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 2016  luglio 09 Sabato calendario

A CHI TOCCA TOCCA

Capita da sempre ai migliori magistrati di venire dipinti del colore politico opposto a quello del loro indagato o imputato di turno. E di essere criticati o elogiati a seconda di chi mettono sotto inchiesta o processo. Anche le toghe, ovviamente, hanno le proprie idee politiche. Votano chi a destra, chi al centro, chi a sinistra. Ma, siccome il loro dovere è l’imparzialità, cioè l’applicazione della legge a tutti a prescindere da simpatie o antipatie, devono lasciare le loro idee politiche fuori dall’ufficio e manifestarle altrove. Così come le convenienze. A Palermo, nel pool antimafia degli anni 80, convivevano il progressista Falcone e il conservatore Borsellino. Idem negli anni 90 nella Procura di Caselli: una miriade di pm delle più diverse estrazioni culturali. Ma, quando si imbattevano in un indiziato di mafia, non lo giudicavano in base alle sue idee: solo in base alle prove a carico o a discarico. Lo stesso accadde a Milano, nel pool Mani Pulite che scoperchiò Tangentopoli, mirabile sintesi di conservatori (Di Pietro e Davigo), “liberal” (Borrelli) e progressisti (D’Ambrosio, Colombo e Greco). Quando parlavano di politica, non andavano d’accordo, ma quando s’imbattevano in un tangentaro lo sbattevano dentro senza discussioni. Perché non esistono imputati di destra o di sinistra: solo colpevoli o innocenti.
Eppure, in un Paese inquinato dalla partitocrazia e dalla partigianeria, che non riesce più neppure a immaginare figure terze e super partes, i migliori magistrati passano da destra al centro a sinistra e ultimamente anche nel campo dei 5Stelle, o del “populismo” antipolitico, a seconda del partito del loro indagato o imputati del momento. La stessa sorte tocca a chi tenta di fare un giornale libero. Anche noi giornalisti avremmo il dovere dell’imparzialità, che non vuol dire passività, indifferenza, ignavia. Imparzialità significa dire come la si pensa una volta per tutte e poi applicare imparzialmente i propri criteri di giudizio a tutti, nessuno escluso, senza simpatie o antipatie. E dare tutte le notizie, nessuna esclusa. Dopodiché ogni giornalista ha le sue idee politiche (almeno si spera) e, se vuole, le esprime quando scrive un commento, oltreché quando va a votare. Ma, quando gli arriva una notizia, non si domanda a chi conviene o non conviene. Si preoccupa soltanto di verificarne l’autenticità e l’interesse pubblico. Poi la scrive, accada quel che accada. Non esistono notizie di destra o di sinistra, di centro o grilline. Solo notizie vere e notizie false.
Le loro conseguenze politiche o finanziarie non sono un problema di chi le pubblica. Chi si domanda cui prodest (a chi conviene) ciò che scrive ha già smesso di essere un giornalista ed è già diventato qualcos’altro. Eppure, come i magistrati, anche i giornalisti imparziali vengono spesso fraintesi, in un Paese dove nessuno fa più niente per niente e non si riesce a concepire che qualcuno faccia qualcosa solo perché è suo dovere farla. “Omnia munda mundis, omnia sozza sozzis”, dice Massimo Fini. Da quando è nato sette anni fa, il Fatto è stato etichettato via via come l’organo delle Procure, di Di Pietro, di Ingroia, della sinistra radicale, dei 5Stelle e persino di Renzi. Poi abbiamo criticato – ogni volta che ci pareva lo meritassero – diversi pm, Di Pietro, Ingroia, la sinistra radicale, il M5S e Renzi. Ma l’etichettatura continuava da chi proprio non si rassegna all’idea di un giornale imparziale. Ora ci divertiamo un mondo a leggere come vengono schedate non solo le opinioni, ma persino le notizie del Fatto. Scriviamo che Giachetti in tv ha liquidato come “due casaletti” un villone con piscina a Subiaco: ecco la prova che tiriamo la volata alla Raggi. Poi scriviamo che la Raggi s’è dimenticata di dichiarare un incarico all’Asl di Civitavecchia e raccontiamo il conflitto nei 5Stelle che l’ha vista prevalere sul rivale De Vito: e chi ci aveva schedati come l’organo del M5S va fuori di testa. Ora raccontiamo una strana guerra di dossier anti-Renzi, combattuta da personaggi talmente ambigui che ancora non si capisce se stiano facendo il gioco del premier o lo vogliano spodestare. E chi ci considera la punta di lancia dell’antirenzismo dà di matto: ma come, il giornale più antigovernativo rivela i dossier sul premier?
Tranquilli, ragazzi: siamo solo un giornale libero che pubblica notizie. E continuerà a farlo, senza rendere conto a nessuno se non ai lettori. A prescindere da chi se ne giova. La “linea politica” (che coincide non con questo o quel partito, ma con la Costituzione) la esprimiamo nei nostri commenti. Uno dice o fa cose in linea col nostro pensiero? Applausi. Uno dice o fa cose distanti dal nostro pensiero? Fischi. Perciò applaudimmo Renzi quando diceva cose condivisibili e lo fischiammo quando, una volta al governo, fece l’opposto. Ora abbiamo salutato con favore la vittoria dei 5Stelle a Roma e Torino, due città con un gran bisogno d’aria fresca; ma, ora che dall’opposizione sono passati al governo di due metropoli, li teniamo d’occhio con la stessa attenzione e severità che abbiamo riservato a chi li ha preceduti. Pronti a elogiarli se saranno coerenti e capaci di amministrare, e in caso contrario a criticarli. E naturalmente a dare tutte le notizie che li riguardano, buone o cattive che siano. Dovrebbero farsene una ragione e, se sono intelligenti, ringraziarci. Anche perché a Roma e Torino si giocano tutte le speranze di rendersi credibili per governare l’Italia. Se poi qualcuno vuole continuare a dipingerci come bravi e autorevoli nei giorni pari e come incapaci e cialtroni in quelli dispari, faccia pure. Ma sappia che, prima o poi, arriva la labirintite. O l’ernia al cervello.
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 9/7/2016