Cristina Bianchi, Oggi 6/7/2016, 6 luglio 2016
INTERVISTA A WEDNESDAY MARTIN – Milano, luglio Lottano all’ultimo sangue per un appartamento nell’Upper East Side
INTERVISTA A WEDNESDAY MARTIN – Milano, luglio Lottano all’ultimo sangue per un appartamento nell’Upper East Side. Si umiliano davanti alle direttrici delle scuole materne, pur di iscrivere i figli in quelle più esclusive. Sono miliardarie, ma occupate tutto il tempo a tenere alto lo status sociale. Tra loro rivali, diventano sadiche con chi non è all’altezza del branco. Sono le madri super ricche di New York. Non necessariamente felici. A raccontarle è Wednesday Martin, 49 anni, che ha scritto Nella giungla di Park Avenue (memoir di grande successo negli Stati Uniti, pubblicato in Italia da Bookme). L’autrice è un’antropologa che, dopo il trasloco nei quartiere alti, racconta la sua vita tra le altre madri come fossero un branco di primati da studiare, tra scienza e ironia. «Mio figlio cominciò la scuola materna al culmine del boom economico», scrive Martin. «Fiumi di adrenalina scorrevano nelle vene degli abitanti di Manhattan. (...) Sembravano tutti ubriachi di felicità. E ogni santo giorno, dopo aver accompagnato a scuola mio figlio, io scoppiavo a piangere. Non perché vederlo varcare la porta dell’aula fosse un’esperienza struggente, una specie di metafora della crescita. Non perché venissi travolta dalla bellezza straziante dell’essere madre. No, piangevo perché le altre mamme erano delle vere streghe». Wednesdey Martin è di passaggio a Milano. Bionda, longinlinea, indossa un giacchino di pelle nera, tronchetti Balenciaga, una sciarpa Missoni. E a Oggi conferma: «Le mamme di Park Avenue sono spietate. È colpa della demografia». Demografia? «Sì, i numeri: nell’Upper East Side di New York, ci sono due donne in età fertile per ogni uomo, quindi la competizione intrasessuale è altissima. Lottano per il maschio, e devono mostrare tutta la loro bellezza. Qui gli standard di moda, ostentazione, magrezza, cura di sé, sono altissimi. E tra donne si scatena la “tempesta perfetta”». È vero che per resistere ore su tacchi impossibili si fanno punturine anestetizzanti ai piedi? «Oh sì, una pratica copiata dalle star di Hollywood. Una sofferenza assurda (ride)». Perché lottano per mandare i figli nelle scuole più esclusive già dall’asilo? «A New York, fino a vent’anni fa, chi aveva più figli traslocava nei sobborghi, più verdi e spaziosi. Ora i ricchi preferiscono restare, ma le scuole non hanno posti e comincia la lotta. Poi c’è un altro aspetto, tipicamente americano: perché tuo figlio sia ammesso ad Harvard o nei college migliori, deve aver frequentato un liceo esclusivo; e per farlo deve arrivare dalla miglior scuola primaria, dove si approda solo dalle materne più “in”. Come ha detto una sera mio marito: “Domani dobbiamo parlare con quella direttrice d’asilo... Che è la donna più potente di Manhattan”». Le donne di Park Avenue escono in abiti firmati e sui tacchi a spillo anche per comprare il latte. Lo ha fatto anche lei? «Alla fine sì, per non sentirmi una marziana. In termini antropologici, mi sono adattata. Ho comprato anche una Birkin di Hermès. Splendida! Però pesava troppo, non sentivo più il braccio e il medico mi ha ordinato di smettere». Dopo il parto le miliardarie vogliono tornare subito nella taglia 38. Si massacrano in palestra, si nutrono di centrifugati. Nessuna collassa? «Collassi non ne ho visti. Però ansia, stress e depressione sono diffuse nel “branco”. Essere una madre che non lavora e dipende dal marito per tutte le spese mentre alleva piccoli lord, contribuisce a un senso di precarietà. Basta pensare che, se divorzi, rischi tutto. Molte di loro si fanno prescrivere ansiolitici, antidepressivi, o si “curano” a vino, vodka, tequila. Un giorno ho confidato a un’amica che ero stressata. Mi detto: “Quando vai ad Aspen per le vacanze, comprati qualche pillola di marjuana, ti calmerà”. In Colorado, infatti, è legalizzata». E i loro bambini che volano su jet privati, crescono felici? «Le mamme li amano davvero. Ma i figli sentono la pressione. Avvertono che lo status della famiglia dipende anche dalle loro performance». Che idea si è fatta delle mamme italiane? «C’è questo stereotipo: la donna che non smette mai di essere madre... Ma sempre più italiane lavorano, fanno politica, è un momento di transizione affascinante». Per chi simpatizzano le ricche di New York in politica? Trump o la Clinton? «Ah, non voterebbero mai per Donald Trump. È troppo sessista e retrogrado, troppo razzista. Umilia le donne». Se Hillary diventasse presidente, cambierebbe qualcosa? «Lo spero. Ho messo sui social la sua foto con un bimbo in braccio e la didascalia: “Comandante in capo”. Purtroppo, la sua corsa ha fatto crescere la misoginia negli Stati Uniti. L’idea che una madre e una nonna possa diventare presidente crea un’ansia pazzesca. Io invece non dormo la notte al pensiero che alla Casa Bianca possa esserci un Trump».