Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 07 Giovedì calendario

MPS, ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA

La Brexit ha messo in moto dinamiche altamente speculative che si innestano in Europa sulla contrazione dei titoli bancari che ha caratterizzato i primi mesi dell’anno. L’Italia, ed in particolare in questi giorni il Monte dei Paschi , ha fatto da parafulmine: serve un’area ed un soggetto fragile da colpire, per distrarre l’attenzione da vicende moto più complesse. Servono capri espiatori.
Sono comunque tecniche dal fiato corto: a mezzogiorno di ieri, infatti, Deutsche Bank veniva quotata a – 6,65% rispetto alla chiusura del giorno precedente. Nello stesso momento, il Monte dei Paschi riprendeva quota con un +8,60%, rimbalzando dopo due giornate nere, con i titoli sospesi. Nella sola seduta del 5 luglio, la perdita era stata del 19,3%. È bastata la decisione della Consob di vietare per l’intera giornata di ieri le vendite allo scoperto, insieme alle indiscrezioni di un piano del governo per garantire le nuove emissioni azionarie e per assorbire una quota delle sofferenze, per ridare fiato alle quotazioni.
La speculazione era andata avanti inarrestabile, sapendo di non trovare resistenze: si è focalizzata sulle anticipazioni relative alla richiesta in corso da parte della Vigilanza Bce di ridurre gli npl in bilancio di 10 mld, questione peraltro già considerata nel piano industriale della banca e quindi assai poco originale, e sul maggior fabbisogno di capitale che potrebbe derivare dai risultati degli stress test, che saranno comunicati dall’Eba alla fine del mese. Si è strologato su fatti conosciuti dandoli per nuovi, o su questioni ancora sconosciute.
Negli scorsi giorni, invece, non avevano avuto quasi nessun impatto le notizie relative alle effettive criticità riguardanti la Deutsche Bank . Eppure, la stampa ha dato ampio risalto al fatto che per il secondo anno consecutivo non aveva superato gli stress test disposti dalla Fed americana sulle banche di rilievo sistemico che hanno proprie articolazioni negli Usa, per via della «ampia e sostanziale debolezza del processo di capital planning», basato su assunzioni ed ipotesi «non ragionevoli o appropriate». Era caduto nel vuoto anche l’allarme lanciato dal Fmi, che l’ha indicata nel suo «Financial Sector Assessment Program» come la maggiore fonte potenziale di choc esterni per il sistema finanziario globale. Con un’esposizione ai derivati pari a circa quindici volte il pil tedesco, Deutsche Bank è, sempre secondo il Fmi, «il più rilevante contribuente netto ai rischi sistemici tra le banche di rilevanza sistemica globale, seguita da Hsbc e da Credit Suisse». Infine, in termini di spillover, il sistema bancario tedesco pone il maggior grado di rischi di contagio esterni in proporzione ai rischi interni, seguito da quelli di Francia, Regno Unito e Usa. In Borsa, nei giorni scorsi, si guardava ad altro.
Intanto, si vedono le prime vere conseguenze della Brexit: la sterlina si è svalutata, al livello più basso da trent’anni. La moneta europea, di converso, si è rafforzata un anno fa, un euro veniva scambiato con 0,70 sterline. Ieri valeva 0,85 sterline. Questa svalutazione è indispensabile per il risanamento del deficit estero della GB, sostenuto da una valuta troppo forte per l’afflusso di capitali e la svalutazione dell’euro indotta dal Qe.
Tra il 2007 ed il 2015, la GB ha accumulato un disavanzo della bilancia dei pagamenti pari a 841 mld di dollari, mentre la Germania un attivo di 2.131 mld di dollari. In percentuale al pil, la GB ha un -30,8%, mentre la Germania un +59,4%. Sui listini, anche in Germania, vengono penalizzati un po’ tutti i comparti produttivi: la svalutazione della sterlina ridurrà l’import britannico e gli avanzi commerciali di molti partner, tra cui Germania ed Italia.
La seconda conseguenza riguarda le quotazioni immobiliari in GB: già tre operatori, Aviva, M&G e Standard Life Investments, hanno sospeso le quotazioni dei rispettivi fondi di real estate per via dell’ammontare dei riscatti. I prezzi degli immobili, dopo il picco del 2006, erano discesi violentemente fino alla fine del 2008. La nuova ascesa è iniziata nel 2012, in coincidenza con l’avvio del programma straordinario di espansione monetaria della BoE, denominato Funding for Lending, che non escludeva il finanziamento di nuovi mutui immobiliari, invece vietato dalla Bce nelle Ltro. Se, nella media, i prezzi degli immobili in GB sono tornati ai livelli pre-crisi, ci sono situazioni molto variegate: anno su anno, nel primo trimestre del 2016 l’aumento era stato dell’11,9% nella Outer Metropolitan Area di Londra. Al contrario, i prezzi erano calati dell’1,4% nel Nord e dello 0,4% in Scozia. Sebbene una parte dell’aumento dei prezzi va attribuito alla traslazione della maggiore imposta di bollo introdotta dal governo per frenare il mercato, c’è stata una bolla speculativa originata da investimenti esteri e dai privati che si sono indebitati contando sulla prosecuzione dei rialzi.
A fine giornata, il listino di Milano è andato tutto in rosso, con l’indice a -2,09%: solo Yoox con il +3,23%, e Monte Paschi con il +6.07%: speculazioni che vanno, altre che vengono. La Brexit è appena cominciata.