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 2016  luglio 07 Giovedì calendario

NON DIAMO LA COLPA AGLI ALTRI


Ci sono due modi per guardare alla condizione del sistema bancario, e in particolare di Mps che da anni saltabecca sui marosi, di Carige, o di Unicredit, l’unica grande banca italiana di impatto sistemico europeo. Il primo è continuare a ripetere il mantra ripetuto per anni: sono sane e vittime di errori altrui, i cattivi tedeschi hanno usato pacchi di miliardi pubblici per interventi nel capitale e oggi ci impediscono di fare lo stesso. Il secondo modo è guardare ai fatti: perché il primo è propaganda, popolare, ripetuta da tempo dalle autorità finanziarie, dalla politica, dai media, ma propaganda resta.
La direttiva per la risoluzione delle banche – la «famigerata» Brrd – è nata nel 2013 proprio per dire basta agli aiuti di Stato alle banche. Ed è ispirata a un principio sano: non sovrapporre al rischio bancario il rischio sovrano. Quando i governi italiani nel 2011-2013 ripetevano «le banche sono solide», hanno sbagliato. Non hanno voluto curare un male che ha finito per rappresentare il maggior freno alla ripresa. La Brrd è stata votata in sede europea da tutti, tranne i pentastellati e i leghisti che si sono astenuti: troppo comodo inventare una controstoria per la quale è stata «imposta» all’Italia.
A novembre scorso, l’ottimismo delle autorità italiane si è infranto: la risoluzione di quattro piccole banche ha suscitato il panico. Perché agli investitori per anni è stata rifilata una quantità di obbligazioni bancarie senza pari rispetto ai Paesi Ocse. Non è vero che i 360 miliardi a cui si giunge sommando sofferenze e incagli siano figli solo delle imprese che nella crisi non pagano: si devono a massicce pratiche di credito relazionale; a prestiti ad amministratori e soci senza garanzie; a violazioni delle norme che avrebbero dovuto impedire patrimoni di vigilanza autofinanziati dalle banche stesse; ai regolatori, che non hanno fatto il loro mestiere.
Atlante ha impedito la risoluzione di Popolare Vicenza e Veneto Banca, ma non ha denaro per aggredire la montagna degli 83 miliardi di sofferenze nette. E si ricomincia dal Monte Paschi. Quattro anni fa era evidente che ne andavano azzerati i soci – a cominciare dalla Fondazione che ne deteneva oltre il 50 per cento – e che lo Stato doveva ricapitalizzarlo, ripulirlo e ricederlo al mercato. Con le regole di allora, si poteva fare. Ma la politica ha preferito salvare la Fondazione, cara al Pd, e impiccare la banca al pagamento di pingui interessi allo Stato per i Monti bond. La banca oggi non è considerata a capitalizzazione adeguata e la Bce ha chiesto a Siena di rafforzare i suoi impegni, quanto a smaltimento dei crediti deteriorati. Il governo pensa a strumenti ibridi, obbligazioni pubbliche trasformabili in capitale, ma non vuole far compartecipare al risanamento né i correntisti – e sin qui ci siamo – né gli obbligazionisti junior, né gli investitori istituzionali. E qui non ci siamo, perché la Commissione può sì autorizzare ricapitalizzazioni di Stato a seguito di emergenze, ma spalmando su obbligazionisti e azionisti l’8 per cento delle passività.
Vedremo come finirà. È ovvio che il governo non vuole né migliaia di obbligazionisti urlanti sotto palazzo Chigi, né far sgarbi a chi controlla le banche. Ma una cosa è sicura: il mercato è inondato di report per i quali al sistema bancario mancano una quarantina di miliardi di capitalizzazione, e le autorità italiane nel dopo Brexit si trovano a chiedere deroghe per noi in polemica contro Uk che ne aveva avute troppe. Non proprio una brillante posizione negoziale.