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 2016  luglio 07 Giovedì calendario

IL SUICIDIO DI UN GRANDE CHEF


«Chef» in italiano significa «capo», ma questa traduzione letterale non esprime il significato del termine francese che si è imposto su tutte le altre lingue. Cosa non facile, se si pensa che oggi a dominare è la lingua inglese, ma certo «chief» non ha né la musicalità né il significato del vocabolo francese.
L’origine è dal latino caput e indica colui che comanda, ma chef è oggi l’espressione inequivocabile di chef de cuisine. A introdurre questo termine sembra essere stato Auguste Escoffier, il grande cuoco francese il cui nome è legato al «Petit Moulin Rouge» e al «Faisan Doré», a Cannes. Dopo aver diretto il ristorante del Savoy di Londra finisce all’Hotel Ritz di Place Vendôme. Definito il «cuoco dei re e il re dei cuochi», viene decorato con la Legion d’Onore nel 1920. A ricordarlo, più che i termini dell’Accademia di Francia, rimane la sua «Pesca Melba», dedicata alla cantante lirica Nellie Melba.

Oggetto di culto
Da Escoffier a oggi, uno dei più grandi chef dei nostri tempi è stato Benoît Violier. Nato a Saintes, in Francia, il 22 agosto 1971, la sua passione per la cucina inizia all’età di 13 anni e si forma poi con famosi cuochi. Nel 1996, a 25 anni, da Parigi si trasferisce in Svizzera per lavorare con Philippe Rochat al Ristorante de l’Hotel de Ville, a Crissier, vicino a Losanna. Il ristorante ottiene nel 1998 tre stelle Michelin.
Nel 2012 Rochat muore per un infarto durante un’escursione in mountain bike e Violier gli subentra come successore. Nel dicembre 2015 viene riconosciuto «The World’s Best Chef», ma già nel 2013 era stato nominato «cuoco dell’anno» dalla Guida Gault Millau, una delle più influenti guide gastronomiche. Il suo ristorante, noto in tutto il mondo, diventa oggetto di veri pellegrinaggi per un pranzo da 350 euro, vini esclusi. In cucina dirige 20 giovani cuochi, è campione di gare culinarie televisive e autore di libri di successo: il più recente, La cuisine du Gibiere à plume d’Europe pubblicato nel 2015, di ben 1088 pagine. Ma l’evento che contribuisce a renderlo ancora più famoso accade il 31 gennaio 2016, quando la polizia di Losanna lo trova cadavere nella sua casa, suicida con un colpo di pistola. Violier ha 44 anni.

La nuova casta
Gli chef, oggi e nella cultura dell’Occidente, formano una vera casta che richiama quelle sacerdotali. Questa specificazione non è un volo letterario, ma un riferimento che si fonda sull’esistenza di ristoranti che sembrano cattedrali, di chef che sono dei «monsignori» con una lunga schiera di presbiteri che li aiutano nella preparazione delle cerimonie: un vero culto della preparazione dei piatti. Comportamenti sacri, non certo modalità per risolvere il bisogno primario dell’alimentazione, per sedare l’istinto della fame. Vere e proprie ritualità sociali del nostro tempo.
Il cuoco non è colui che semplicemente cuoce il cibo, ma deve avere grandi doti: alcune si legano al contenuto del piatto – scelta, combinazione, gusto e così via – altre alla sua presentazione che risponde ai criteri più raffinati dell’eleganza e della creatività. Un’arte che si consuma nel momento della sua perfezione. Solo al momento giusto il fruitore va posto di fronte all’opera. Uno dei punti critici della cerimonia è propria la sintonia tra la cucina e i camerieri di sala. Richiama il contesto musicale, quando in una sonata per violino e pianoforte si crea un’unica armonia. Sono tanti i passaggi delicati di una simile performance – si pensi anche alla combinazione tra vini e cibo – ma soprattutto l’errore è tremendo: per un grande directeur du cuisine si può passare in poco tempo dalle ovazioni ai fischi. In questo caso arriva la perdita delle stelle Michelin, o l’uscita da «La Liste», la guida francese ai 1000 migliori ristoranti del mondo.
Il suicidio di Benoît Violier non conduce soltanto a un’analisi del comportamento individuale, ma permette al contempo di capire la complessità a cui sta giungendo il rito dell’alimentazione.
La prima ipotesi sulle cause del suicidio è di tipo economico. La rivista elvetica di economia «Bilan» dà per certa che la causa della morte di Violier sia la sua enorme difficoltà economica: era vittima di una truffa messa in moto dalla Trade Private Finance Partners di Sion che offriva bottiglie di vino della Borgogna di produzione dei vigneti di Henry Jayer, il Richebourg Grand Cru, a un prezzo incredibile che andava dai 20.000 ai 40.000 dollari a bottiglia. Il prestigio di poterle offrire a una clientela mondiale portava a una vera e propria gara per ottenerle tra i big della ristorazione e veniva richiesto il pagamento in anticipo. Benoît aveva investito 720.000 euro ma le sue 30 bottiglie non verranno mai consegnate. L’azienda dichiarò bancarotta il 30 novembre 2015 e uno dei partner venne arrestato. Per Benoît e la sua famiglia doveva rappresentare una catastrofe.
La seconda ipotesi riporta alle stelle Michelin: ogni anno, con la pubblicazione della «Guida», può arrivare la riconferma del giudizio prestigioso (tre è il valore massimo) oppure la scoperta di averne persa qualcuna. Quest’ultimo caso comporta una doppia catastrofe, sul piano del prestigio e per i suoi riflessi economici. Il suicidio di Violier precede di un giorno l’uscita della «Guida Michelin 2016» e sembra che lo chef avesse ricevuto un’informazione segreta circa la perdita di una stella al suo ristorante. Sarebbe stata la prima volta dal 1998, data dell’acquisizione di questo riconoscimento. Benoît Violier non ha potuto vedere quell’edizione, uscita puntualmente il giorno dopo il suo suicidio: confermava le tre stelle. Si comprende però come il paventato evento avesse potuto far pensare a un pericoloso «crepuscolo degli dei».

Colpa dello stress
La terza ipotesi del suicidio prende in considerazione la personalità dello chef: un uomo impegnato per 14-18 ore al giorno al ristorante, con il pensiero rivolto sempre alla necessità di inventare nuovi piatti, di reggere una presenza sui mass media da grande attore, e con la tensione necessaria per coordinare quella che Escoffier aveva chiamata «la brigata della cucina». Doveva essere sempre attento alle critiche per ogni piccola imperfezione, consapevole che gli organi di valutazione del locale, i giudici, non erano mai riconoscibili, e certo nessuno conosceva in anticipo il giorno di una loro eventuale visita. Nell’aprile del 2015, inoltre, Benoît aveva perso il padre.
Il suo potrebbe dunque essere un suicidio da stress, complicato da episodi depressivi per la paura di non farcela, per la consapevolezza che più sei in alto e meno ti è perdonato anche il più piccolo degli errori. La diminuzione del tempo dedicato al sonno e la facile irritabilità che ne consegue limitano senza dubbio la capacità di dirigere la brigata.
A sostegno di questa ipotesi si deve aggiungere una vera sindrome: «il male di vivere dei cuochi» che ha condotto ad altri suicidi di chef.

Poli contrapposti
Il primo della lista ci riporta a Luigi XIV e al cuoco di corte François Vatel, che ha legato il suo nome alla famosa e ancora attuale créme chantilly e che si tolse la vita nel 1671 con tre colpi di spada, perché a un banchetto reale il pesce arrivò tardi e in quantità insufficiente.
Ma per ricordare i più recenti bisogna citare Bernard Loiseau, morto suicida il 24 febbraio 2003 perché la «Guida Michelin» tolse una stella al suo ristorante «La Cote d’Or» in Borgogna. Poi c’è il suicidio di Homaro Cantu, uno dei maestri della cucina molecolare, che si è impiccato a Chicago nell’aprile 2015 nel locale che stava ristrutturando. E ancora Pierre Jaubert, chef all’Hotel de Bordeaux, a Pons, che si è tolto la vita nel 2003. Nella lista ci sono anche gli italiani: Franco Colombani nel maggio 1996 a Lodi si è ucciso infilando la testa in un sacchetto di plastica, nel dicembre 2009 Sauro Brunicardi del ristorante «La Mora» a Lucca si uccide buttandosi nel Serchio e nel 2015 si ammazza Pierre Milia, chef di sant’Antioco in Sardegna.
Le tre ipotesi sul suicidio di Benoît Violier – denaro, prestigio professionale e stress – sono ancora aperte e non è possibile escludere che entrino tutte e tre a porre in una vera e propria crisi esistenziale una vita che vista dall’esterno, sembrava caratterizzata dalla fortuna e dalla gloria. Il vissuto interiore e la maniera in cui si appare all’esterno sono spesso tra loro contrapposti.