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 2016  luglio 02 Sabato calendario

ORA SERVONO CAPITALI VERI. LO SCUDO DA 150 MILIARDI FARA’ PIU’ MALE CHE BENE

La Commissione europea fa un grande «regalo» all’Italia, consentendo allo Stato di emettere garanzie pubbliche fino a 150 miliardi di euro per far fronte a possibili insolvenze delle banche, dovute ai crediti deteriorati. In verità è tutta aria fritta, perché lo scudo caricherebbe debito su debito. Debito virtuale, essendo solo sotto forma di garanzia, ma nel concreto molto reale, perché o le banche beneficiarie restituiscono i soldi garantiti dallo Stato - ma per riuscirci debbono avere flussi eccezionali che fanno maturare risultati tali da poter restituire quanto ottenuto - o cedono il controllo azionario allo Stato e diventano pubbliche. Oppure procedono ad aumenti di capitale da destinare a ripianare il debito. In tutti e tre i casi si fa fatica a intravedere quale possa essere il risultato utile per stabilizzare il sistema del credito, se non si trova il modo di arginare la massa dei crediti deteriorati. La Bce ha riempito le casseforti delle principali banche italiane, ad un tasso così basso da essere inimmaginabile anche solo due anni fa. Ma questa liquidità è comunque un debito da restituire e può essere utilizzata solo in misura limitata a causa delle carenze patrimoniali e dei flussi di cassa della maggioranza dei richiedenti. Una liquidità, insomma, che non incide minimamente sulla massa dei crediti inesigibili. La principale causa della malattia delle banche deriva dalla debolezza patrimoniale delle imprese, aggravata da una crescita insignificante del Pil. Con la complicazione di una pressione fiscale da record e dei costi della burocrazia esorbitanti. Per il sistema economico italiano servirebbe una azione congiunta tra Stato, banche, associazioni imprenditoriali e sindacati. Lo stato dovrebbe agire sulla leva fiscale, le banche concedere finanziamenti mirati alla capitalizzazione ma utilizzabili come investimenti, le associazioni di rappresentanza del mondo imprenditoriale dovrebbero stimolare gli associati ad aderire alla proposta di capitalizzare adeguatamente le proprie imprese. Senza dimenticare le rappresentanze dei lavoratori chiamate a favorire le relazioni sindacali. A fare la prima mossa dev’essere senza dubbio il governo, aprendo a regole che consentano la detrazione fiscale al socio o azionista che conferisce capitale. Intorno alla proposta fiscale andrebbe costruito il progetto articolandolo sulle funzioni e responsabilità che debbono assumersi gli altri attori, con in testa le due principali banche, Intesa e Unicredit. Intesa, oltre un lustro fa, offrì alla clientela di finanziare le capitalizzazioni aziendali ma lo Stato non abbinò alcuna gratificazione fiscale. Così nessuno degli altri attori fece nulla e il progetto venne rapidamente abbandonato. Da allora è successo un po’ di tutto, incluse le tempeste finanziarie che hanno colpito la borsa e soprattutto le banche col risultato di peggiorare la reputazione finanziaria e l’assetto patrimoniale degli istituti.Un’ulteriore tempesta, tutt’altro che impossibile, rischierebbe di mandare a gambe all’aria molte banche piccole, portandosi dietro le medie e le uniche due grandi, di cui Unicredit vive già in acque agitate. Lo scudo comunitario, fra l’altro, si esaurirebbe rapidamente visto che è destinato a valere fino alla dine dell’anno. Solo un deciso rafforzamento patrimoniale delle Pmi italiane può fare la differenza per evitare un tracollo loro e di molte banche.