Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 08 Venerdì calendario

I CONTI DEL SUICIDIO BRITANNICO– Homo economicus. Le previsioni in caso di Brexit erano quasi tutte nella direzione di una crisi dell’economia britannica

I CONTI DEL SUICIDIO BRITANNICO– Homo economicus. Le previsioni in caso di Brexit erano quasi tutte nella direzione di una crisi dell’economia britannica. La ragione di previsioni così diffusamente in campo negativo è semplice: uscire da un’integrazione economica è vicenda assai costosa. Il Tesoro britannico poco tempo fa ha simulato l’impatto del Brexit. Si ha prima la stima di come andrebbe l’economia, se nulla accadesse (lo scenario di base). Si simula poi che cosa sarebbe accaduto in caso di Brexit, e quindi si immagina sia uno scenario negativo migliore (shock scenario) sia uno scenario sempre negativo ma peggiore (severe shock scenario). Il pil crescerebbe nei primi due anni di Brexit meno di quanto accadrebbe nello scenario base, del 4% circa nel caso migliore, e del 6% in quello peggiore. La disoccupazione salirebbe da 500 mila unità nel primo caso e di 800 mila unità nel secondo. Come media fra i due scenari, i salari fletterebbero del 3%, e il prezzo degli immobili del 15%. Salirebbe, infine, il deficit pubblico, con la sterlina che si svaluta – nella media dei due scenari – di oltre il 10%. Insomma, con Brexit si ha volens nolens un’autentica punizione autoindotta. Si può riflettere solo sulle problematiche «alte» – come il pil e l’occupazione – ma quelle «minori» importano. Un pensionato britannico in Andalusia dovrebbe mostrare un reddito certo e continuo per avere un permesso di soggiorno lungo, una cosa che oggi non deve fare, così come, semmai andasse all’ospedale, non dovrebbe pagarsi le cure, perché il loro costo non sarebbe pili mandato direttamente al suo sistema sanitario d’origine. Di nuovo, con Brexit si ha un’autentica punizione autoindotta. I fautori del Brexit non potevano mostrare – proprio perché una simulazione deve passare sotto le forche caudine dell’uscita dall’integrazione economica – una previsione vera e propria, questa volta nel campo positivo. Restava quindi un generico appellarsi alla crescita che ci sarà un giorno come combinato disposto di una maggiore liberalizzazione in un mondo globale. L’implicito di questa visione è che i mercati dei prodotti e del lavoro liberalizzati in un mondo globalizzato, laddove ognuno si specializza nel fare quel che sa far meglio, fanno crescere molto l’economia. Per dirla con Popper, chi era per il Remain faceva dei forecasts, quindi una previsione quantificata, chi era per il Brexit delle predictioris, quindi una previsione generica. Le ripercussioni sull’economia britannica del Brexit saranno pesanti. Le ripercussioni sulle azioni, le obbligazioni, e le valute, sono altrettanto pesanti. Perché usiamo il futuro per l’economia reale e il presente per quella finanziaria? Dov’è la differenza? Le Borse aggiustano i prezzi in fretta, mentre i prezzi dell’economia reale reagiscono lentamente. È quindi probabile che i prezzi delle attività finanziarie cadano subito, cercando nervosamente un «pavimento» che sconti lo scenario peggiore – il nome tecnico di questo andamento è «overshooting». O meglio, le attività finanziarie, laddove intervengono le Banche centrali, come le obbligazioni emesse dai Tesori, dovrebbero cadere poco. La volatilità – ossia la ricerca di prezzi che scontino lo scenario peggiore – si scarica così sulle azioni. Andando oltre le stime, che hanno sempre un margine di errore più o meno marcato, ma nel caso di Brexit una direzione univoca, il messaggio è che l’uscita dall’Unione Europea non sarà proprio una gran scelta, almeno sul piano strettamente economico. Un messaggio che si può condividere anche intuitivamente, senza troppe simulazioni. Si immagini, infatti, una cosa simile per il Bel Paese. In caso di Itexit, con l’Italia che oltretutto ha adottato, a differenza del Regno Unito, la moneta comune, si avrebbe un impatto negativo altrettanto forte, se non di molto peggiore. La gran parte delle esportazioni italiane, infatti, è verso l’Unione Europea, e il debito pubblico italiano verrebbe rinnovato con costi proibitivi. Il ritorno della lira potrebbe, infatti, anticipare il ritorno dell’opzione politica dei bei tempi che furono, quella della coppia «svalutazione-inflazione», e quindi, in sede di rinnovo del debito pubblico, si formerebbe di nuovo un «premio per il rischio», che spingerebbe in alto i tassi. Ciò che, alla fine, alzerebbe – e anche molto – il costo del debito e quindi spingerebbe nella direzione di pesanti manovre di correzione dei conti pubblici. La ratio economica militava perciò a favore dello status quo: ciò che è reale è razionale. Ma ciò che è razionale (per quelli che hanno voluto il Brexit) è reale? Homo britannicus Una digressione. Intanto, queste vicende di insofferenza e malcontento nei confronti dello status quo non sono una prerogativa europea. Negli Stati Uniti abbiamo infatti Donald Trump. Una simulazione del suo programma mostra come il taglio delle imposte sia regressivo e come, in assenza di tagli alla spesa e di una crescita quantomeno «miracolosa», si avrebbe un debito pubblico che, per effetto delle minori entrate, crescerebbe moltissimo3. Se a ciò si aggiungono le esternazioni di Trump sul richiamo del debito pubblico con un forte sconto, avremmo una miscela che potrebbe mettere a repentaglio la tenuta della principale attività finanziaria mondiale: il debito del Tesoro degli Stati Uniti. La complessità di queste tematiche (Brexit, Itexit, Trump) è normalmente ricondotta – se vogliamo, anche sterilizzata – forzandola nell’etichetta del «populismo». Con ciò intendendo delle proposte irrealistiche che farebbero del male a chi ne dovrebbe beneficiare. Il popolo – si sostiene nemmeno troppo implicitamente – non riesce a pensare in maniera «sistemica», e perciò si fa incantare dal sogno di approdare facilmente alla «terra del latte del miele». In termini bruschi, il popolo, senza la guida delle sue élite (se illuminate), crea solo pasticci. I problemi sorgono quando il popolo le disdegna, che è proprio quello che sta accadendo quasi ovunque. Si hanno due vie maggiori per affrontare il nodo dell’«insorgenza populistica», quella culturale e quella economica. La prima sostiene che un popolo libero può scegliere l’opzione legittima della rivolta contro le élite, che lo vogliono governare come se fosse un bambino. La seconda sostiene che il malessere della classe media, derivante dalla crisi economica ormai in corso da anni, e dalle ripercussioni locali dell’economia globale – ossia, i lavori meno qualificati che «emigrano» – alimenta il populismo. Torniamo al razionale e al reale. Nel caso britannico abbiamo una lunga e gloriosa storia che alimenta la convinzione che abbia senso e che quindi possa avere anche successo (ecco il razionale che diventa reale) il tornare a «giocare in proprio». Questa lunga storia ha a che fare con l’«insularità» (nientemeno). L’Europa continentale doveva nei secoli scorsi (con ciò intendendo anche il XX) avere gli eserciti sempre pronti per fronteggiare il nemico limitrofo. La Manica esentava la Gran Bretagna da questa incombenza. In caso di guerra, il Regno Unito, dove si aveva «un re che regnava ma non governava», poteva finanziarsi con costi contenuti, in ogni caso minori di quello delle autocrazie limitrofe. Infatti, era il parlamento che controllava l’emissione del debito, e il parlamento era controllato da chi lo avrebbe sottoscritto, ossia i ricchi. Questo fenomeno dei ricchi che controllano remissione delle obbligazioni e che poi proprio per questa ragione le comprano è un fenomeno nato nelle città italiane qualche secolo prima. Un autocrate continentale, invece, sempre pressato dai nemici limitrofi, avrebbe potuto per finanziare la guerra spogliare i sudditi che sottoscrivevano il debito ripudiandolo in un periodo successivo, oppure avrebbe potuto alzare subito la pressione fiscale”. La Manica e il parlamento sono stati il «segreto» della forza britannica nei secoli scorsi. Ecco che, libera dal Continente e quindi libera di muoversi nei mari, arriva il «grande balzo in avanti»: la Gran Bretagna diventa la regina degli oceani, dei grandi mari aperti, e ispira la prima globalizzazione. Essa era governata da un’élite di gentiluomini, che formavano il cosiddetto «gentleman order». La Gran Bretagna – guidata sapientemente dai succitati gentiluomini – finanziava gli altri paesi ricevendo in cambio le cedole e i dividendi generati dai propri investimenti esteri. Gli altri paesi dovevano però pagare le cedole e i dividendi, e ciò avveniva esportando le proprie merci in Gran Bretagna. L’equilibrio si aveva perché il Regno Unito aveva una bilancia commerciale in deficit e una bilancia finanziaria in surplus. Il tutto era regolato dalla City. La sterlina – fissata all’oro – era la moneta di tutti. Oltre alla Manica e al parlamento si deve perciò aggiungere la finanza per carpire il «segreto» della forza britannica nei secoli scorsi. I potenti non stanno molto simpatici, e così è accaduto ai britannici. All’origine dell’idea – ancora diffusa – del complotto «giudo-pluto-massonico» si ha la ricerca di una spiegazione semplice ed efficace di tanta potenza. L’élite britannica era molto ricca (pluto), certamente ben organizzata (masso), e con una presenza massiccia di ebrei (giudo). La versione «colta» del complotto giudo-pluto-masso è di Carl Schmitt. Le potenze marittime (gli anglosassoni) vogliono imporsi su quelle telluriche (gli europei continentali). Il mare sostituisce la terra, e la nave la casa. Si ha così lo «sradicamento». Gli ebrei, che sono i portatori storici dello sradicamento, diventano allora il nemico «metafisico». Stringiamo il ragionamento. Da un punto di vista strettamente economico alla Gran Bretagna non conveniva il Brexit. Resta aperta l’opzione che, dopo una crisi iniziale, la Gran Bretagna possa tornare libera di muoversi con successo nel mondo, ripercorrendo i fasti del passato. È credibile quest’opzione? In passato non si avevano gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Cina, delle economie diverse volte (ciascuna) maggiore di quella britannica. Inoltre, nel continente – almeno fra Stati europei – non si ha più il rischio militare, e dunque la Gran Bretagna non può più far pendere la bilancia dove vuole per contenere a proprio favore le cose, nell’ordine temporale prima la Spagna asburgica, poi la Francia napoleonica e infine la Germania del Secondo e Terzo Reich. La Gran Bretagna oggi ha un’economia e una forza militare (peraltro da usare dove?) di medie dimensioni, ed è immersa nel mare magno delle tre grandi potenze. Si arriva così alla conclusione che la prosaica Unione Europea è da preferire alla poesia emanata dal fulgido passato, ma così non è andata.