Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 02 Sabato calendario

TUTTO BENE SE SPARISCO?

Gli zombi esistono, e anche i fantasmi. Non come in The Walking Dead o nelle case stregate di American Horror Story, niente di così drammatico. Esistono grazie ai social: tutti noi possiamo essere zombizzati e fantasmizzati (il mondo anglosassone ha coniato il termine ghosting), basta che un amico ci cancelli da Facebook o da Instagram. Basta che un effimero fidanzato sparisca da Tinder grazie a Killer Account per poi rinascere a nuova vita con un’altra foto da un’altra parte, e forse non sapremo più niente di lui. È un curioso fenomeno che lascia cuori spezzati, ansie da separazione e molte domande. Anche se il senso è chiaro (lui/lei non vuole più avere a che fare con te) resta la sofferenza dell’essere respinti senza una spiegazione. Roba da restare sconvolti, com’è successo nei primi addii tecnologici (uno per tutti: Isabelle Adjani, tramite fax, da Daniel Day Lewis). Una bella litigata avrebbe avuto un effetto migliore. Invece le anticamere di psicologi, psicoterapeuti e coach sono affollate da vittime di ghosting che cercano di uscire dalle macerie di un’amicizia o di un amore chiuso di botto con metodi digitali, sicuramente incruenti, ma non per questo meno dolorosi. Valeria, vent’anni, studentessa allo Iulm di Milano, si sfoga: «Ho conosciuto un ragazzo su un sito di incontri, ci siamo visti e piaciuti, abbiamo passato il weekend insieme e ci siamo dati appuntamento per il sabato dopo. Mi ha presentato i suoi amici, ha promesso di portarmi da sua madre. Poi io l’ho chiamato. Non ha mai risposto al telefono. E il suo account? Non esisteva più». Martina si è vista “bannare” (parola dal significato di probabile derivazione medievale: “mettere al bando”) su Instagram dall’ex fidanzatino dell’estate: «Ci sono rimasta malissimo». È una condizione piuttosto comune, considera Alessia Gazzola, che ha appena pubblicato da Feltrinelli Non è la fine del mondo, romanzo lieve ma non troppo che ha come protagonista la trentenne Emma De Tessent, tenace eterna stagista, simbolo del moderno precariato, anche sentimentale. «Se a lei capitasse di essere bannata soffrirebbe, è una che ha bisogno di capire, ma poi il suo buonsenso avrebbe il sopravvento. Non cercherebbe l’uomo che l’ha esclusa, lo liquiderebbe con un’alzata di spalle». Con la sua ironia Alessia Gazzola parla di sindrome del “Vado a comprare le sigarette”, scusa con la quale un tempo alcuni uscivano da casa e sparivano cambiando città, nazione, continente. «È un modo vigliacco ma comodo di chiudere una relazione: chiacchiere zero, senso di colpa zero, necessità di asciugare lacrime zero». Lo fanno i maschi che cercano sesso sportivo attraverso i social e vengono disorientati dalla richiesta di una relazione: tagliano la corda. Ammette Marco: «È complicato star dietro a certe pretese. Dover spiegare ogni volta perché non cerco una storia a lungo termine, o perché è finita. Le ragazze si attaccano. Sparire vale più di mille discorsi».
Tutto bene se sparisco?
Un sondaggio di Fortune sostiene che il 78% dei venti-trentenni è stato almeno una volta vittima di ghosting. Secondo l’indagine Privacy Management on Social Media Sites del Pew Research Center, che ha analizzato il comportamento di 2277 frequentatori di social network a partire dal 2009, l’eliminazione di ex amori o ex amici è frequente: il 63% ha fatto fuori qualcuno (virtualmente, ovvio). Donne nel 67% dei casi, uomini nel 58%. E nessuno si dichiarava pentito di un gesto tanto definitivo. Anzi, per l’11% era evidente la necessità di far “periodicamente pulizia”. Spiega Ilaria Genovesi, psicologa, psicoterapeuta e sessuologa: «Al di là dei sentimenti, è una questione di potere: ti cancello dai social, ti cancello dalla mia vita. Da un lato il senso di onnipotenza; dall’altro lo smarrimento, l’angoscia, il bisogno di conoscere le ragioni». È l’altra faccia delle amicizie/amori che nascono (o crescono) online. Si bruciano le tappe senza conoscersi davvero e altrettanto in fretta il legame finisce. «Che cosa lo rendeva speciale? Forse soltanto la nostra fantasia. È il nostro investimento emotivo che gli ha dato valore. Se si è sfaldato, il rapporto non era poi così speciale. Se l’amica ti ha rimosso dalla sua lista forse non era una vera amica. È questo l’aspetto da considerare: la povertà emotiva di chi ti trasforma in fantasma. Quasi sempre si tratta di persone che non riescono a stare dentro una relazione, nella Rete o fuori».
Tutto bene se sparisco?
C’è chi reagisce arrabbiandosi, chi si deprime, chi va a caccia dell’ex desaparecido: più intima è la connessione, maggiore è la reazione negativa, amplificata dall’idea di sentirsi ingiustamente puniti. Le dinamiche socio-emotive dell’essere unfriended, cancellati per esempio dagli amici di Facebook, sono state studiate da Jennifer Bevan della Facoltà di scienze umane della Chapman University in California. «Nella vita reale», sostiene Bevan, «è difficile stabilire chi tra due persone abbia dato inizio a un rapporto, mentre su Facebook la dinamica è “mi ha chiesto l’amicizia, mi ha dato l’amicizia, mi ha tolto l’amicizia”. È un modo netto di definire l’equilibrio della relazione, con il quale bisogna fare i conti». Alessia Gazzola ricorda con dispiacere di essere stata bannata da una compagna di scuola delle elementari rintracciata su Facebook: «Non ho capito perché l’ha fatto, ma è terribile essere respinti e non poter dire niente». Lo è ancora di più se non si trattava solo di amicizia, se su un incontro avevi costruito sogni tipo anima gemella. Dice Roberta Cacioppo, psicologa e psicoterapeuta: «Il mondo virtuale è un’elaborazione. Ciascuno può offrire la parte di sé più gradevole o quella che preferisce: siamo attratti da un simulacro, andare oltre l’apparenza può essere deludente. Qualche settimana insieme distrugge l’illusione, almeno in uno dei due. Che fare? Non cadere nella trappola del darsi la colpa chiedendosi: che cosa ho fatto per meritare questo? Forse avevamo solo aspettative troppo alte».
Ilaria Genovesi ha una bella metafora per definire le relazioni che hanno una forte componente virtuale: «Chi chiede l’amicizia vuole andare per mare e qualcuno lo prende sulla sua barca. Ma guai a salire senza precauzioni! Potresti essere abbandonato e se non sai nuotare, se non hai un’altra barca che ti recuperi, rischi di annegare. Accetta di salire, dunque, ma con un salvagente e un numero di soccorso». Però alcuni annegano (sempre metaforicamente) e i fantasmi di queste relazioni sono tra noi. Come in ogni buona ghost story bisogna risolvere le questioni in sospeso e andare verso la luce (la serie Medium insegna). In questo caso verso la vita vera. Il virtuale, come il paradiso, può attendere.