4 luglio 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - LA DISCUSSIONE NEL PD REPUBBLICA.IT ROMA - "Pronto ad ascoltare le vostre, vi offro alcune mie considerazioni
APPUNTI PER GAZZETTA - LA DISCUSSIONE NEL PD REPUBBLICA.IT ROMA - "Pronto ad ascoltare le vostre, vi offro alcune mie considerazioni. Questa è una comunità che discute. E litiga. Litigano tutti nei partiti, ma altri nel chiuso delle stanze. Loro fingono di essere una falange e appaiono come tali. Noi valorizziamo solo ciò che ci divide". E’ con un rimprovero che Matteo Renzi apre il suo intervento in una direzione Pd densa di temi cruciali al Life Hotel di via Palermo a Roma (il Nazareno non avrebbe potuto ospitare tutti i partecipanti previsti). È il giorno del confronto fra la linea del segretario-premier e quella della minoranza del partito su alcune questioni divisive: risultati delle amministrative, Italicum, riforme, doppio ruolo del premier-segretario. Renzi anticipa gli otto punti del suo discorso: situazione internazionale e terrorismo, la Brexit, il referendum costituzionale, la situazione economica, le amministrative, come cambiare il partito, il calendario e, infine, "il mio ruolo". Ma, fondamentalmente, invita la minoranza ad abbandonare la "strategia del conte ugolino", del logoramento interno usando false questioni come "un dato delle amministrative difficile da giudicare", per andare al punto: farsi avanti con proposte alternative con cui, magari, sfidarlo in Congresso. "Ma finché ci sono io - avverte il leader dem - qui non comandano le correnti". Politica internazionale e terrorismo. "Non c’è tregua, piangiamo le vittime di Dacca. Che non sono solo numeri. La realtà ci parla di storie, persone. Sono volti e non è possibile non accogliere su di noi le lacrime delle loro famiglie. Dobbiamo avere la forza di non abituarci all’orrore. E deve esserci il desiderio di mantenere in vita i valori che difendiamo". "Al G7 di Taormina porteremo l’idea che quanto accade va combattuto militarmente, ma c’è una questione culturale: giovani che scelgono il terrorismo mentre il Daesh è in difficoltà. Abbiamo una grande emergenza educativa. Non solo in Bangladesh. I nostri valori vanno spiegati alle nuove generazioni". "E’ il punto chiave del lavoro che ci attende nei prossimi mesi. L’Italia avrà davanti tre opportunità per portarlo avanti: il G7 di Taormina, nel 2017 saremo nel Consiglio di sicurezza Onu e sedendo nella stanza dei bottoni porteremo l’attenzione su questo approccio e al rapporto Europa-Africa. E nel marzo 2017, grazie a una serie di accordi, l’Ue verrà a Roma per il rilancio dei Trattati". Ricordando Elie Wiesel, Renzi rimarca: "Politica non è demagogia ma avere una visione". La Brexit. Renzi ricorda il "sacrificio" di Jo Cox e la campagna d’odio in Gran Bretagna. "L’Ue può scrivere una pagina nuova, perché così com’è non va. Chiedevamo e abbiamo ottenuto una flessibilità rispetto al Fiscal Compact a cui l’Ue si era legata. Ma da sola la flessibilità non basta, bisogna indicare un progetto chiaro. La visione europeista che noi difendiamo non è contro l’interesse nazionale, sono disposto a litigare con tutti in Europa. Non si tratta di riaprire pagine del passato (legge Fornero e banche). Il punto è che l’Italia deve fornire un’agenda di sviluppo europeo che non può essere ignorata. Non siamo più quelli da giudicare, come Spagna e Portogallo. Sarebbe un errore che la Ue rispondesse a Londra sanzionando quei Paesi, ma è fondamentale che l’Italia faccia sentire la sua voce sulla crescita e contro l’austerity". E si riparla di valori e comunicazione. I valori che l’Italia ha "comunicato" con l’operazione di "recupero del relitto con i cadaveri dei migranti, donne e bambini, morti perché chiusi a chiave dagli scafisti". Sulle banche "molti dei sondaggi contro il partito nascono da lì. Trovo le polemiche, figlie di una narrazione M5s, ingiustificate. Noi non abbiamo salvato i banchieri, ma i correntisti. E se la misura delle Popolari fosse stata presa dal governo di centrosinistra del 1998 che non ne ebbe la forza, la questione oggi non si riproporrebbe. Noi abbiamo fatto ciò che serviva perché le istituzioni facessero il loro dovere. Salvare i correntisti significa fare l’interesse dei cittadini e delle piccole e medie imprese". Referendum. "Perchè l’Italia sia forte e credibile serve stabilità istituzionale. Che non è immobilismo, ma riforme con l’anima. E conosco le vostre critiche sulla personalizzazione del referendum". Qui Renzi mostra in video la celebre e pressante esortazione dell’ex presidente Napolitano alle forze politiche sull’urgenza delle riforme istituzionali, invitate a non "autoassolversi" da responsabilità sui tanti "nulla di fatto" sulla legge elettorale e sul "bicameralismo paritario". "Io ero a Palazzo Vecchio, voi applaudivate a quel discorso - riprende Renzi -. C’è lo spazio per passare dai veti ai voti. Di dare al Paese un sistema più semplice ed efficace, cercando pazientemente dentro e fuori il partito la massima convergenza". "Io non credo alla personalizzazione, è un refrain. C’è qualcuno tra di voi che pensa che nel caso in cui il referendum si concludesse con un ’no’ il presidente del Consiglio non ne prenderebbe atto? Se c’è gli faccio i complimenti, ma il problema è cosa accade al Paese e alla classe politica, non a me. Se il referendum passa la classe politica dà un segnale, la più bella pagina di autoriforma in Occidente. Se vincerà il "sì", la classe politica "sarà più in grado di guidare e cambiare il Paese. Si chiude la stagione delle riforme e si apre la stagione del futuro". Renzi respinge l’accusa di personalizzazione e chiude accusando piuttosto chi del referendum "ha fatto una sorta di derby personale. E la data del referendum non è nelle nostre disponibilità. Chi ha paura di confrontarsi con i cittadini faccia altro". Situazione economica. La prima forma di lotta alla povertà è la crescita. E’ riportare il segno più davanti agli indicatori economici, è creare posti di lavoro. Di questi 401mila a tempo indeterminato. Pochi? Certo, ma non c’è mai stata una crescita dell’occupazione di milioni in due anni. Piaccia o non piaccia, il Jobs Act ha messo alle corde il precariato. E noi ce ne vergogniamo". "Investimenti, con Graziano Delrio parliamo tutti i giorni. Nel 2014 siamo ritornati a 30 miliardi di investimenti annui, non basta ma è questa la direzione: Jobs Act, investimenti e riduzione delle tasse". Lotta alla povertà, "io considero di sinistra il Jobs Act non l’assistenzialismo o gli aiuti a pioggia. Il problema non è dare una mano a chi non ce la fa, proviamo a farlo tutti. E’ il principio che non può funzionare. Non posso avere uno stipendio solo in qualità di cittadino". "Ma questa è anche la legislazione dei diritti civili, la legge sulle unioni civili. Altre proposte sull’autismo, sul caporalato, sulla cittadinanza, per un cantiere sociale di estrema importanza anche per la cooperazione internazionale". In conclusione, la Repubblica democratica "è fondata sul lavoro, non sullo stipendio al cittadino. C’è chi in Parlamento sogna la decrescita felice". "Andare in giro tra chi sta male? Io sono stato a Termini Imerese, quando la fabbrica era chiusa, nella Terra dei fuochi, a Lampedusa da Giusi Nicolini e dal dottor Piero Bartolo, sul Bisagno e nei luoghi dove la crisi faceva così male da non avere più neanche un nome, a Taranto. Vogliamo riconoscerlo?" Le amministrative. "Un dato difficile da giudicare in modo organico, difficile da capire. Che varia da chilometri e chilometri, 20 punti percentuali tra Bologna e Rimini. In alcune realtà il nostro partito sorprende in positivo, in altre no. A Milano, non sarebbe stata possibile la vittoria di Beppe Sala senza la straordinaria mobilitazione del Pd di quella città. In Lombardia abbiamo tutte le città nelle nostre mani, non in Piemonte. Varese e Novara, settanta chilometri. Mi apro alla discussione. Tocco magico finito? Non c’era nemmeno nel 2014, quando dopo la vittoria alle europee abbiamo perso al ballottaggio città fondamentali: Livorno, Potenza, Padova, Perugia. Succede così, si vince e si perde. Abbiamo perso Fano, Matera, Venezia. Sulla base di candidati scelti nelle primarie, con il segretario che dà una mano a tutti. Ma le alleanze si scelgono a livello locale, lo ricordo. Le allenze le scelgono i territori. Ecco perché ci vuole fantasia per leggere il dato nazionale". "C’è chi dice che c’è un problema di linea politica. Non mi sembra che il Pd pugliese", spesso non allineato, come sulle trivelle, "abbia ottenuto risultati migliori. La sinistra radicale ha fatto meglio? Credi di no. Ma quello che voglio dire è che il dato è difficile da leggere. Voglio guardare a ciò che si è sbagliato per migliorare. Il problema è intercettare la rappresentanza democratica in un mondo che cambia. Che non è un problema italiano. Il problema, per molti di voi, è il partito. Per cui, non si utilizzino le amministrative. Non è il dato delle amministrative, ma come funziona il nostro partito. Questo è l’argomento". Come cambiare il partito. "Il Pd non è un partito personale. Appartiene a una comunità di donne e uomini e io ho dimostrato che è scalabile". Dopo una panoramica sui modelli organizzativi a destra, a sinistra e del M5s ("Ciò che è virale è vero. Lo scrisse Casaleggio, io lo criticai ma era una grande verità"), Renzi ringrazia "chi lavora alle feste dell’Unità, ma alla nostra gente dobbiamo un modello che non ricalchi gli errori del passato. Finché ci sarò io le correnti non governeranno questo partito. Parlo anche ai renziani del primo e dell’ultimo minuto, a chi sale e a chi scende dal carro. Non c’è garanzia per nessuno in questo partito, a cominciare da me. Girate, fate iniziative, visitate le aziende, fateli i tavolini. State in mezzo alla gente o io e voi non abbiamo futuro". "Guardate le vostre bacheche facebook: quanti di voi hanno valorizzato le nostre cose? Se volete che lasci, non avete che da chiedere un congresso e possibilmente vincerlo, in bocca al lupo. Se volete la separazione tra le cariche di premier e segretario non avete che da proporre una modifica statutaria. In ogni caso sosterrò il vincitore. Se volete che si cambi il modello organizzativo fate proposte. Ma prima decidiamo dove vogliamo andare. La strategia ’conte ugolino’ non porta da nessuna parte. Se c’è una strategia alternativa, ben venga". "Il mio ruolo". "C’è un film su Cantona. Un suo grande fan gli chiede: qual è il tuo momento più bello, in cui hai regalato il massimo della felicità? E lui: non è stato un gol. Come no? Il fan gli ricorda i suoi più grandi gol. Cantona: no, è stato un passaggio. E se il tuo compagno avesse sbagliato? Devi fidarti dei tuoi compagni. Il referendum - riprende Renzi - è un passaggio, per l’Italia. Ma anche in questo partito, non è importante il gol ma il passaggio. Da questa parte del tavolo c’è gente che sta lavorando per quel passaggio". L’attacco di Bersani. Già questa mattina Pier Luigi Bersani ha scaldato i motori in vista della resa dei conti pomeridiana. Alla presentazione del libro di Federico Fornaro Fuga dalle urne, l’ex segretario ha attaccato Matteo Renzi sulla questione del doppio ruolo premier-segretario e sulla legge elettorale. "La separazione fra gli incarichi non è un dibattito lunare - ha replicato alle parole dette ieri da Renzi nell’intervista a Skytg24 - Non è la soluzione a tutti i problemi, è la premessa. E lui era anche d’accordo quando si candidò contro di me". L’ex segretario dem ha espresso critiche anche sulla legge elettorale: "Se non si cambia rotta, il rischio è che il Pd vada a sbattere". Il leader della minoranza Pd ha invitato inoltre a tenere in giusta considerazione il ritorno della destra: "Chi sottovaluta le potenzialità della destra in questo momento, non vede la mucca nel corridoio". E ha risposto anche all’allarme di Confindustria che, in caso di vittoria del No al referendum costituzionale, ha previso un nuovo salto dell’Italia nella recessione: "No ai ricatti sulle riforme - ha concluso Bersani- la gente non vive di solo pane". CORRIERE.IT Riunione di direzione critica, dopo il flop delle amministrative, per il Pd. Matteo Renzi prova a serrare i ranghi in vista del referendum di ottobre e lo definisce importante «non per i destini di qualcuno ma per il futuro della credibilità della classe politica italiana». Una consultazione con la quale «se vince il “sì”, si chiude la stagione delle riforme e inizia il futuro del paese». E non ci sta il premier a puntare il fuoco della consultazione sulla propria persona: «Il referendum non riguarda me ma riguarda il paese - ha aggiunto -. Se passa, la classe politica ha dato un segnale, la più bella pagina di autoriforma che una classe politica abbia fatto in occidente». E se questo referendum non è conosciuto dai cittadini è «perché lo si trasforma in una sorta di derby personale». Quanto alla data, «non è nelle nostre disponibilità, quando la Cassazione dirà di sì, il governo avrà tra 50 e 60 giorni per decidere la data». E ancora: « Chi ha paura faccia un altro mestiere, chi ha paura di confrontarsi con i cittadini vada a fare altro. Quelli che immaginano di cibarsi di veline e sondaggi che girano in Transatlantico sappia che non abbiamo paura di metterci la faccia». Brexit «Siamo alla prima Direzione dopo le amministrative che non sono andate bene, dopo Brexit, dopo Dacca - ha ricordato il premier -. Tutto nel pieno di una raccolta di firme per il referendum cruciale per il futuro della credibilità della classe politica», ha detto il premier. Che sull’esito del referendum britannico sostiene: «Farà più male ai britannici che a noi. È un clamoroso errore. L’Ue può cogliere l’occasione per scrivere una pagina nuova». Certo, di fronte a ciò che accaduto, la risposta peggiore sarebbe continuare con un discorso tecnicistico e senza valori, senza prospettiva per il futuro». Ma avverte anche che dopo il voto sulla Brexit l’Unione Europea sbaglierebbe a sanzionare Spagna e Portogallo («Paesi che hanno fatto sacrifici», ha sottolineato) per deficit eccessivo. «Noi lo diciamo da tempo che l’Ue così com’è non va», ha affermato Renzi, ricordando come questo suo atteggiamento abbia subito critiche anche nel Pd e in Parlamento, come quelle dell’ex premier Mario Monti sulla flessibilità. «All’inizio del 2016 molti giornali del cosiddetto establishment scrivevano che io, prendendo di punta l’Ue avrei terminato la mia esperienza politica. Ma la flessibilità non è una concessione all’Italia ma dovere di buon senso per l’Ue», ha aggiunto. E «l’assemblea nazionale del Pd del 23 luglio, vorrei fosse sull’Europa». Il G7 a Taormina «C’è fuori un mondo che chiede al Pd se ha le idee chiare, quella che si apre è una stagione difficile e affascinante nella quale scommetto sul fatto che il Pd possa essere protagonista e non comparsa», ha detto il premier. Che ha anche annunciato che il prossimo G7 il 26 e 27 maggio si svolgerà a Taormina. «Dal teatro greco di Taormina lanceremo i nostri valori al presidente Usa, alla presidente spero io, e ai colleghi del G7». Amministrative, «palma vittoria a M5S» «Il simbolo delle amministrative era Milano, senza una straordinaria mobilitazione del Pd in quella città non sarebbe stata possibile la vittoria». Renzi ha poi spiega che «il dato delle amministrative è difficile da decifrare in modo organico, è un dato molto complesso difficile da sintetizzare. I successi Roma e Torino attribuiscono al M5S indiscutibilmente la palma della vittoria per l’importanza delle due città». «Ai ballottaggi abbiamo perso qualche città. Succede a volte. I candidati si scelgono con le primarie e le alleanze le scelgono i territori: dare una lettura nazionale richiede molta fantasia». «Trovo superficiale raccontarlo con tanta supponenza e sfrontatezza», ha spiegato ancora il premier che, su eventuali problemi di linea politica del Pd, ha sottolineato: «Non mi pare che il Pd pugliese possa essere considerato in linea con quello nazionale e non mi pare che in questo passaggio elettorale il Pd pugliese abbia avuto risultati dissimili da quello nazionale». La stoccata alla correnti «Abbiamo una straordinaria militanza e finché io sono segretario le correnti non torneranno a guidare il partito e lo dico ai renziani della prima ora e a quelli last minute. Non c’è garanzia per nessuno in questo partito, a cominciare da me», ha detto ancora Renzi. «Fate iniziative, andate sul territorio e state in mezzo alla gente oppure non avete futuro». Il segretario dem ha anche aggiunto che «Radio Transatlantico dice che i renziani dell’ultima ora scendono dal carro...» ma «quando cercheranno di risalire troveranno occupato». «Chi vuole che io lasci? Vinca il congresso» «Credo che ci sia bisogno di una grande chiarezza tra noi, se volete che io lasci non avete che da chiedere un congresso e possibilmente vincerlo, in bocca al lupo». Mentre sulla proposta avanzata da alcuni di dividere il doppio incarico, Renzi ha rimarcato che «non c’è che promuovere una modifica statutaria e farla approvare». «Leggo di qualcuno che nel mio partito vorrebbe ritirare la fiducia», ha affermato ricordando i mal di pancia della minoranza dem e dei centristi: «Al senatore Formigoni e agli altri dico che noi non ci mettiamo a tremare. Se qualcuno vuole ritirare la fiducia non ha che da dirlo». «Questo partito non ha bisogno di qualcuno che ogni giorno pensa a fare gol, la cosa importante è il passaggio». E «il referendum non è che il passaggio più importante». Banche, niente sconti Soffermandosi sul tema delle banche e definendo «assolutamente ingiustificate e indecenti le polemiche fatte anche da alcuni di noi» sulla scia della «demagogia grillina». «Salvare i correntisti non significa fare gli interessi delle lobby dei poteri forti», ha aggiunto, ribadendo di «aver fatto tutto ciò che serviva». «Noi abbiamo tolto la politica dalle banche - ha aggiunto - io ho chiuso le primarie del 2012 a Siena dicendo che non mi sarei occupato delle nomine, noi i risparmi li salviamo». Educazione, contro il terrorismo È poi tornato a commemorare le vittime di Dacca, il premier. Ribadendo che il terrorismo «va combattuto «con le armi dell’intelligence» ma anche con «la difesa dei nostri valori» a partire dall’educazione. E a questo proposito ha ricordato che nella legge di stabilità sono stati stanziati soldi per la cultura: «Dobbiamo avere la forza di non lasciarci abituare al terrore - ha proseguito - ma dobbiamo anche saper mantenere quei valori che i terroristi vorrebbero abbattere». Meno tasse, più diritti «È la legislatura del più grande cantiere sociale, una legislatura costituente sul sociale». E ha aggiunto che occorre «avere l’onestà intellettuale di riconoscere che quello che è accaduto è la premessa per essere sinceri tra di noi: la verità è che da quando il Pd governa c’è qualche tassa in meno e qualche diritto in più». Inoltre il segretario dem a chi dal Pd chiede di più sui temi sociali, ha aggiunto: «A chi mi chiede di girare l’Italia che soffre dico che non si fa mai a tempo a essere ovunque, ma io ci sono stato e la faccia ce l’ho messa e continuerò». LASTAMPA.IT Il referendum è cruciale «non per i destini di qualcuno ma per il futuro della credibilità della classe politica italiana», dice Matteo Renzi in direzione Pd. «C’è fuori un mondo che chiede al Pd se ha le idee chiare, quella che si apre è una stagione difficile e affascinante nella quale scommetto sul fatto che il Pd possa essere protagonista e non comparsa», aggiunge il premier. Renzi poi replica alle critiche sulle banche e contrattacca: «In questi anni, molte polemiche di commentatori nascono sul tema delle banche. Trovo ingiustificate le polemiche fatte anche da alcuni di noi, riprendendo un tema dei Cinquestelle. Noi - afferma alla riunione della Direzione Pd - non abbiamo salvato i bancari o i banchieri: noi abbiamo salvato i correntisti. E se le misure sulle Popolari fossero state prese dal governo di centrosinistra nel 1998, con ministro del Tesoro Ciampi e direttore generale del Tesoro Draghi, oggi molte cose non sarebbero successe» a cominciare dalle popolari venete. «E se la politica si fosse tenuta fuori dalle banche prima, non avremmo visto quello che è successo a Siena con Montepaschi». Il premier ribatte a chi lo critica: «Se volete che io lasci, convocate un congresso e, se possibile, vincetelo». E sulle polemiche legate al doppio incarico: «Se volete chi si scinda il ruolo di premier e di segretario, proponete una modifica regolamentare. In ogni caso, io sarà al fianco del vincitore: ma prima di tutto mettiamoci d’accordo sul dove vogliamo andare». Bersani: o si cambia o si va contro un muro «Fallo come preferisci, ma impegnati se no vai contro un muro». Pier Luigi Bersani. prima della riunione della direzione del partito, invita il Pd e il suo leader Matteo Renzi a introdurre diverse novità nella sua organizzazione e nel suo atteggiamento per superare una crisi che viene da lontano e che si incarna ora in un forte astensionismo e in un clima di antipolitica. IL CASO - Referendum, il premier da solo contro tutti (Ugo Magri) «Se vogliamo chiamare ancora partito la “cosa collettiva che ci serve” dobbiamo partire dai valori: dobbiamo avere tutti uguale dignità, dobbiamo indicare un punto di vista, i nostri programmi debbono partire dalla vita comune dei cittadini». Insomma, «dobbiamo avere un principio e darci poi forme organizzative coerenti, usando il territorio non come un luogo in cui fare pedagogia, ma come luogo da conoscere e a cui dare risposte». Per Bersani «una strada c’è, e passa dal collettivo: il leader la deve interpretare, ma deve avere orecchie sul territorio». Bersani sollecita anche ad avere più «umiltà» nella lettura del voto, che sarà proprio uno dei temi della direzione Pd del pomeriggio. «Non puoi pensare di dirigere il traffico se non sai come sei arrivato lì». Un esempio di mancata analisi del voto è quanto avvenuto nei piccoli comuni, «dove è presente un forte civismo spesso orientato a destra», a riprova che «chi parla di assenza della destra non vede la mucca in corridoio». In passato la politica è stata credibile quando «ha portato crescita economica ma coniugandola con la riduzione della forbice sociale». Ma dal 1989 in poi il tema dell’antipolitica è stato e resta dominante, serve dunque una politica che risolve i problemi e ascolta il territorio. La risposta deve essere «un sistema istituzionale ed elettorale flessibile e accogliente» e un partito rinnovato nella sua struttura ma sempre improntato ai valori di condivisione, collettivo, dignità e individuazione di programmi per risolvere i problemi dei cittadini. L’alternativa, afferma Bersani che sta decidendo se parlare alla riunione del pomeriggio, è pericolosa: se il Pd non cambia rotta «va contro il muro». UGO MAGRI Dopo giorni di inutile nevrosi, in cui sembrava che Renzi fosse disposto a cambiare la legge elettorale, perlomeno lui così aveva lasciato intendere, e dunque si erano scatenate tutte le più ardite supposizioni sul perché di questa mossa, compresa quella secondo cui Renzi voleva tendere la mano a Berlusconi per ottenerne in cambio un atteggiamento più morbido sul referendum, dopo tutto questo agitarsi della politica sembra adesso che no, in realtà il premier non intenda affatto riaprire il capitolo dell’«Italicum». Per cui non si profilano «inciuci» col Cavaliere che a sua volta, va detto, non pare intenzionato a farne (un Nazareno gli è stato già sufficiente). Allo stesso modo, il caldo africano ha disperso tutte le fumisterie circa un ipotetico rinvio del referendum, di cui in verità non si è mai capito bene il come, il quando, ma soprattutto il perché. Non è che rinviando di qualche settimana l’appuntamento Renzi poteva sperare in un cambio di umore collettivo, in un trend improvvisamente più favorevole alle ragioni del «si». Sono giochetti destinati a lasciare il tempo che trovano. Secondo quanto lo stesso Renzi ha detto ieri, intervistato da Maria Latella, voteremo verso metà ottobre, cioè nei tempi previsti. Niente rinvii e niente trattative sottobanco col centrodestra (non ce ne sarebbe nemmeno il tempo). L’unico «effetto speciale» su cui il premier può far leva è la legge di stabilità. Sempre che contenga sorprese gradite all’Italia, sulla base di concessioni europee di cui, però, al momento non si vedono i presupposti. Insomma: la battaglia referendaria, così decisiva per il futuro, Renzi se la dovrà combattere a mani nude, da solo contro tutti. GALLUZZO SUL CORRIERE DI STAMATTINA ROMA Dopo la Brexit Matteo Renzi conferma che sta mettendo in piedi una task force «che coinvolgerà gli esponenti della finanza e dell’economia per portare in Italia tutto quello che si può portare». Si prevede un esodo da Londra di imprese e istituzioni europee; fanno gola sia a Parigi che a Berlino: l’Italia non vuole restare indietro. Due authority europee sono nel mirino del governo, l’Ema (l’agenzia del farmaco, circa 600 dipendenti) e l’Eba (una banking authority , 150 dipendenti), entrambe con sede a Londra. Milano si è già candidata per ospitarne una, il sindaco Giuseppe Sala mercoledì sarà nella capitale britannica. Intanto, in vista della direzione odierna del Pd, Renzi chiude quasi tutti i capitoli aperti: nessun rimpasto, nessuna modifica sull’Italicum, nessun intenzione di abbandonare la segreteria, insomma una bocciatura su quasi tutti temi posti dalla minoranza dem: «Mentre l’Europa ci guarda, il dibattito che mi si chiede è lunare». Renzi di fatto derubrica la direzione di oggi del Pd a materia secondaria. Complice proprio la Brexit, per la quale la riunione è stata rinviata una volta, impegnato nel rispondere e gestire l’emergenza che è scoppiata con la strage di italiani a Dacca, il segretario del Pd, intervistato su SkyTg24, smentisce le indiscrezioni dei giorni scorsi su una disponibilità a rivedere la legge elettorale («non esiste una maggioranza per farlo»), soprattutto si pone di fronte all’evento come colui che ha dossier più importanti sulla scrivania. Non è detto che oggi non arrivi una sorpresa, Renzi non le ha mai lesinate, ma ieri il clima era questo. Il premier si definisce come «il solito ragazzo di provincia che cerca di guidare il Paese con grande semplicità», sull’Italicum mette le mani avanti: è quasi impossibile modificarlo, ammesso e non concesso che lui lo voglia («non vedo in Parlamento una maggioranza per una legge alternativa»), fra l’altro le nuove norme avrebbero «diversi vantaggi». In primo luogo «renderanno il Paese più stabile» poiché subordinano l’incarico di primo ministro al risultato elettorale: «Faccio il presidente del Consiglio perché finora questo legame non c’è stato. In Italia c’è stata la democrazia dei veti. Io invece dico: “Vinca il migliore”». Quanto al referendum «sono altri che lo vogliono personalizzare contro di me». Mentre chi punta l’indice sul fatto che è segretario dem e premier «fa un dibattito lunare, è così ovunque, da Londra a Berlino». E se D’Alema ha annunciato che voterà no, de minimis è la reazione: «Voti quello che crede». Taglia corto anche sull’ipotesi di un secondo patto del Nazareno («l’ha rotto Forza Italia»), mentre sul voto amministrativo: «Continuare con le polemiche è allucinante». Marco Galluzzo