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 2016  luglio 08 Venerdì calendario

I FRANCESI SONO PIÙ POVERI



[PEZZO DA PASSARE]

Sono stati i poveri a pagare il tributo più pesante alla crisi. Questa è la principale conclusione che si può trarre dal rapporto 2016 dell’Institut national de la statistique et des études économiques (Insee) sui redditi e i patrimoni delle famiglie francesi. Nessuno ne sarà particolarmente sorpreso, ma le cifre sono comunque allarmanti: nei cinque anni presi in esame, dal 2008 al 2013, cioè il periodo in cui la crisi si è fatta sentire di più, il reddito dei francesi è sceso in media dello 0,2 per cento all’anno e dell’1,1 per cento in totale, un dato “mai registrato” dal 1996, da quando viene svolta l’indagine. Per il 10 per cento delle famiglie più povere il calo è stato del 3,5 per cento. In altre parole, la crisi ha accentuato molto le disuguaglianze.Come sempre l’indagine annuale dell’Insee viene accolta con un po’ di rammarico, perché fornisce cifre vecchie di tre anni. Il ritardo è dovuto al fatto che, per studiare bene l’andamento dei redditi e dei patrimoni, l’istituto deve raccogliere i dati fiscali dei francesi, la fonte più affidabile.L’edizione del 2016 ha tuttavia un interesse maggiore del solito, perché consente di valutare l’evoluzione delle disuguaglianze nel corso degli anni in cui la crisi è stata più forte.Le cifre che catturano per prime l’attenzione sono le più recenti. Nel 2013 nei centri urbani francesi il reddito mediano delle famiglie era di ventimila euro all’anno, cioè di 1.667 eur0 al mese. In sostanza, il 50 percento dei francesi dichiarava un reddito inferiore a questa soglia. Sono dati impressionanti, perché confermano che il reddito medio dei francesi è molto basso. Oggi il reddito mensile lordo calcolato sulla base delle 35 ore di lavoro settimanali retribuite con il salario minimo è di 1.466,62 euro, mentre nel 2015 era di 1.457,52 euro. Quindi è comprensibile lo sconcerto dei francesi quando scoprono che gli stipendi di alcuni manager, come Carlos Ghosn, l’amministratore delegato della Renault, possono superare i 15 milioni di euro all’anno.Le dinamiche registrate in questi ultimi anni sono meno sorprendenti se si considera che prima il presidente Nicolas Sarkozy e poi il suo successore Francois Hollande hanno scaricato le conseguenze della crisi soprattutto sulle famiglie. Concretamente, il reddito medio annuale dei francesi è passato da 20.260 euro nel 2008 a ventimila euro nel 2013. Ma lo scenario è ancora più grave se si tiene conto del fatto che questo calo nasconde forti disparità. Se si osserva l’andamento di quello che l’Insee definisce il “primodecile del livello di vita dei francesi”, ossia il reddito del 10 per cento delle famiglie più povere, si scopre che è passato dagli 11.300 euro all’anno del 2008 ai 10.730 euro del 2013.Proporzioni minoriLa crisi non ha influenzato il tenore di vita solo delle famiglie più povere. Anche i ricchi che possiedono azioni e altri titoli finanziari ne hanno (forse temporaneamente) fatto le spese, ma in proporzioni minori. Ecco il quadro tracciato dallìnsee: “In definitiva nel corso di questi cinque anni di leggero peggioramento del reddito medio in Francia, il tenore di vita dell’insieme della distribuzione è diminuito, con l’eccezione dell’ottavo decile. Il tenore di vita diminuisce di più via via che ci si avvicina alla parte bassa della distribuzione (dal -3,5 per cento del primo decile al -0,2 per cento del settimo decile). Aumenta per l’ottavo decile (+1,1 per cento) e diminuisce nettamente verso il nono decile (-1,3 per cento) e nell’ultimo ventile (-1,6 percento)”.In modo purtroppo prevedibile le soglie di povertà restano su livelli eccezionalmente alti. L’Insee usa due diversi indicatori per determinare le soglie di povertà: c’è una prima soglia in base alla quale si considera povera una persona con un reddito che non arriva al 50 per cento del reddito medio dei francesi; poi c’è una seconda soglia che raggruppa i redditi che non arrivano al 60 per cento rispetto al reddito medio. È questo secondo indicatore quello a cui più spesso si fa riferimento nel dibattito pubblico. Nel 2013, rileva l’Insee, “la soglia di povertà che corrisponde al 60 per cento del reddito medio della popolazione si è attestata sui mille euro al mese. In base a questo criterio si trovano in condizioni di povertà 8,6 milioni di persone, circa il 14 per cento della popolazione”.Alla luce di questi dati si potrebbe pensare che la conseguenza principale della crisi sia stata l’aumento del numero di po-veri. Alcuni hanno osservato che si tratta indubbiamente di un’evoluzione passeggera. Sarebbe tuttavia sbagliato minimizzarne la gravità, anche perché l’Insee usa un aggettivo preciso: parla di un’evoluzione “inedita” nel paese. Nel rapporto si legge: “Il tasso di povertà è cresciuto fino a toccare nel 2013 il 14 per cento della popolazione, un dato in lieve calo rispetto a quello del 2012 (14,3 per cento) e in linea con la diminuzione osservata tra il 2011 e il 2012 (0,4 punti percentuali). Il tasso di povertà è aumentato in modo netto tra il 2008 e il 2011 (+1,4 percento), prima di regredire di 0,7 punti tra il 2011 e il 2013, in un contesto in cui il reddito medio è sceso dell’i per cento nell’arco dei due anni. Dal 2008 il grado di diffusione della povertà è cresciuto dello 0,5 per cento, dando la misura del deterioramento della situazione dei più poveri rispetto al resto della popolazione”. Proseguendo nella sua analisi, l’Isee fa una constatazione drammatica: “La povertà era diminuita in modo sostanzialmente costante tra il 1996 e il 2004 (-1,9 per cento). E poi aveva continuato a calare, attestandosi nel 2008 intorno al 13 per cento”.Questa diagnosi rappresenta con una certa plasticità una severa denuncia contro le politiche economiche e sociali attuate da Nicolas Sarkozy tra il 2008 e il 2012, cioè in gran parte del periodo preso in considerazione dallo studio dell’Insee. Lo stesso vale anche per Francois Hollande, e per due ragioni. Innanzitutto, Hollande ha cominciato il suo mandato nel 2012. Inoltre, ha continuato e aggravato le politiche del suo predecessore, facendo regali sempre più frequenti ai grandi patrimoni e alle imprese, rifiutando qualsiasi azione a favore dei meno abbienti e attuando riforme finalizzate alla creazione di una crescente flessibilità nel mondo del lavoro.Lo studio dell’Insee mostra anche l’on da d’urto dell’impoverimento e soprattutto della precarizzazione della società, conseguenza delle riforme sulla flessibilità degli ultimi vent anni. Nel 2013 “circa 1,9 milioni di persone che avevano un lavoro erano sotto la soglia di povertà, cioè il 7,6 per cento degli occupati”, scrive l’Insee, che integra questo dato con un’altra osservazione di buon senso: “Avere un lavoro non sempre mette al riparo dalla povertà”. Nel contesto di questo capitalismo è emersa e si è sviluppata una nuova categoria, quella dei workingpoors, i lavoratori poveri.Se questa osservazione è valida per il 2013, resta ovviamente più che mai pertinente nel 2016. Basta studiare gli ultimi dati statistici relativi ai disoccupati iscritti alle liste di collocamento: a parte il numero dei disoccupati della categoria A (quelli che hanno bisogno di trovare un lavoro subito e accettano qualsiasi tipo di contratto), che è la più limitata e forse registrerà un leggero arretramento nel secondo semestre del 2016, secondo gli esperti il numero complessivo dei disoccupati potrebbe continuare ad aumentare a livelli record, arrivando fino a 6,5 milioni di persone.È proprio alla luce di queste ultime considerazioni che lo studio dell’Insee è un campanello d’allarme importante, perché mette in evidenza come le ultime evoluzio^ni, segnate da un aumento dellevdisuguaglianze, siano davveropreoccupanti. In un secondo studio che copre un periodo ancora più lungo, l’Insee esprime una valutazione che conferma il carattere profondamente disuguale del modello capitalista che ha preso piede in Francia tra gli anni ottanta e novanta. “Gli indicatori di disuguaglianza nel tenore di vita sul lungo periodo mostrano variazioni degne di nota: dopo una diminuzione importante nel corso degli anni settanta e ottanta e un periodo di stabilità negli anni novanta, le disuguaglianze sono aumentate nel corso degli anni duemila”.Il lavoro dell’Insee serve anche come avvertimento per il futuro: con l’imponente deregolamentazione del lavoro avvenuta in Francia, la ripresa potrebbe essere accompagnata dallo sviluppo altrettanto imponente della precarietà e quindi della povertà. A dimostrazione del fatto che in un capitalismo segnato da un forte egoismo sociale, la ripresa può andare di pari passo con un nuovo aumento delle disuguaglianze.