Andrea Di Consoli, pagina99 2/7/2016, 2 luglio 2016
QUEL MALE OSCURO DEI DIVI HARDCORE
Da quando è nata l’industria pornografica – diciamo agli inizi degli anni Settanta, benché la sua storia sia molto più antica, quasi coincidente con la storia del cinema – si contano a decine le attrici e gli attori hard che si sono tolti la vita. Sembrerebbe che il genere narrativo per eccellenza del piacere – inutile non dirlo: la pornografia è anche e soprattutto piacere e godimento – conduca non poche volte al massimo del dolore.
Raccontare tutte le storie di questo «lato oscuro» della pornografia non è possibile, però vale la pena di isolarne alcune, non già per condannare moralisticamente un mondo che è seguito e alimentato da miliardi di persone in ogni angolo del pianeta, ma per restituirlo nella sua cruda interezza.
Questa spoonriver di morti di pornografia non può non iniziare in Inghilterra, con la storia di Mary Millington, attrice tra le pioniere dell’hardcore europeo (nacque nel 1945). Pellicole famose – famose per gli appassionati del genere – come Oh nurse! (1971), Oral Connection (1971) e Sex is My Business (1974) non sarebbero però mai state girate se la Millington non avesse avuto bisogno di soldi per curare sua madre gravemente malata di tumore, e che accudì per quasi un decennio.
Alla madre era molto legata, Mary, perché era figlia illegittima e perché, da ragazza, aveva molto sofferto per il bullismo dei suoi coetanei che giudicavano con insensibile crudeltà la sua condizione di figlia senza padre. Depressa e di temperamento nevrastenico, la Millington fu per anni perseguitata dal fisco; le sue condizioni psichiche peggiorarono, inoltre, nel 1976, allorquando sua madre morì. Il 19 agosto del 1979 si suicidò ingerendo un mix letale di paracetamolo, antidepressivi e alcol. Lasciò scritte alcune lettere in cui accusava la polizia di averla perseguitata con metodi nazisti per via delle sue pendenze fiscali. In Inghilterra la sua storia è molto conosciuta; e, tutto sommato, è stata lentamente assimilata con affetto nella più generale storia della liberazione dei costumi e della condizione femminile.
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Australiana, Kristine Heller nacque nel 1950. Negli anni Settanta fu protagonista di una ventina di pellicole, tra cui Baby face (1977) e Confessions of a Woman (1977), nelle quali ebbe successo il suo corpo e il suo sguardo «puro», di ragazza «ingenua» – questa, insomma, la sua «specializzazione». Visse nella San Francisco trasgressiva e sfrenata di quegli anni. Un flebile sintomo della sua inquietudine, che la portò al suicidio nel 1989 – e sul quale poco si è scritto – fu l’enorme quantità di pseudonimi che utilizzò durante la sua carriera pornografica. Tra i nomi con i quali si fece conoscere ricordiamo Karen Kushman. Abigal Mercy e Kathy Collins. Scrive un sito americano a proposito della sua nevrosi nominativa: «Kristine is the current porn record holder in the category of Most name Changes During a Carnal Career» (non male, comunque, la dicitura «carriera carnale»).
Non è facile ricostruire la filmografia di un’attrice porno. Tra pellicole andate perdute, pseudonimi, film non accreditati ed errori di traduzione o di edizione, bisogna accontentarsi di quel che stabilisce l’Internet Adult Film Databse (Iafd), il più grande archivio online sulla pornografia (attori, registi, titoli, eccetera). Secondo lo Iafd, Megan Leigh ha realizzato 151 lavori.
L’attrice americana nacque nel 1964, e oggi è ricordata come una delle icone del cinema hard degli anni Ottanta. I suoi film sono catalogati nel genere vintage, la categoria più struggente del porno, poiché i corpi vivi, forti e vigorosi di queste pellicole sono oggi invecchiati, oppure assenti, scomparsi per sempre. Cosa pensa un’attrice o un attore porno anziano della propria giovinezza impudicamente immortalata? E cosa prova uno spettatore eccitato osservando il piacere pornografico di un attore o di un’attrice morta?
Megan Leigh fu trovata senza vita nella sua abitazione nella Contea di Solano, in California. L’autopsia stabilì che a ucciderla fu una dose letale di Valium. Era il 16 giugno del 1990, e la Leigh, quando decise di togliersi la vita, aveva appena 26 anni.
Alex Jordan approdò al porno tardi, nei primi anni Novanta – era nata a Los Angeles nel 1963. La sua storia «cinematografica» è legata al genere gonzo, di cui fu una delle pioniere. Questo genere è caratterizzato dal fatto che il regista, anziché filmare tutto a debita distanza e rimaneggiare il materiale registrato con il montaggio finale, tende a rendere il film live, con minimi tagli, spesso partecipando – con il proprio corpo autofilmato e con la voce «complice» fuori campo – alle prestazioni sessuali degli attori.
Per molti anni la Jordan soffrì di depressione. Viveva in una casa residenziale a Marina del Rey, in California. Il 2 luglio del 1995 si tolse la vita in modo atroce.
Le cose andarono così. Il marito, per tentare di dare una svolta alla loro vita, si era trasferito in Colorado, dove provò ad aprire un negozio di sci. La moglie non faceva che lamentarsi per la solitudine nella quale sentiva di essere precipitata, e accusava continuamente il marito di insensibilità e disinteresse – in quel periodo la Jordan sospese anche l’assunzione degli antidepressivi, che prendeva da molti anni. Fu trovata dopo alcuni giorni impiccata nel suo armadio, già in stato avanzato di decomposizione. Nell’abitazione fu trovata una lettera indirizzata al suo pappagallo, al quale era molto legata, e che era morto qualche giorno prima, gettandola nella più assoluta disperazione. Pare che prima di togliersi la vita la Jordan non facesse altro che recriminare al marito la cinica indifferenza per la morte del suo adorato pappagallo – dopo tanto amore recitato davanti alle telecamere, terminò i suoi tristi giorni convinta di essere stata amata e di poter essere amata soltanto da uno stupido pappagallo.
Angela Devi, americana dai caratteri somatici «indiani», era una modella hard specializzata nel genere big boobs («tette grosse», per dirla senza perbenismi); in particolare, amava filmarsi mentre «giocava» con i suoi grossi seni, presumibilmente rifatti. Era nata a New York nel 1975.
Il primo aprile del 2006 aveva poco più di trent’anni – il suo seguitissimo sito bloccò le iscrizioni dei nuovi membri; poche ore dopo fu dato l’annuncio della sua scomparsa. Secondo un rapporto della polizia, Angela Devi fu trovata morta il 31 marzo del 2006 nella sua residenza di Scottsdale, in Arizona. In cucina, in un sacchetto della spazzatura, furono trovati alcuni pacchi vuoti di Xanax (psicofarmaci ansiolitici).
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Se ne parla poco, ma il mondo della pornografia è segnato profondamente dalla tossicodipendenza. Farsi filmare mentre si hanno rapporti sessuali «professionali» è uno stress psicofisico notevole, che spesso si tenta di placare con l’assunzione di droghe (per reggere gli altissimi standard delle prestazioni richieste, ma anche per stordirsi nei momenti di pausa o di «vuoto»). Una cosa sono le fantasie pornografiche (facili e innocue), altra cosa è il professionismo pornografico, che richiede, come suole dirsi con una brutta frase, «pelo sullo stomaco».
Molte attrici e attori porno sono morti per overdose, rendendo labile il confine tra morte accidentale e suicidio. Imporsi il piacere anche quando non se ne ha voglia – vale per gli uomini ma anche per le donne – mette a duro rischio l’equilibrio psicofisico, specialmente in un ambiente come quello pornografico dove tutti, dai produttori ai registi, hanno una bassissima sensibilità per le esigenze degli attori, che vengono sfruttati con «sedute» estenuanti dove si bada soltanto alla qualità delle performance.
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Kent North (il suo vero nome era Ben Grey) nacque nel Kent, in Inghilterra, nel 1971. Fu un pornodivo del cinema hard gay e lavorò in esclusiva per le produzioni Alphamale Media e Hot House Entertainment. Palestrato e muscoloso, era specializzato nel genere solo (masturbazione) e nel genere threesome (rapporti sessuali a tre); era sia attivo che passivo.
Ecco alcuni titoli di film, tra i tanti che realizzò, di cui fu protagonista: Pack Attack 1: Kent North (2006), Hot House Backroom Exclusive Videos 1 (2007) e Knuckle Sandwich (2007). Tra il 2007 e il 2008 vinse alcuni GayVN Award, premio annuale di San Francisco dedicato alla pornografia gay.
Viveva a Londra, anche se lavorava spesso negli Stati Uniti – il suo fidanzato si chiamava Lloyd North. Il 4 luglio del 2007 fu trovato morto nella sua casa londinese. L’autopsia stabilì che a ucciderlo fu un’overdose – volontaria, sembrerebbe – di crystal meth (metanfetamina in cristalli).
Una delle scene più famose del cinema hard ha per protagonista l’attrice francese Karen Bach. Gli stereotipi ci sono tutti, in questa scena: una bella segretaria con gli occhiali leggermente abbassati – con il reggicalze ben in vista – e due fusti al suo fianco in un bureau. Per chi è habitué dei siti porno, la scena della Bach è una delle più apprezzate del genere mmf (due uomini e una donna).
Obiettivamente quest’attrice francese, figlia di genitori borghesi benestanti di Lione (padre francese, madre marocchina), è una delle più belle e maliziose del porno europeo. La sua storia merita di essere raccontata per intero, perché è, probabilmente, la più emblematica – e dolorosa – dell’universo hard.
Karen Bach nacque a Lione nel 1973. Intorno ai ventitré anni, spinta dal marito indebitato, iniziò a girare i primi film a luci rosse – tutti film di grande successo, come La maledizione del castello (1997) e Una vita in vendita (2002). A segnare la sua furiosa disperazione (una vera e propria ideologia «negativa») furono principalmente due eventi: il primo, la presa d’atto che se suo marito l’aveva persuasa a girare film porno per soldi, questo significava che aveva sposato un mostro (infatti, dopo un po’, si separarono); il secondo fu uno stupro di gruppo, che la Bach subì nel 1995, a notte fonda, uscendo per comprare le sigarette. Questi due eventi la portarono a una sorta di nichilismo femminista autodistruttivo.
Con i maschi aveva un rapporto feroce e contraddittorio: da un lato, ne era attratta, ne ricercava la tenerezza e la protezione; dall’altro, li disprezzava, certo non aiutata dal fatto che abitualmente frequentava i «mattatoi a luci rosse» (definizione che la stessa Bach diede dell’industria pornografica in un’intervista concessa a Libération).
Nel 2000 la Bach – che si accreditava nei film porno con molti pseudonimi, come per esempio Karen Lancaume, Karen Lancom o Angela Paris – ebbe l’occasione di lasciarsi alle spalle i «mattatoi» per entrare finalmente nel cinema «ufficiale». Fu infatti scelta per interpretare, insieme all’attrice porno Raffaëla Anderson (oggi diventata scrittrice, ma in passato protagonista di brutali scene gangbang), la pellicola Baise-moi (Scopami) di Coralie Trinh Thi e Virginie Despentes. Il film fece molto scandalo, non solo perché era interpretato dalle due principali attrici porno francesi, ma soprattutto per via della trama e dello stile: un road-movie con effetti di presa diretta che raccontava le vendette porno-noir di due donne in rotta di collisione con l’universo maschile.
Nonostante l’enorme clamore mediatico del film, che fu anche presentato al Festival di Locarno nel 2000, Karen Bach non ce la fece a fare il salto di qualità, tanto che decise di ritornare a girare film porno. Ospite di amici a Parigi nel XIV arrondissement, fu trovata senza vita il 28 gennaio del 2005 – aveva trentadue anni. Si era suicidata con una dose massiccia di temazepam, un farmaco ipnotico della classe delle benzodiazepine.
Il vero nome di Jon Dough era Chester Anuszak. Nacque in Pennsylvania nel 1962, e il suo primo film hard lo girò nel 1985. La storia di Dough è costellata di traumi: a quindici anni il patrigno gli usò violenza sessuale, così che da quel momento in poi si decise di farlo crescere presso uno zio. La filmografia pornografica di Dough è sterminata; in totale si pensa abbia partecipato, a vario titolo, a oltre mille pellicole. Il volto di Dough è tipico dello stile porno degli anni Ottanta, anzitutto per la capigliatura ordinata, leggermente alta e pettinata all’indietro – oggi Dough è ormai quasi sempre archiviato nel genere vintage.
La vita sentimentale e affettiva di Dough si è espressa tutta intera nel mondo pornografico, come a dimostrare che solo tra «pari» ci si possa davvero capire, soprattutto quando si è approdati all’hardcore per via delle sofferenze e delle angosce patite. Prima fu ammogliato all’attrice olandese Deidre Holland, poi con la più conosciuta Monique DeMoan, dalla quale ebbe un figlio nel 2002. Il 27 agosto del 2006 Jon Dough si suicidò (si impiccò nell’armadio) e da quel momento in poi la moglie e il figlio scomparvero dalla scena pubblica, decidendo di trasferirsi in una località protetta.
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È stata una delle regine degli anni Ottanta dei generi ebony, big natural tits e bbw. L’afroamericana Yolanda Haskins nacque a Los Angeles nel 1967. Corpo burroso bbw (che significa «Big Beautiful Woman»), atteggiamento remissivo e timido, piglio materno, la Haskins è stata una delle icone del mondo big boobs. Fu madre di cinque figli, che lasciò da soli quando, nel 1997, decise di togliersi la vita con un’overdose di crack. Le sue eredi bbw – genere molto amato, nonostante l’ideologia dominante della magrezza -oggi si chiamano Claudie-Marie, Eva Notty, Alice Cortesi e Terry Nova... Per non parlare della «softcore star» Kerry Marie, tra le più ricercate sul web.
Pauline Chan Bo-Lin nacque a Shangai nel 1973. La sua vita privata e professionale è stata avventurosa, difficile, caotica, a tratti romanzesca in fine tragica; è addirittura possibile leggere in filigrana nella sua vicenda umana le ambizioni e gli eccessi della Cina contemporanea, frettolosa di emanciparsi da antiche povertà e da storiche chiusure repressive. I genitori di Pauline si separarono che lei era ancora piccola; dopodiché, a dodici anni, si trasferì con la madre a Hong Kong, dove giovanissima iniziò l’attività di modella. Nel 1990 divenne Miss Asia, subito dopo fu scritturata dall’industria pornografica locale. Pauline accettò questi lavori soprattutto per aiutare economicamente sua madre; in seguito avrebbe anche recitato in film softcore e in alcuni b-movie di area cinese.
La sua bellezza era molto apprezzata in Asia, e il suo nome era conosciuto da tutti. Nel 1997 iniziò una relazione con il tycoon taiwanese Huang Jen-Chung, di trentatré anni più grande. La loro storia d’amore fu dolce e tormentata allo stesso tempo – il magnate rivelò che per molti anni, dopo averla conosciuta nel 1993, non ebbero rapporti sessuali. Nel 1999 si separarono, anche perché Pauline Chan Bo-Lin era tossicodipendente e, addirittura, vittima della stregoneria.
Dal ’99 in poi i media parlarono spesso di lei: tentò il suicidio in diretta tv, diede fuoco alla sua abitazione, provò a entrare in alcuni Paesi stranieri senza il necessario visto e fu anche arrestata per rissa. Ormai la sua vita era fuori controllo, e anche la carriera di attrice ne risentì. Nel 2002, ai primi di luglio, diede alla luce un bambino e, nei giorni successivi, una grave depressione post-partum fece precipitare le sue già precarie condizioni psichiche.
Il 31 luglio si gettò dal 24° piano della sua abitazione di Shangai. Nella lettera d’addio implorò che a occuparsi del figlio fosse il padre naturale, un disk jockey sino-americano che nel frattempo era fuggito dalle sue responsabilità, facendo perdere le proprie tracce. La cerimonia funebre fu di tipo buddista, mentre il corpo fu cremato. Tra i tanti titoli in cui figura Pauline Chan Bo-Lin, quello che più la rappresenta, anche simbolicamente, è sicuramente Girls Without Tomorrow (1992).
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La storia di Colleen Marie Applegate, in arte Shauna Grant, è l’ennesima che ruota tutta intera intorno al contrasto antropologico tra la provincia americana e le grandi città-simbolo come San Francisco, New York e Los Angeles.
La Appelgate nacque nel 1963, e crebbe a Farmington, nel Minnesota. Da ragazza fu una cheerleader, in seguito fece la cassiera e lavorò per una compagnia telefonica. Nel 1981 tentò il suicidio con un’overdose di pillole mediche, ma la famiglia negò il problema. Diffusasi nella cittadina la notizia del suo gesto, Colleen Marie decise di «scappare» in California insieme al suo fidanzato Mike Marcell. Arrivati a Los Angeles senza il becco d’un quattrino, decisero di contattare un’agenzia di modelle. Iniziarono così le prime pose per alcuni fotografi softcore finché, lusingata dalle ricche offerte, la Applegate accettò la proposta di girare alcuni film porno. Di fronte a quest’escalation il fidanzato non resse e se ne tornò nel Minnesota, pur continuandola ad amarla fino alla fine.
Nell’arco di due anni (1981-1983) Shauna Grant realizzò trenta film porno, tutti di grande successo – guadagnava in media 1.500 dollari al giorno, viaggiava in Limousine ed era così famosa che più volte cenò allo stesso tavolo di Francis Ford Coppola.
Nel 1983, però, uscì di scena – non ne poteva più, del porno. Aveva fatto sesso con molti uomini, contratto l’herpes e avuto un aborto: poteva bastare, dal suo punto di vista. Il 14 marzo di quell’anno l’attrice americana presentò l’ottava edizione degli Adult Film Association Awards. Cinque giorno dopo Mike volò a Los Angeles perché voleva incontrarla, ma la Grant si dimenticò del suo arrivo – l’uso di droghe la rendeva ormai poco lucida. Nel frattempo fu sfrattata e abbandonata dal suo fidanzato-spacciatore, tanto che prese in seria considerazione la possibilità di fare ritorno a Farmington, anche se la sola idea di farlo la gettava nella più cupa disperazione.
Il 23 marzo la Appelgate si spara un colpo alla tempia. Morirà due giorni dopo in ospedale. Ai funerali non partecipò nessun esponente dell’industria pornografica, per non esasperare il dolore della sua famiglia, che mai aveva accettato la deriva hardcore della loro giovane Colleen Marie.
Biondina, sensuale, dolce nelle movenze, Shauna Grant era davvero figlia dell’umile provincia americana; si vedeva chiaramente che era stata tirata su in un ambiente sano, tranquillo, affettuoso e che, come tante, la sua sfortuna era soltanto figlia dei sogni in eccesso della provincia sonnacchiosa. La brutalità del «mattatoio» non è mai riuscita a renderla spenta o aggressiva come tante sue colleghe. Basta vedere su internet film come Suzie superstar (1983) oppure Virginia (1983) per capire immediatamente che anche sul set sembrava fare l’amore come una «normale» benché bellissima cassiera di Farmington – e questo fa ancora più male, per chi ne conosce la sfortunata e tragica storia.
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Non solo droga, ma anche Aids. Tra le tante storie che si conoscono, basti ricordare quella di John Holmes, «l’Elvis Presley del porno», protagonista superdotato di oltre duemila film, morto di hiv nel 1988. Poi c’è quella di Johnny Rahm (nome d’arte Barry «JT» Rogers). Nato nel 1965 a Milledgeville, in Georgia, Rahm proveniva da una famiglia conservatrice battista e aveva fatto buoni studi universitari. Nel 1988 entrò nella pornografia gay, lavorando attivamente per circa un decennio (quasi sempre diretto dalla famigerata regista Cha Cha LaRue). Nonostante scoprì di essere sieropositivo, accettò di girare alcuni film di genere barebacking (sesso senza condom, anche in situazioni pericolose; non sono poche le persone che amano accoppiarsi consensualmente con sieropositivi per il brivido intenso che procura la sfida diretta con la morte). Depresso per la malattia e per la quasi totale assenza di assistenza da parte della previdenza sociale, si tolse la vita, il 7 novembre del 2004, impiccandosi con un filo al recito del giardino botanico di Atlanta.
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Il nome d’arte fu un esplicito omaggio alle sue origini italiane. Lolo Ferrari in realtà si chiamava Ève Geneviève Aline Vallois, ed era nata in Francia, a Clermont-Ferrand, nel 1963. Da giovane fu modella, mentre nel 1988 sposò Eric Vigne, un uomo più grande di lei di quattordici anni.
Le pellicole hard di cui fu protagonista immortalano una donna esageratamente kitsch: seno rifatto da record (180 cm), labbra gommose, capelli lunghi e arruffati, occhiali da sole anche durante il coito, tacchi alti, lingerie pacchiana e toys a portata di mano. In realtà dietro a questa pornostar «espressionista» – che più che mimare la sessualità realistica sembrava inscenare installazioni artistiche con il corpo – si nascondeva una donna fragile e problematica.
Il 5 marzo del 2000, all’età di trentasette anni, fu trovata senza vita a casa del marito, a Grasse. L’autopsia stabilì che a ucciderla era stata un’overdose di antidepressivi e ansiolitici, ma una seconda autopsia, fortemente voluta dai suoi famigliari, lasciò aperta la possibilità che a toglierle la vita fosse stato, soffocandola, il marito. Dopo tredici mesi di carcere, invece, Eric Vigne fu prosciolto da ogni addebito.
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Su internet, oggi, è una delle regine del genere busty classic (i classici delle maggiorate). Shannon Michelle Wilsey, in arte Savannah, è probabilmente la più famosa tra le pornostar suicide. Nata nel 1970, visse in Texas con la madre separata e, in seguito, con i nonni. Nei primi anni Novanta divenne una delle star della Vivid Video, e realizzò circa un centinaio di film, tutti facilmente scaricabili nelle categorie vintage e classic porn.
Savannah ebbe molte storie d’amore con personaggi famosi come Billy Idol, Vince Neil, Billy Sheehan e Mark Wahlberg; ma la fama e la ricchezza non la resero felice, anzi; fu tossicodipendente ed ebbe gravi problemi finanziari, perché tutto quello che guadagnava lo spendeva in droghe e capricci – in effetti ebbe molti problemi sul lavoro proprio a causa dei suoi capricci, pare proverbiali.
Era molto famosa, vinceva i premi del settore e, ancora oggi, viene ricordata da amici, fans e nei programmi televisivi – in America c’è addirittura un collezionista di suoi cimeli. La sera dell’11 luglio del 1994 Savannah uscì fuori strada a bordo della sua Corvette – dall’incidente uscì con il viso ferito e il naso rotto; nulla, comunque, di irreparabile. Evidentemente fu la goccia che fece traboccare il vaso. Rientrata a casa a Universal City, chiese a un amico di portare il suo cane fuori, dopodiché, nel garage, si sparò in testa. Fu trovata in agonia dalla sua manager, Nancy Pera. Morì in ospedale qualche ora più tardi.
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Sicuramente fra qualche anno crescerà la consapevolezza che anche la pornografia invecchia – e si fa storia. Sempre meno ci si potrà illudere, sospendendo l’incredulità, della contemporaneità dei corpi vivi del porno, tutti destinati a invecchiare, infine a morire – e, molti, già lo sono. A un certo punto sarà evidente a tutti che gli attori porno defunti saranno maggiori di quelli vivi. Come ci si approccerà, quel giorno, al piacere dei morti che un tempo furono vivi? Ci si può eccitare – conoscendo i fatti, la nuda verità storica – con i film delle attrici e degli attori che abbiamo sin qui ricordato, tutti morti tragicamente?
Probabilmente quando la consapevolezza della morte irromperà nello sguardo della maggior parte degli «utenti», i grandi siti hardcore tenderanno a separare rigidamente le novità dalle pellicole vecchie, che godranno di sempre minore fortuna. La pornografia è una grande industria teatrale dell’«organizzazione» del piacere, e il piacere, a parte sparuti casi di necrofilia, mal si esprime e si accoglie con addosso il fiato freddo della morte. Perciò tra qualche anno i nomi che abbiamo rievocato in questa breve spoonriver saranno quasi sicuramente materia di lavoro soltanto per pochi archeologi dei sotterranei del web.