giudiziaria si è conclusa, ma altri tre processi devono ancora stabilire cosa è successo davvero. Capua — che è stata responsabile del Centro di Referenza Nazionale per l’Influenza Aviaria negli anni in cui l’Italia fu colpita dall’influenza del pollame — è stata oggetto, con altre 40 persone, di una lunga indagine della Procura di Roma, per un presunto traffico illecito di virus aviario teso a favorire due compagnie farmaceutiche, la Mérial (del colosso Sanofi) e la Fort Dodge (di cui era manager Richard Currie, marito della Capua, anche lui coinvolto nell’indagine, ora prosciolto).
La sentenza del giudice per l’udienza preliminare, Laura Donati, il 5 luglio proscioglie tutti i 12 chiamati in udienza al Tribunale di Verona. Per l’accusa di tentata epidemia, reato punibile con l’ergastolo, il pm Maria Beatrice Zanotti aveva già chiesto il non luogo a procedere, accolto dal giudice dal momento che “il fatto non sussiste”, si legge nelle motivazioni. Il pm aveva chiesto il processo per gli altri due reati non prescritti: associazione per delinquere e concussione, a carico anche di Ilaria Capua. Nella sentenza, che il Fatto ha letto, si legge che, anche per quanto riguarda l’associazione, il fatto non sussiste. Il giudice ha derubricato la concussione a induzione indebita, che risulta già prescritta. Questo è l’unico reato in prescrizione per il quale, si legge nella sentenza, ci sono validi elementi di prova a carico della Capua (e di Stefano Marangon, allora direttore sanitario dell’Istituto Zooprofilattico di delle Venezie).
Dalla sentenza emerge anche che, per quanto riguarda un traffico di virus aviari illecito condotto da manager della Mèrial attraverso l’Italia, “il fatto sussiste”. Armando De Zuani, uno dei legali di Ilaria Capua, spiega al Fatto che “non avrebbero avuto difficoltà a dimostrare l’insussistenza dell’accusa (a carico di Capua) in un eventuale dibattimento”. Per farlo, però, era necessario che gli imputati rinunciassero alla prescrizione, ma non lo hanno fatto. L’inchiesta coordinata dalla Procura di Roma e svolta dai carabinieri del Nas, ha riguardato un presunto traffico illecito di virus aviari collegato all’influenza dei polli che ha devastato gli allevamenti del Nord-Est italiano tra 1999 e 2003 e contagiato 7 persone (secondo l’Istituto Superiore di Sanità svilupparono una congiuntivite, poi guarita). L’influenza dei polli comportò l’abbattimento di 16 milioni di capi.
Prima che Ilaria Capua, nel 2000, mettesse a punto una nuova strategia vaccinale, il “Diva”, non era legale utilizzare vaccini contro l’influenza nel pollame, perché le vaccinazioni non avrebbero permesso di distinguere i capi infetti, ma asintomatici, da quelli vaccinati. Cosa possibile grazie al Diva. E infatti l’Italia viene autorizzata — unico caso in Europa — a vaccinare il pollame ogni anno, fino al 2007. Prima del 2000, l’unica misura di contenimento concessa era l’abbattimento di tutti i capi. Nel 1999, riporta l’informativa dei Nas, la Mérial produce un vaccino illegale contro il ceppo aviario H7N1 grazie a un ceppo diverso, l’H7N3, di origine pachistana.
Venduto, secondo gli investigatori, da Ilaria Capua a Mérial. Il vaccino viene poi commercializzato illegalmente in Italia, sempre secondo l’informativa. I carabinieri del Nas sorprendono veterinari che vaccinano illegalmente in un allevamento del Nord-Est. Le intercettazioni nell’informativa suggeriscono che si tratti proprio del vaccino Mérial. Due dirigenti dell’azienda dicono che il ceppo sarebbe stato comprato a Padova: “Lo pagai profumatamente come tutti gli altri ceppi che abbiamo comprato da quella…”. Secondo il giudice, invece, tale ceppo “non ha nulla a che fare con il virus H7N3 di origine pachistana che sarebbe stato oggetto di mercimonio.” Il fatto non sussiste.
Il reato per cui ci sarebbero elementi di prova a carico della Capua e di Stefano Marangon, riguarda le pressioni nei confronti di una ditta olandese, la Intervet, per l’acquisto del test Diva. Stando all’informativa, Capua e Marangon “costringevano i rappresentanti della ditta a promettere loro elevate somme di denaro sotto forma di royalty, finanziamenti di corsi all’estero e progetti di ricerca, per la stipula del contratto finalizzato all’acquisto del test Diva”. Stando alla sentenza, le intercettazioni tra Capua, Marangon e i manager della Intervet “sono significative per ritenere che si siano effettivamente esercitate delle pressioni sulla società olandese.” Il gup ha però derubricato il reato a induzione indebita, prescritta.
Invece per Paolo Candoli, manager della Mérial che secondo l’informativa avrebbe poi intrattenuto relazioni commerciali con la Capua, il gup accerta come “fatto sussistente” la spedizione in Dhl di un virus aviario altamente patogeno dall’Arabia all’indirizzo italiano di Candoli. Il virus viene conservato nel suo frigo, a casa. Il fatto emerge anche in un’inchiesta condotta dalle autorità federali americane su un traffico di virus aviari tra Arabia, Italia e Usa. L’inchiesta americana, contrariamente a quanto dichiarato dalla Capua al Corriere della Sera, porta alla condanna di otto persone. Il virus tenuto in frigo da Candoli sarebbe poi servito per la produzione illegale di un vaccino Mérial venduto in Arabia. Nel 2005, le autorità Usa segnalano il traffico alle autorità italiane. Parte un’indagine che genera 20 mila pagine. Il rinvio a giudizio chiesto dal pm Capaldo si è tradotto, su richiesta della difesa, nello spacchettamento del processo in quattro tronconi: Roma, Padova, Pavia e Verona. La Capua ha dichiarato al Corriere che non è mai stata sentita dal pm se non nel 2007, “ma per un’altra faccenda”. Capua in realtà si presenta spontaneamente al pm nel 2007 e, come risulta dal verbale dell’interrogatorio letto dal Fatto, discute dell’indagine. Nel 2014, alla chiusura dell’istruttoria, viene offerta la possibilità agli imputati di essere interrogati, ma preferiscono non essere sentiti.
Ilaria Capua, nota per non aver mai accettato di brevettare le sequenze genetiche dei virus influenzali aviari, è appena partita per gli Usa dopo un’offerta dell’Università della Florida e per ricominciare una nuova vita, ha dichiarato. L’informativa dei Nas riporta però che già nel 2006, in una telefonata alla madre, la Capua parla già di un’offerta di lavoro ricevuta proprio da una Fondazione della Florida. “La stessa fa osservare – si legge – che l’idea della fondazione è un problema in quanto non ha fini commerciali mentre attualmente lei ha una parte attiva e una buona attività commerciale per la vendita di reagenti diagnostici che le consentono di guadagnare in un anno 700 mila euro”.
di Laura Margottini, il Fatto Quotidiano 9/7/2016