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 2016  luglio 02 Sabato calendario

QUANDO LA SCOLLATURA ERA UN AFFARE DI STATO


L’eterna guerra fra la Francia e l’Italia per il primato nella moda comincia nel Seicento, a Parigi, quando si affermano le trine e i pizzi. Jean Baptiste Colbert, primo ministro del Re Sole, apre scuole di merletto, chiamando ricamatrici veneziane, che i veneziani inseguono, perseguitano, rischiando di ridurle come i vetrai di Murano andati a esportare i segreti del vetro alla corte di Francia e che finirono uccisi dai sicari della serenissima.
Col progredire della civiltà, la guerra per dirla alla Carl Von Clausewitz prosegue con altri mezzi. Oggi imperano quelli finanziari, con gli storici marchi del Made in italy acquisiti dai colossi del lusso francesi, come Fendi, Emilio Pucci e Bulgari a lvmh, o Gucci dalla Kering di François Pinault. Negli anni Venti, i mezzi sono quelli della filosofia applicata al ruolo della donna nella società. La contesa è fra Coco Chanel ed Elsa Schiapparelli. La prima libera le donne dai corsetti, inventando abiti lunghi fino alla vita, sciolti e fluttuanti, l’altra disegna vestiti fascianti che esaltano décolleté e fianchi, inventa apposta la guaina elastica, lancia i seni svettanti che avranno ragione negli anni cinquanta delle maggiorate.

Piedi e viso più peccaminosi del seno
Con stile come l’Italia ha vestito (e svestito) il mondo, appena firmato da Alessandro Marzo Magno per Garzanti, è una miniera di aneddoti e documenti storici sull’evoluzione della moda. Si può leggere aprendolo a caso, partendo dalla fine, rileggendo gli stessi capitoli e sempre trovandovi diletto o spunti di riflessione. Il velo, per dire, il cui uso integralista spesso oggi c’indigna, non risulta un’invenzione dell’Islam. In Italia, fino a metà Ottocento, è inconcepibile che una donna rispettabile compaia in pubblico a capo scoperto, e nelle classi popolari il fazzolettone sulla testa resiste ancora a lungo. Il velo, fin dal Medioevo, caratterizza l’essere donna. Tuttavia è curioso che mentre le nobildonne nubili non possano mostrare il volto, possano invece mostrare il seno. Nel 1472, la diciottenne Caterina Corner lascia Venezia per diventare regina di Cipro con una scollatura che fa epoca.
Nel Rinascimento, nel Settecento, gli abiti femminili scoprono finanche i capezzoli. La scollatura esagerata ha il marchio italiano e un sapore politico. Sul finire del Rinascimento, quando nell’ultracattolica Spagna si affermano abiti neri, accollatissimi, in Italia le scollature si fanno più profonde. Specie a Venezia. «Più le spagnole si coprono, più le veneziane si scoprono. Per la città dei dogi» spiega Marzo Magno, «mostrare il seno delle nobildonne è come accendere un faro sull’Europa indipendente». Più peccaminosi dei seni, sono i piedi, considerati per secoli tentazione erotica e strumento del diavolo. Nell’antica Roma, gli uomini escono solo con scarpe chiuse, per le donne il piede è simbolo di castità e i sandali li calzano solo le prostitute. Ai primi del Novecento, in Italia, le ragazze con più di 16 anni possono mostrare i piedi solo al marito. Quando Isadora Duncan, a Vienna, danza a piedi nudi, scandalizza l’Europa intera.

Zeppe alte 60 centimetri
Ci sono stati momenti della nostra storia in cui busti e crinoline si sono contesi con le scarpe il primato degli strumenti di tortura che le donne si autoinfliggono per essere belle. E qui l’autore si fa anatomopatologo della moda e delle sue distorsioni. Per sei secoli, il busto usato per rendere minuto il girovita delle donne impedisce ogni attività fisica. Le popolane, infatti, non lo indossano: devono lavorare. I medici chiedono l’abolizione perché deforma le costole, addirittura rende infertili, ma bisognerà aspettare la prima Guerra Mondiale perché le donne vi rinuncino. Solo allora avrà successo l’invenzione del reggiseno, che è del 1889. Per la prima volta dal tempo degli antichi romani, si rovescia il concetto: invece di sostenere il petto appoggiandosi sulle anche, lo si sospende a due bretelle sorrette dalle spalle. A crearlo è Herminie Cadolle, francese. Questo, almeno, bisogna riconoscerlo.
Ma vi è di peggio che il busto. Le “pianelle”, per esempio. A dispetto di come oggi le intendiamo, sono sì scarpe piane, ma issate su una zeppa che consente di camminare solo se poggiate a un cavaliere. Al Museo Correr di Venezia se ne conservano un paio alto 52 centimetri, al museo Bardini di Firenze ne è esposta una alta 60 centimetri. A saperlo, si comprende meglio Julia Roberts che all’ultimo Festival di Cannes si è tolta le scarpe dai tacchi altissimi per salire lo scalone d’onore. Le pianelle, in origine, servono a slanciare la figura, ma anche a ostentare ricchezza, poiché la stoffa costa e sfoggiarne di superflua è segno di distinzione. Per lo stesso motivo, le crinoline piacciono tanto alle donne dell’alta società del XIX secolo. Le gonne del tempo possono avere dieci strati di stoffa. Sorrette da pesantissime gabbie in legno o metallo, sono così larghe che di frequente urtano candele accese e incendiano la malcapitata.
A Trieste, con la bora, le gonne sorrette da crinoline possono gonfiarsi fino a far ribaltare le signore. Oggi, ci si ribalta per i tacchi alti, o ci si becca un raffreddore per via di certi nude-look. Il sollievo è che la moda non impone più diktat e che le donne (volendo, ma anche no) possono optare anche per qualcosa di comodo. Dopo aver letto Marzo Magno, significa parecchio.