GIORGIO BIFERALI, il Fatto Quotidiano 1/7/2016, 1 luglio 2016
ERAVAMO CANNIBALI
C’erano una volta i Cannibali. In Italia, a metà degli Anni Novanta, mentre Berlusconi scendeva in campo e la Sony s’inventava uno dei passatempi del nuovo millennio, la PlayStation, un gruppo di scrittori, stanchi delle forme e dei linguaggi di quel secolo, cominciavano a guardarsi intorno e a cannibalizzare la realtà, divorandone anche gli avanzi nei piatti degli altri scrittori, senza saziarsi mai.
Verrebbe da chiedersi cos’è rimasto di tutto questo, vent’anni dopo, in tempi di parole-melassa. Esistono ancora i Cannibali?
Il battesimo era avvenuto nel 1996 con Gioventù cannibale, una raccolta di racconti pubblicata da Einaudi e curata da Daniele Brolli, che insieme a Niccolò Ammaniti, Aldo Nove, Daniele Luttazzi e altri, si era accorto che il pudore, i moralismi, l’autocensura, le metafore, le accademie, i libri, non bastavano più per raccontare la realtà. C’erano anche i fatti di cronaca, la tivù, gli spot pubblicitari, i fumetti, i programmi di varietà, la Rete, i supermarket, i centri commerciali sempre più affollati. C’era bisogno di una narrativa nuova, “splatterpunk” magari, simile a quella americana, piena di sangue, parolacce e pornografia, un misto di Diabolik, Chuck Palahniuk, Resident Evil e Tarantino.
Il lettore, che forse in quel periodo stava leggendo il romanzo limpido e “setoso” di Baricco, incontrava Emanuele, Aldo e Melania, i personaggi del racconto Seratina della coppia Ammaniti-Brancaccio. Oltre alla “seratina” classica passata a fumare canne, Aldo propone a Emanuele una “seratina in versione deluxe”, con tanto di coca e una ragazza di Tor Bella Monaca, Melania, “con le tettone costrette nel wonderbra di pizzo”. Emanuele, vittima degli eventi, tra i cannini della buonanotte e le canzoni di Pino Daniele, finisce per scavalcare il cancello del Bioparco, lo zoo di Roma, e rapire un cucciolo di canguro, dopo aver rischiato la vita con quell’enorme “Bambi grigio e deforme” del canguro madre. La “seratina” finisce con il cucciolo di canguro abbandonato in autostrada e investito da un furgone del latte.
Ne Il mondo dell’amore di Aldo Nove, ci sono due ragazzi di provincia che passano le giornate a guardare alla Iper gli altri “che non sanno che cazzo fare”. Bevono Bayleys, cantano in macchina la sigla di Ok il prezzo è giusto! e comprano una videocassetta porno, intitolata Il mondo dell’amore appunto, dove assistono a una scena di castrazione, e decidono di castrarsi anche loro: “Il primo sessantanove della mia vita”, dice alla fine Michele, “il primo da donna, l’unico da moribondo”.
In quello stesso anno, erano usciti Woobinda, sempre di Aldo Nove, e Occhi sulla graticola di Tiziano Scarpa, un altro Cannibale. Quasi tutti i personaggi di Woobinda si presentano dicendo nome, età e segno zodiacale. C’è chi uccide i genitori perché non comprano il bagnoschiuma giusto, chi sogna di andare a letto con Magalli per avere un po’ di notorietà, chi non ha mai visto una ragazza dal vivo e allora la sogna barricandosi in casa, mangiando Fonzies e guardando Non è la Rai. Scarpa, invece, fa incontrare su un battello veneziano Carolina (in arte Maria Grazia “Graticola”), che disegna genitali maschili e femminili nei manga, e Alfredo, che sta preparando una tesi sulle brutte figure nell’opera di Dostoevskij.
Non c’è un capitolo che sia simile agli altri, dalla scena del loro incontro a un’analisi di Venezia come “sesso femminile dell’Europa”, dalla biblioteca che mortifica i corpi e le pulsioni sessuali al rapporto tra la metamorfosi e l’erezione. Alfredo parla al se stesso che verrà, “Alfredo futuro”, e intanto legge il diario di Carolina, scritto in una sorta di “cyberlingua”. “Gli unici veri Cannibali – sostiene Brolli – sono quelli che hanno smesso di scrivere”.
Gli altri, secondo lui, non sono diventati altro che una parodia di quello che erano vent’anni fa. “Solo Ammaniti è rimasto com’era”, confessa, pur avendo vinto il Premio Strega nel 2007 (Come Dio comanda) ed essendo arrivato al cinema con registi come Salvatores e Bertolucci. Continuando a pensare per immagini, come scrivesse sempre sceneggiature, nel suo ultimo romanzo Anna (Einaudi), ha raccontato di due bambini che fuggono da un mondo post-apocalittico, pieno di mostri e di fantasmi. L’opinione di Brolli, però, è troppo severa, feroce, e trascura il panorama letterario che ci circonda, sempre così politically correct e moralista.
I buoni da una parte, i cattivi dall’altra, non esistono più le sfumature, e non mancano mai il lieto fine e i buoni sentimenti. Scarpa, anche lui Premio Strega (Stabat Mater, 2008), che scrivesse di Vivaldi, di com’è difficile diventare padri (Le cose fondamentali) o di come da un geco possa nascere un cristiano sovversivo (Il brevetto del geco) non ha mai perso la sua originalità.
E Aldo Nove? Beh, meno male che c’è, potremmo dire, per riprendere uno slogan di questo ventennio. Dalle lettere d’amore all’infanzia (Amore mio infinito) alle “derive mistiche” (Tutta la luce del mondo), Aldo Nove ha pubblicato da poco Anteprima mondiale per La nave di Teseo, celebrando i vent’anni dal suo Woobinda, da quando si era scoperto Cannibale. Nell’immagine di copertina c’è una coppia di spalle in bianco e nero che assiste allo spettacolo del mondo a colori che va in fiamme, come nel finale di Fight Club. Non si uccide più per un bagnoschiuma sbagliato, adesso, ma per Harry Potter, i grandi indossano pannoloni per non perdersi neanche un secondo di una serie tv, i suicidi vengono esibiti su Facebook, si preferiscono le pornostar alle donne vere e l’Europa è diventata “un posto in cui si arriva morendo”.
C’erano una volta i Cannibali. In Italia, a metà degli Anni Novanta, mentre Berlusconi scendeva in campo e la Sony s’inventava uno dei passatempi del nuovo millennio, la PlayStation, un gruppo di scrittori, stanchi delle forme e dei linguaggi di quel secolo, cominciavano a guardarsi intorno e a cannibalizzare la realtà, divorandone anche gli avanzi nei piatti degli altri scrittori, senza saziarsi mai.
Verrebbe da chiedersi cos’è rimasto di tutto questo, vent’anni dopo, in tempi di parole-melassa. Esistono ancora i Cannibali?
Il battesimo era avvenuto nel 1996 con Gioventù cannibale, una raccolta di racconti pubblicata da Einaudi e curata da Daniele Brolli, che insieme a Niccolò Ammaniti, Aldo Nove, Daniele Luttazzi e altri, si era accorto che il pudore, i moralismi, l’autocensura, le metafore, le accademie, i libri, non bastavano più per raccontare la realtà. C’erano anche i fatti di cronaca, la tivù, gli spot pubblicitari, i fumetti, i programmi di varietà, la Rete, i supermarket, i centri commerciali sempre più affollati. C’era bisogno di una narrativa nuova, “splatterpunk” magari, simile a quella americana, piena di sangue, parolacce e pornografia, un misto di Diabolik, Chuck Palahniuk, Resident Evil e Tarantino.
Il lettore, che forse in quel periodo stava leggendo il romanzo limpido e “setoso” di Baricco, incontrava Emanuele, Aldo e Melania, i personaggi del racconto Seratina della coppia Ammaniti-Brancaccio. Oltre alla “seratina” classica passata a fumare canne, Aldo propone a Emanuele una “seratina in versione deluxe”, con tanto di coca e una ragazza di Tor Bella Monaca, Melania, “con le tettone costrette nel wonderbra di pizzo”. Emanuele, vittima degli eventi, tra i cannini della buonanotte e le canzoni di Pino Daniele, finisce per scavalcare il cancello del Bioparco, lo zoo di Roma, e rapire un cucciolo di canguro, dopo aver rischiato la vita con quell’enorme “Bambi grigio e deforme” del canguro madre. La “seratina” finisce con il cucciolo di canguro abbandonato in autostrada e investito da un furgone del latte.
Ne Il mondo dell’amore di Aldo Nove, ci sono due ragazzi di provincia che passano le giornate a guardare alla Iper gli altri “che non sanno che cazzo fare”. Bevono Bayleys, cantano in macchina la sigla di Ok il prezzo è giusto! e comprano una videocassetta porno, intitolata Il mondo dell’amore appunto, dove assistono a una scena di castrazione, e decidono di castrarsi anche loro: “Il primo sessantanove della mia vita”, dice alla fine Michele, “il primo da donna, l’unico da moribondo”.
In quello stesso anno, erano usciti Woobinda, sempre di Aldo Nove, e Occhi sulla graticola di Tiziano Scarpa, un altro Cannibale. Quasi tutti i personaggi di Woobinda si presentano dicendo nome, età e segno zodiacale. C’è chi uccide i genitori perché non comprano il bagnoschiuma giusto, chi sogna di andare a letto con Magalli per avere un po’ di notorietà, chi non ha mai visto una ragazza dal vivo e allora la sogna barricandosi in casa, mangiando Fonzies e guardando Non è la Rai. Scarpa, invece, fa incontrare su un battello veneziano Carolina (in arte Maria Grazia “Graticola”), che disegna genitali maschili e femminili nei manga, e Alfredo, che sta preparando una tesi sulle brutte figure nell’opera di Dostoevskij.
Non c’è un capitolo che sia simile agli altri, dalla scena del loro incontro a un’analisi di Venezia come “sesso femminile dell’Europa”, dalla biblioteca che mortifica i corpi e le pulsioni sessuali al rapporto tra la metamorfosi e l’erezione. Alfredo parla al se stesso che verrà, “Alfredo futuro”, e intanto legge il diario di Carolina, scritto in una sorta di “cyberlingua”. “Gli unici veri Cannibali – sostiene Brolli – sono quelli che hanno smesso di scrivere”.
Gli altri, secondo lui, non sono diventati altro che una parodia di quello che erano vent’anni fa. “Solo Ammaniti è rimasto com’era”, confessa, pur avendo vinto il Premio Strega nel 2007 (Come Dio comanda) ed essendo arrivato al cinema con registi come Salvatores e Bertolucci. Continuando a pensare per immagini, come scrivesse sempre sceneggiature, nel suo ultimo romanzo Anna (Einaudi), ha raccontato di due bambini che fuggono da un mondo post-apocalittico, pieno di mostri e di fantasmi. L’opinione di Brolli, però, è troppo severa, feroce, e trascura il panorama letterario che ci circonda, sempre così politically correct e moralista.
I buoni da una parte, i cattivi dall’altra, non esistono più le sfumature, e non mancano mai il lieto fine e i buoni sentimenti. Scarpa, anche lui Premio Strega (Stabat Mater, 2008), che scrivesse di Vivaldi, di com’è difficile diventare padri (Le cose fondamentali) o di come da un geco possa nascere un cristiano sovversivo (Il brevetto del geco) non ha mai perso la sua originalità.
E Aldo Nove? Beh, meno male che c’è, potremmo dire, per riprendere uno slogan di questo ventennio. Dalle lettere d’amore all’infanzia (Amore mio infinito) alle “derive mistiche” (Tutta la luce del mondo), Aldo Nove ha pubblicato da poco Anteprima mondiale per La nave di Teseo, celebrando i vent’anni dal suo Woobinda, da quando si era scoperto Cannibale. Nell’immagine di copertina c’è una coppia di spalle in bianco e nero che assiste allo spettacolo del mondo a colori che va in fiamme, come nel finale di Fight Club. Non si uccide più per un bagnoschiuma sbagliato, adesso, ma per Harry Potter, i grandi indossano pannoloni per non perdersi neanche un secondo di una serie tv, i suicidi vengono esibiti su Facebook, si preferiscono le pornostar alle donne vere e l’Europa è diventata “un posto in cui si arriva morendo”.
GIORGIO BIFERALI, il Fatto Quotidiano 1/7/2016