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 2016  luglio 01 Venerdì calendario

GIDE MESSO A NUDO DA SE STESSO

Notiamo un piccolo marinaio in camicia rossa», scrive nel Diario André Gide, l’eminenza grigia della cultura del Novecento – è una delle pagine espunte, che ora ricompaiono, straordinarie, nella sontuosa edizione completa, due volumi di 3.090 pagine, curata dallo specialista, e appassionato, Piero Gelli per Bompiani. È l’agosto 1899, a Trouville; Gide è con l’amico poeta Ghéon, «l’intrepido» che lo rivela a se stesso; passeggiando nel porto vedono solo (o sognano) «presenze losche, pericolose»; aspettano «qualsiasi cosa; niente». A una svolta, tre marinai «con l’aria giovane»; ma sì, uno è quello in camicia rossa; pescano anguille, ma bisogna aspettare la bassa marea, alle cinque. E intanto? Non fanno resistenza – ma si avvicinano due signori («è il fratellino piccolo che vogliono»). Con le ombre proiettate innanzi, Gide e Ghéon vanno via; il mare è un incanto, la sabbia un deserto blu; ma ecco di nuovo il ragazzino, li sta cercando. «Si spoglia sotto la luna; la sua carne grigio cenere; è la gioia più aspra che abbia avuto». Poi, con Ghéon, «entriamo nel mare per riscaldarci. Magari fosse qui Madeleine».
Madeleine è la moglie di Gide: lo scrittore vorrebbe mescolare alla pienezza di quell’istante tutte le altre sue vite, sconnesse come in un ritratto cubista. È la grandezza di Gide: il suo narcisismo è deflagrante, nel diario; eppure è stato il creatore (tramite la N.R.F., e futura Gallimard) della cultura del suo secolo. Curioso e appassionato di tutto, e capace di comprendere e promuovere tutte le linee narrative del tempo – i classici e l’hard boiled di Dashiell Hammett; Simenon, che pubblica e incoraggia, e le più rarefatte esperienze dell’avanguardia – scrive romanzi sperimentali come I falsari, e deliziosi raccontini filosofici, le soties. Eppure nel diario tutto è riportato a se stesso, e questo, invece di chiudere gli orizzonti, fa la forza del testo. Non memorie, e accumulo di aneddoti; ma la verità privata – totale e sconvolgente, ancora oggi – di una vita.
Tutte le altre rifrazioni della sua esperienza («nessuno ha avuto una vita più completa della mia», dice all’amica van Rysselberghe) è come se avessero separati luoghi di scrittura. Esemplare la disperazione di Gide quando parte in viaggio col nuovo amore Marc Allégret, e la moglie Madeleine – l’anima «sorella» cui lo scrittore si è unito in un matrimonio bianco quando gli è morta la mamma Juliette Gide – gli brucia le lettere: «Per trent’anni le ho donato il meglio di me. Potrei uccidermi. Soffro come se avesse ucciso nostro figlio», scrive Gide nel novembre 1918; dimostrando che quell’esercizio di scrittura era vitale all’equilibrio della sua esistenza morale e letteraria. E ritagliando, nel pubblicare in vita pezzi del diario, i riferimenti a Madeleine, si rammarica: «Mi pare che le soppressioni nel diario lo abbiano accecato. Non offre più, al posto ardente del cuore, se non un buco» – Piero Gelli si interroga su quel termine.
Della figlia, la piccola Catherine, Gide racconta solo le espressioni in cui si dimostra simile a sé. Per avere un figlio, Gide aveva architettato un incontro mirato con Elisabeth van Rysselberghe, che aveva conosciuto bambina, e era figlia della Petite dame, che a Gide aveva votato un culto definitivo, e viveva sul suo stesso ballatoio annotando ogni parola del suo vate (con un diario a specchio con questo di Gide). Nel luglio del ’22, nel silenzio di un mattino sul mare, l’idea aveva trovato compimento. Nel diario, Gide legge alla piccola il Seicento francese, ma anche la Genesi, le parole di Abramo al re di Sodoma: «Gli uomini che sono venuti con me prendano la parte che spetta loro». Immagino il sermone che si potrebbe trarre da un passo del genere, ride Gide.
Eric Marty con Martine Sagaert sono i formidabili curatori dell’edizione francese, che Sergio Arecco traduce ora, arricchendo e incrociando alle note francesi un’annotazione inglese riveduta dallo stesso Gide. Così, già solo le note sono un festino. Il mondo politico e letterario di Parigi, i luoghi del nord-Africa, i viaggiatori – il dadaista Tzara in Corsica, Saint-Exupéry aviatore nell’Africa della seconda guerra mondiale – tutto l’universo di Gide vi ritrova profili netti, e qualche necessario pettegolezzo. Piero Gelli ritrae nel regesto gli amici più cari di Gide. E titola la sua introduzione – che ripensa la situazione di Gide, oggi, e i suoi rapporti con l’Italia – Que reste-t-il de nos amours, come la canzone. Infatti, la grandezza di Gide e del suo affascinante diario è nel coraggio di esporre con cruda, euforica sorpresa la sua sessualità, di cui era appena morto Wilde. Quando Gide dispone, nel 1924, la ripubblicazione di Corydon, il saggio sulla pederastia comparso in modo furtivo già nel 1911, mandano Maritain, il grande tomista, a dissuaderlo; ora che Gide è famoso, quel testo può risultare «pericoloso». La verità può essere pericolosa, ammette Gide, ma la menzogna che la ricopre è ancora più pericolosa: «Ho orrore della menzogna, deve essere per le mie origini protestanti. I cattolici non amano la verità». Maritain protesta, ma stupisce Gide per il portamento chino e untuoso; il loro dialogo è magnifico. Ho scritto i Nutrimenti terrestri-il manuale di edonismo in cui Wilde compare mascherato – quando la letteratura sapeva di fittizio e di chiuso, rivendica Gide: bisognava «posare al suolo un piede nudo». Ma anche in questo campo a volte Gide, dopo aver dato corso all’illusione, si ravvede. A Tunisi giurerebbe che il ragazzo con cui non ha conversato («Ma eravamo tanto occupati!») ha avuto slanci troppo spontanei per ritenerli una messinscena, «come pure (posso dirlo?) la sua riconoscenza». E subito si reprime: «convincersi che è assurdo prestare agli altri i propri sentimenti, soprattutto in materia amorosa».
Tra gli «abbacinanti frammenti in cui tutto è mischiato», compaiono temi minori come l’avarizia-deliziosa nella sua franchezza: «A tormentarmi è non riuscire a capire perché ho lasciato una mancia tanto misera»; «riuscito a entrare in un buon ristorante e a cenare senza badare al prezzo, mi è capitato solo una volta» – e i grandi motivi, la letteratura e la storia. Gide rende conto delle sue letture appassionate, delle quotidiane sedute di pianoforte, di cui è virtuoso, delle sue irritazioni – come per la visita «di un certo Marinetti, direttore di una rivista di paccottiglia intitolata Poesia; è uno stupido, molto ricco e molto presuntuoso» – ma siamo ancora nel 1905, il futurismo è da venire. Ci sono invece poi gli amici scrittori che Gide ammira; Valéry appare sempre affascinante e affettuoso: «Gioca la vita come una partita a scacchi che occorre vincere», dice comunque del poeta ufficiale di Francia,«o come scrive le sue poesie, collocando la parola esatta dove va posata». Spesso i ritratti sono così, ritratti morali; e partono a volte, isolati, gli aforismi: «È molto difficile fare del male solo a se stessi».
Per la grande Storia, bisogna leggere almeno rincontro con de Gaulle, ad Algeri, il 26 luglio del 1943. Il Generale è cordiale e semplice, riservato, ma pieno di charme: quasi deferente, si stupisce Gide – che sarà tra qualche anno, nel ’47, premio Nobel. Gide annota che ha letto molte pagine del Generale, «eccellenti, persino capaci di farmi amare l’esercito, come dovrebbe essere» – è in effetti la magia di de Gaulle letterato. A tavola, Gide si sente a suo agio, ma fa alcune gaffes, difendendo l’amico scrittore Maurois, fedele al Maresciallo Pétain, capo del governo collaborazionista; «i tratti del Generale si sono un poco contratti».
E poi arriva la vecchiaia, a tessere la sua ragnatela di malumori su tutta questa pienezza di appetiti e di intelligenza, che resta forte, fino alla fine.
Daria Galateria