varie, 5 luglio 2016
DELITTI USCITI SUL FOGLIO DEI FOGLI DEL 4 LUGLIO 2016
Gilberto Manoel Da Silva, 45 anni. Transessuale brasiliana, a detta dei vicini «gentile con tutti, tranquilla, carina», si prostituiva a Firenze in un piccolo appartamento in via Fiume dove abitava con le dominicane Mariela Josefina Santos Cruz, 27 anni, e F.M., 25 anni. Da qualche anno aveva una relazione stabile con Mirco Alessi, 42 anni, fiorentino, separato da pochi mesi, figlio di imprenditori, venditore di borse. E di continuo gli chiedeva denaro, altrimenti, minacciava, avrebbe svelato a tutti la loro storia. L’Alessi, stufo d’essere ricattato, all’alba di mercoledì andò a casa sua e in camera da letto le infilò un coltellaccio da cucina più volte in tutto il corpo. La Santos Cruz svegliata dalle grida dell’amica si alzò dal letto, Alessi saltò addosso pure a lei, la ragazza provò a fuggire ma lui la raggiunse sul pianerottolo e lì la massacrò di coltellate. Voleva ammazzare pure F.M. ma quella vedendolo brandire la lama urlando si gettò dalla finestra del primo piano. Subito dopo l’Alessi montò sulla sua Citroën C1 rossa, andò nel suo mini appartamento di via Palazzuolo, dove viveva prima della separazione con la moglie e un figlio, e si cambiò gli abiti zuppi di sangue. Quindi rimontò in auto, guidando telefonò agli anziani genitori per dirgli «ho fatto un macello», chiamò pure i carabinieri chiedendo se fossero contenti per le «due sorprese» lasciate in via Fiume e aggiunse con tono di sfida: «Cosa devo fare per farmi prendere?». Poi confessò i delitti a un amico («sono pieno di sangue, ma sto bene e sono tranquillissimo») e arrivò a Monticiano, provincia di Siena, dove fu arrestato.
Alle 7 di mattina di mercoledì 29 giugno in un piccolo appartamento in via Fiume 1, a due passi dalla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella, a Firenze.
Bernadette Fella, 55 anni. Di Modena, dolce, minuta, due figli di 26 e 30 anni avuti dall’ex marito, ex insegnante, volontaria per un’associazione che prova a reintegrare le persone con difficoltà. Per sette anni aveva avuto una storia burrascosa – fatta di liti continue, botte, denunce, riconciliazioni e remissioni di querela – con Armando Canò, 50 anni, in passato in cura presso un dipartimento di salute mentale, qualche precedente per piccoli furti, noto ai più per il suo lavoro di tuttofare. Una decina di giorni fa durante l’ennesima discussione costui la centrò con un pugno in piena faccia, lei allora trovò la forza di cacciare di casa quell’uomo che la mandava sempre in giro piena di lividi e la terrorizzava (alle amiche diceva sempre «ho paura di morire»). Il Canò scese a prendere le sue poche cose nel ripostiglio dello scantinato ma anche lì scoppiò una lite e lui le strinse le mani attorno al collo finché non smise di respirare. Quindi infilò il cadavere in un vecchio frigorifero in disuso, raggiunse un’amica a Castelfranco Emilia, il primo borgo accanto a Modena andando verso l’Appennino, e le chiese ospitalità per qualche giorno. Il cadavere, mezzo putrefatto, ritrovato lunedì sera dai vigili del fuoco e dalla polizia municipale, chiamati dai vicini di casa che s’erano allarmati per via del fetore insopportabile che arrivava dalla cantina.
Domenica 19 giugno in un condominio alla periferia di Modena.
Emanuela Preceruti, 44 anni. Di Dorno in provincia di Pavia, maestra d’asilo in cerca di lavoro, una figlia di 12 anni avuta da una precedente relazione, qualche anno fa s’era trasferita in Francia per seguire un nuovo amore ma anche quella storia era finita male. Su Facebook aveva ritrovato il compaesano Roberto Garini, 51 anni, infermiere, separato. Si erano scritti, si erano incontrati, era sbocciata la passione, lui l’aveva fatta tornare a Dorno dicendosi disposto a mantenerla e ad accogliere pure la figlia. Così i tre erano andati a vivere in una palazzina a due piani di via Passerini, nel centro del paese, da cui erano stati ricavati due appartamenti attigui ma separati. Da tempo però le cose non funzionavano più, lui beveva troppo ed era diventato irascibile, così lei qualche giorno fa gli aveva fatto sapere che intendeva lasciarlo. Lui, imbestialito, pretendeva che la donna gli restituisse i soldi che gli aveva fatto spendere per la ristrutturazione della casa e per «comprarle la macchina, i vestiti, tutto quanto». L’altra sera dopo aver trangugiato otto birre di fila le mandò un sms sollecitando il «saldo del debito» e lei, a suo dire, scoppiò in una fragorosa risata. Allora lui prese una spranga di ferro e con quella sfondò la porta dell’appartamento della donna portandosi appresso una delle tre pistole che usava al poligono. Madre e figlia si rifugiarono nel bagno al secondo piano ma lui sfondò pure quella porta e sparò almeno dieci colpi contro la compagna. Un proiettile rimbalzando colpì di striscio la ragazzina che si finse morta e poi quando capì che il killer s’era allontanato corse in balcone, si tuffò in cortile (volo di cinque metri) e prese a urlare. Nel frattempo il Garini chiamò il 118 («ho ucciso la mia compagna»), si trincerò in salotto, aprì la finestra, minacciò i pochi passanti di far fuoco e infine si lasciò catturare dai carabinieri che lo trovarono in bagno avvinghiato in lacrime al cadavere della Preceruti.
Intorno alle 23 di martedì 28 giugno al civico 93 di via monsignor Passerini a Dorno, cinquemila anime in provincia di Pavia.