VARIE 1/7/2016, 1 luglio 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - BOSSETTI CONDANNATO ALL’ERGASTOLO
REPUBBLICA.IT
Ergastolo per Massimo Bossetti. Dopo dieci ore di camera di consiglio, la Corte d’Assise torna in aula e rende noto il verdetto: l’uomo che è in carcere da due anni viene riconosciuto colpevole dell’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio. Lui ascolta, in piedi, la decisione e rimane impassibile. Impassibile anche la moglie, Marita Comi, in aula già dalle prime ore del mattimo. In mattinata il muratore di Mapello aveva letto una lunga dichiarazione d’innocenza nella quale supplicava la Corte di ripetere il test del Dna. "Sarò uno stupido, sarò un cretino, sarò un ignorantone - aveva detto - ma non sono un assassino. Ripetete l’esame del Dna, se mi condannerete sarà il più grave errore del secolo". Sobrio il commento della madre di Yara: "Ora sappiamo chi è stato - ha detto al suo avvocato - anche se siamo consapevoli che Yara non ce la riporterà indietro nessuno".
La sentenza e i risarcimenti. Ergastolo dunque. I giudici, inoltre, gli hanno tolto la potestà genitoriale, mentre non hanno accolto la richiesta del pubblico ministero, Letizia Ruggeri, che oltre all’ergastolo aveva chiesto anche l’isolamento. E’ stato assolto, invece, dall’accusa di calunnia ai danni di un collega verso il quale, secondo l’accusa, avrebbe cercato di indirizzare le indagini. I giudici non hanno applicato l’isolamento diurno per sei mesi, unitamente all’ergastolo, come chiesto, invece, dal pm. Per quanto riguarda i risarcimenti, l’imputato è stato a un risarcimento danni in questa forma: 400 mila euro per ogni genitore di Yara, 150 mila euro per ogni fratello di Yara e 18 mila euro per gli avvocati. Bossetti lasciando l’aula si è limitato ad alzare gli occhi al cielo.
La Procura: "Siamo a metà strada". "Siamo arrivati a metà strada - ha detto il Procuratore di Bergamo, Massimo Meroni - nel senso che questa è una sentenza di primo grado, è stata un’inchiesta difficile e la collega Ruggeri è stata fantastica". E sulla prova del Dna - terreno di scontro tra accusa e difesa durante buona parte delle 45 udienze - è stata "decisiva".
Il ritrovamento. Le indagini sull’omicidio della tredicenne sono cominciate per davvero il 26 febbraio del 2011. Erano le 15.15, nella frazione Chignolo d’Isola (distante pochi chilometri dal luogo della sparizione, Brembate Sopra), quando un aeromodellista che non trovava il suo aeroplanino, si imbatté nel cadavere in stato di avanzata decomposizione. Era in un campo vicino a una zona industriale. Una visione che - dirà poi - non lo fece dormire per giorni. Quel cadavere ha parlato e ha restituito del liquido organico, la traccia genetica del muratore, ha detto in seguito la Procura. Tanto che alcuni poi definirono quella traccia ’la vendetta di Yara’. Il ritrovamento era avvenuto a 300 metri dal comando della polizia municipale dell’Isola Bergamasca, che era proprio il centro di coordinamento delle ricerche. Per giorni le persone assediarono la zona, chi portando fiori e biglietti con pensieri e preghiere, chi per scattare macabri ’selfie’ su un’area aperta al pubblico sin dal giorno dopo e poi riaperta e richiusa più volte. Il 26 maggio, tre mesi esatti dopo, Yara venne riconsegnata alla famiglia, per riposare finalmente in pace.
Il dna. E’ stata la prova regina del processo, come ha riconosciuto anche il Procuratore di Bergamo. Il gip che decise più volte che Bossetti doveva rimanere in carcere, Ezia Maccora, l’aveva definita "ottima". Nel fascicolo processuale è la "31G20" e fu trovata sugli slip e sui leggings di Yara. E’ attraverso questa che si è risaliti prima a Ignoto 1, in seguito all’autista di autobus scomparso nel 1999, Giuseppe Guerinoni e, infine, alla madre di Bossetti, Ester Arzuffi (che ha sempre negato relazioni extraconiugali). La difesa ha sempre contestato la mancata corrispondenza tra il Dna nucleare, attribuito a Bossetti, e quello mitocondriale nella traccia la cui appartenenza non è stato possibile stabilire, il giudice Maccora era stato tranciante e così l’accusa e parti civili nel corso del processo: "Quel che conta è il Dna nucleare, che, stando agli esami scientifici, è di Bossetti". Sul Dna, comunque, è stata battaglia campale.
Un destino segnato da tre donne. Gli investigatori non vanno a caccia di madri o mogli infedeli. Ma ha ruotato
attorno a questi aspetti, così intimi e personali nella vita di un uomo, la vicenda processuale di Bossetti. Costretto a scoprire di essere nato da una relazione extraconiugale (mai ammessa dalla madre) e a vedersi sbattuti in faccia i tradimenti della moglie (negli anni successivi però al 2010). Un’altra donna ha avuto un ruolo fondamentale, la pm Letizia Ruggeri. Mentre sullo sfondo è rimasta la più silenziosa, distrutta dal suo dolore, Maura, la mamma di Yara.
LETTERA-DICHIARAZIONE DI BOSSETTI
BERGAMO - "Sarò uno stupido, sarò un cretino, sarò un ignorantone ma non sono un assassino. Ripetete l’esame del Dna, se mi condannerete sarà il più grave errore del secolo, anche se accetterò il verdetto, qualunque esso sia, perché pronunciato in assoluta buona fede". Lo dice Massimo Bossetti in aula di fronte ai giudici che stanno per emettere la sentenza su di lui. Quelle pronunciate durante le dichiarazioni spontanee sono le ultime parole che può dire prima di ascoltare la sentenza. Basta processi mediatici, chiacchiere, colpevolisti e innocentisti, veri (pochi) e presunti (molti) colpi di scena. I giudici della corte d’Assise di Bergamo devono decidere se Bossetti, unico imputato, è colpevole oppure no per l’omicidio di Yara Gambirasio, 13 anni, scomparsa fuori dalla palestra di Brembate Sopra il 26 novembre 2010 e trovata cadavere tre mesi dopo in un campo di Chignolo d’Isola. Bossetti, 46 anni, tre figli, muratore, è accusato di omicidio volontario pluriaggravato e di calunnia (per avere cercato di depistare le indagini verso un collega di lavoro). Per lui l’accusa chiede l’ergastolo.
CASO YARA: TUTTI GLI ARTICOLI
"Non sono un assassino". Sono passati cinque anni e sette mesi dalla scomparsa di Yara, un anno di processo, 45 udienze. Ha parlato il pm, gli avvocati, i periti, i carabinieri. Ora è il suo turno. In aula, ad ascoltarlo, ci sono anche la moglie, Marita Comi, e la sorella gemella, Laura Letizia. Prima di tutto Bossetti ha ribadito la sua innocenza: "Non vedevo l’ora di potervi guardare negli occhi per spiegarvi che persona sono". Polo azzurra e jeans, l’imputato parla dal banco, accanto ai suoi avvocati, con voce rotta dall’emozione e leggendo un testo ("per non perdermi"): "Sarei felice di incontrare i genitori della piccola Yara, di guardarli negli occhi perché conoscendomi saprebbero che l’assassino è ancora in libertà, poiché anche loro sono vittime di chi non ha saputo trovare il colpevole. In questo processo non c’è una sola certezza vera". Ha raccontato anche di esser stato "insultato, denigrato e anche istigato a confessare qualcosa che non potevo confessare, perché non sono la persona che è stata descritta in quest’aula". L’ergastolo? "Sto già subendo un ergastolo - ha detto - due anni di vita rovinata".
I PUNTI CHIAVE DELL’ACCUSA: DAL DNA AL FURGONE
"Vi imploro ripetete il test del Dna". La "pistola fumante" che inchioda Bassetti, secondo il pm Letizia Ruggeri, è il Dna trovato sugli slip di Yara. A questo si aggiungono altri indizi: il passaggio del furgone di Bossetti davanti alla palestra da dove è sparita la vittima (ripreso dalle telecamere), le fibre sul cadavere compatibili coi sedili del furgone; le sfere metalliche che rimandano al mondo dell’edilizia, l’assenza di alibi per l’imputato, i tabulati telefonici e il tentativo di fuga il giorno dell’arresto. Tutti elementi contestati dalla difesa, secondo la quale questo processo è "pieno di anomalie e tecnicamente non ha scoperto e dimostrato nulla". Ed è proprio sul Dna che si basa soprattutto l’intervento in aula di Bossetti. "Vi supplico, vi imploro - ha detto ai giudici - quel Dna non è il mio, ripetete l’esame. Se fossi l’assassino sarei un pazzo a dirvi di rifarlo". Bossetti ha anche ribadito più volte di essere "una persona di cuore" che viveva soltanto "per mia moglie e per i miei figli", ha voluto anche raccontare "un episodio" per descriversi, spiegando di aver "adottato a distanza" un bimbo di una famiglia in Messico. "Mi sono sentito gratificato perché il mio aiuto si è reso utile e ho dato la possibilità a un bambino di proseguire gli studi come vorrebbero tutti per i propri figli".
Tre ipotesi per il verdetto. Dopo le dichiarazioni spontanee di Bossetti, i giudici della corte d’assise di Bergamo si sono riuniti in camera di consiglio per emettere il verdetto. La sentenza è attesa dopo le 20. Tre le ipotesi per l’imputato: ergastolo con isolamento diurno per sei mesi, come chiesto dal pm Letizia Ruggeri, una condanna ’ammorbidita’ da possibili attenuanti per l’uomo che è incensurato oppure la libertà immediata dopo due anni in carcere. La Corte è presieduta da Antonella Bertoja (a latere Ilaria Sanesi e 6 giudici popolari) più un supplente. Accettano, prima di ritirarsi in camera di consiglio, con una memoria della difesa che ricostruisce la storia della traccia 31G20 che contiene il Dna che inchioderebbe Bossetti. La Procura si era opposta, sottolineando, "la singolarità del comportamento" dei legali, dal momento che il dibattimento è concluso.
Code di curiosi già dall’alba. L’attesa per la sentenza è enorme. Fuori dal
Tribunale di via Borfuro c’era gente in coda già dall’alba per accaparrarsi un posto in aula. Sono arrivati giornalisti, fotografi e cameramen da tutta Italia, anche se per disposizione della Corte fotografi e teleoperatori non possono entrare in aula. L’ordine pubblico è garantito dagli agenti della questura, dai carabinieri e dalla polizia locale, oltre che dalle guardie del Gsi Security Group che effettuano la vigilanza all’interno del Tribunale.