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 2016  luglio 04 Lunedì calendario

FISCO, LA SCOMMESSA DI RENZI COSÌ CAMBIERANNO LE IMPOSTE

Qualcuno dice che dal cappello di Matteo Renzi uscirà anche la riedizione del ministero delle Finanze: abolito nel 2001 da Berlusconi, potrebbe dare il segno di un nuovo inizio fiscale. Il ritorno di un ministro sul delicato dossier batterebbe il tempo delle riforme di fine legislatura e testimonierebbe l’intenzione di prendere di petto la madre di tutte le questioni di politica economia: quella fiscale. Probabilmente quella di ridare vita al vecchio ministero delle Finanze resterà solo un’intenzione e sarà probabilmente rimandata ai programmi della prossima legislatura. Ma una cosa è certa dopo la pausa estiva tutti gli sforzi del governo saranno concentrati sul tema tasse. Con due obiettivi: ridurre la pressione e firmare una tregua nel rapporto dei cittadini con il fisco. L’anno cruciale della svolta sarà il 2017, ma dopo la Brexit le risorse sono limitate e l’idea dell’anticipo del taglio dell’Irpef potrebbe essere riesaminata. Resterebbero sul campo poche risorse da indirizzare alla riduzione del cuneo fiscale e agli incentivi agli investimenti tant’è che si comincia a parlare di semplici interventi mirati per creare zone "no tax" a Milano o a Bagnoli. Vediamo una per una le sfide del governo.
Non più tartassati. Non è uno slogan ma un chiodo fisso di Renzi. Non più gente che protesta in tv per una ingiusta cartella delle tasse, basta con i Gabibbi, basta con il tragico ricordo dei suicidi del 2012 e degli anni terribili della crisi italiana. Equitalia, la società di riscossione che appartiene a Agenzia delle entrate e Inps, deve trasformarsi, fondersi e preferibilmente il suo nome deve sparire dalla circolazione. Le ipotesi sono molte: si parla di trasformazione della struttura da spa a ente o agenzia, c’è chi propone di incastonare la struttura di riscossione all’interno del ministero del Tesoro. Ma l’idea che sembra andare per la maggiore è quella della fusione tra Agenzia delle entrate ed Equitalia: un’unica struttura, secondo le valutazioni che si stanno facendo, sarebbe la soluzione migliore ai fini del rapporto tra contribuente e amministrazione fiscale. Uno dei problemi sul tavolo è infatti lo scarso coordinamento e il mancato allineamento informativo tra le due strutture: può accadere infatti che l’Agenzia accerti una cifra, che Equitalia si attivi per recuperarla, ma che nel frattempo il contribuente abbia già pagato, abbia sanato con una adesione il proprio debito, oppure abbia vinto un contezioso. Spesso Equitalia non è al corrente di questo aspetto e l’azione prosegue provocando casi eclatanti e giuste proteste. L’ipotesi di una SuperAgenzia, che consentirebbe di superare molte problematiche, è fattibile? La legge che ha istituito l’Agenzia delle entrate alla fine degli Anni Novanta di fatto già prevede che la titolarità della riscossione (e non solo dell’accertamento) spetti all’Agenzia delle entrate che oggi utilizza Equitalia, ma che in via teorica, potrebbe utilizzare anche un altro ente o società. Quindi ostacoli giuridici all’eventuale fusione non ce ne sono. Problemi potrebbero nascere invece per il personale: quello di Equitalia ha ereditato il contratto dei bancari dalle vecchie strutture di riscossione che prima della riforma erano gestite dagli istituti di credito: i dipendenti di Equitalia potrebbero mettersi di traverso e non voler perdere le prerogative di quel contratto a favore di un inquadramento pubblico.
Un volto umano. Ha cominciato Rossella Orlandi, la direttrice dell’Agenzia delle entrate, che proprio in una recente intervista a Repubblica, ha enunciato un atteggiamento diverso verso i contribuenti che cadono in errore: "Bisogna distinguere tra chi è in buona fede e chi no, tra dolo e colpa, tra chi è solo disinformato o distratto e chi è un evasore incallito". Anche le unghie di Equitalia nel corso degli ultimi anni sono state spuntate: nel 2013 il governo Letta alleggerì decisamente gli strumenti della riscossione eliminando la pignorabilità della prima casa e ponendo limiti al sequestro di stipendio e beni strumentali. Renzi e Padoan intervengono nuovamente negli ultimi due anni rendendo più facile l’accesso alla rateizzazione che oggi può arrivare fino a 120 rate. La presenza, dal giugno del 2015, alla guida di Equitalia, di un manager giovane e moderno come Ernesto Maria Ruffini ha dato una spinta ulteriore con interventi mirati ma assai efficaci per alleviare le pene del contribuente: la cartella delle tasse arriva oggi a domicilio con già incorporato il piano di rateizzazione e si può aderire in modo automatico; il pagamento delle rate si può fare con la domiciliazione bancaria senza dover fare la fila per i bollettini alle Poste; durante il mese di agosto e nei periodi più critici viene sospeso l’invio delle cartelle di riscossione. La strada è questa. Si tratta di implementarla.
La scommessa delle aliquote. Negli ultimi due mesi il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha messo in atto un pressing senza precedenti. L’obiettivo è quello di anticipare al 2017 il taglio dell’Irpef che, fin dal celebre discorso alla direzione del Pd all’Expo la scorsa estate, doveva essere collocato nel 2018. Il problema naturalmente sono le risorse: il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è assai cauto, dice che è favorevole alla riduzione dell’Irpef, aggiunge che "non esclude" ma inesorabilmente chiude ponendo la condizione delle compatibilità di bilancio. Via Venti Settembre fa il suo mestiere. E dopo il Brexit i margini si fanno più stretti.
Come ridurre la pressione? Il governo ci tiene a dire che negli ultimi due anni le tasse sono state tagliate. Padoan ha addirittura emesso una nota tecnica che spiega come la riduzione ammonti a circa 20 miliardi. Da fonti terze, che hanno rifatto recentemente i conti come il centro studi Twig, emerge una conferma dell’operazione di allentamento del peso delle tasse nei due anni in questione: del resto, anche l’ultimo Documento di economia e finanza, dà la pressione fiscale in riduzione dal 42,9 per cento del 2015 al 42,2 per cento di quest’anno, ovvero 0,7 punti percentuali che aumenterebbero se la contabilità Ue considerasse come una riduzione delle tasse il bonus da 80 euro. Ma la necessità di rilanciare l’economia e di aumentare il potere d’acquisto degli italiani resta impellente e per molti il raggiungimento di questi obiettivi passa per il taglio delle tasse. Le ipotesi non mancano: si parla di limatura delle aliquote centrali, di un taglio della aliquota più bassa del 23 per cento, o addirittura del modello di flat tax proposto dal vice ministro dell’Economia Enrico Zanetti. Limando le aliquote centrali del 27 e del 38%, il costo sarebbe circoscritto a 3 miliardi ma se l’intervento fosse, come si ipotizza, sulla prima aliquota del 23 per cento, cui unire il taglio a quella del 27, il conto per un solo punto di riduzione salirebbe a 6 miliardi. La flat tax di Zanetti prevederebbe invece la riduzione da cinque a tre aliquote, con uno scaglione centrale tra i 15 mila e i 75 mila euro con un peso del 27 per cento. Il costo è piuttosto elevato: dai 9 ai 12 miliardi.
La partita della clausola di salvaguardia. La nuova legge di Bilancio le abolirà, ma per ora bisogna ancora farci i conti. Dal 1° gennaio del prossimo anno scatterà una clausola di salvaguardia sui conti pubblici che ci impone di aumentare l’Iva per 2 punti, dal 10 al 13 per l’aliquota intermedia e dal 22 al 24 per la più alta. Il governo è impegnato a disinnescarla anche perché l’aumento delle aliquote intermedie peserebbe sui consumi e sul reddito delle famiglie: servono 15,1 miliardi e grazie alla flessibilità spuntata a Bruxelles basterà trovarne circa la metà a colpi di spending review, rientro di capitali dall’estero, revisione delle agevolazioni fiscali. Una partita che va tenuta in considerazione.
Meno tasse su lavoro e investimenti L’altro fronte caldo è quello della tasse sulle imprese: il vecchio timing prevede una riduzione dell’Ires dal 27,5 al 24 per cento a partire dal 1° gennaio del 2017. La norma è stata già inserita nella legge di Stabilità del 2016 e i 3 miliardi di copertura già stanno nei tendenziali. Tuttavia su questo aspetto c’è un dibattito sotterraneo: alcuni pensano che si potrebbero sacrificare i 3 miliardi delle imprese per fare posto all’anticipo Irpef. Altri sono al lavoro per una operazione complessiva di riduzione del cuneo fiscale che a questo punto trasformerebbe in strutturale la decontribuzione per le nuove assunzioni a tempo indeterminato ormai in esaurimento. Si parla anche di no tax area per favorire gli investimenti a Milano e a Bagnoli e di una flat tax per le microimprese individuali.
Le tasse locali. Il 31 dicembre del 2016 scade il blocco dell’aumento delle tasse locali. Naturalmente all’attivo del governo c’è l’eliminazione della Tasi sulla prima casa costata 4 miliardi, ma il livello - sebbene nella recente campagna elettorale per le comunali l’argomento sia stato evitato - è all’ordine del giorno. Il livello è altro: negli ultimi cinque anni le tasse locali, da quelle sulla casa, ai rifiuti, all’addizionale Irpef hanno fatto un balzo notevole, con aumenti per una famiglia-tipo, che paga addizionale Irpef, rifiuti e una eventuale seconda casa magari avuta in eredità, fino al 300 per cento: basti pensare che solo negli ultimi tre anni sono stati drenati così circa 7 miliardi dai contribuenti.
Le microtasse. Costa poco eliminarle e sono molto fastidiose. E’ sempre in cottura infatti il decreto destinato ad eliminare la tassa sul passaporto (73,50 euro) e quella sul diploma di laurea (16 euro). Più complicata invece l’abolizione del bollo auto, perseguito da Renzi e che dovrebbe essere finanziato con l’aumento delle accise. Il meccanismo era già stato proposto nei mesi scorsi ma la vicenda aveva segnato il passo: a pesare il gettito di circa 6,5 miliardi e dunque la necessità di un aumento congruo delle accise pari a 15 centesimi. Obiezioni vennero inoltre sollevate sul piano sociale: mentre il bollo è legato al tipo di macchina, di lusso o utilitaria, l’aumento della benzina ricadrebbe su tutti indistintamente.
di ROBERTO PETRINI, Affari&Finanza – la Repubblica 4/7/2016