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 2016  luglio 01 Venerdì calendario

BANCHE, DALL’UE L’ITALIA OTTIENE SOLTANTO L’AIUTO PIÙ INUTILE

Uno “scudo” col buco e col rischio di trasformarsi in un boomerang per l’intero settore bancario. Ieri la Commissione europea ha comunicato di aver approvato domenica scorsa la richiesta dell’Italia di poter attivare uno “schema di garanzia per la liquidità delle banche”, con un ombrello di sicurezza da 150 miliardi “nel rispetto delle regole Ue per gli aiuti di Stato”. Uscita nel tardo pomeriggio, la notizia ha fatto schizzare i titoli bancari in Borsa portando Piazza Affari in pieno territorio positivo.
Il “rispetto delle regole” è presto spiegato: l’Italia ha ottenuto di poter garantire la liquidità delle banche, a patto che siano solventi, cioè non abbiano carenze di capitale. È lo schema già utilizzato da altri Paesi, e in passato anche dal nostro con il decreto Salva Italia di Monti di fine 2011, solo con una capienza più grande. Stando ai documenti della Commissione, funzionerà così: solo per i prossimi sei mesi, gli istituti solventi potranno comprarsi una garanzia pubblica sulle obbligazioni emesse, a patto che siano “senior” o “covered”, cioè di livello elevato. I bond subordinati, come quelli azzerati ai risparmiatori di Etruria & C. sono esclusi.
I bond garantiti non potranno avere una durata superiore ai 5-7 anni, e la garanzia non dovrà superare il 5% delle passività totali e un ammontare di 500 milioni. Qualora venisse attivata, avrebbe un impatto sul debito pubblico, ma non sul deficit, e le banche non dovranno depositare nessun “collaterale” come garanzia. Le buone notizie, se così si possono definire, finiscono qui.
“L’Ue dà ragione all’Italia”, titolavano ieri le agenzie. A guardare i dettagli, le cose non sembrano proprio così. Come confermano fonti del settore bancario al Fatto, la misura non ha nulla a che fare con la possibilità di ricapitalizzare le banche, cioè il vero obiettivo del governo che ha chiesto alla Commissione di poter entrare nel capitale degli istituti bisognosi di rafforzare il patrimonio. Ieri, l’amministratore delegato di Ubi, Victor Massiah ha liquidato con una frase laconica l’ultima trovata: “Non ho avuto alcun modo di vedere crisi particolari, non sono a conoscenza di situazioni di crisi di liquidità”. Ecco il punto.
Per il governo la misura “serve a tutelare i risparmiatori italiani”, ma il primo istituto che chiederà la garanzia darà al mercato l’impressione di avere problemi a reperire liquidità da sola sul mercato, visto che altrimenti potrebbe rivolgersi alla Bce secondo i canali normali. Solo la scorsa settimana, alla prima operazione di finanziamento a 4 anni a tasso zero messa in campo da Francoforte, le principali banche italiane si sono aggiudicate 104,9 miliardi. Gli istituti hanno finito il collaterale da dare a garanzia per i prestiti della Bce? Fonti del ministero del Tesoro spiegano che non ci sono segnali della necessità di usare questo schema ora ma il governo ha ritenuto opportuno ipotizzare tutti gli scenari, “anche i più improbabili”.
Così, però, li ha resi noti al mercato. E senza avere la stampella d’emergenza: la possibilità di sostenere direttamente gli aumenti di capitale evitando l’applicazione del bail-in, la norma europea che impone di accollare almeno l’8% delle perdite ad azionisti, obbligazionisti e correntisti più ricchi prima di poter soccorrere un istituto con soldi pubblici. Il governo italiano ha quindi ottenuto solo una delle richieste fatte alla Commissione: nessuna sospensione del bail-in, come ribadito mercoledì dalla cancelliera Angela Merkel.
L’unica speranza è che le garanzie possano servire agli investitori di “Atlante 2”, il secondo fondo salva banche che dovrà aiutare gli istituti a liberarsi delle “sofferenze” (i crediti ormai inesigibili) a prezzi che non li dissanguino: ora ce ne sono per 200 miliardi lordi, valutate a bilancio al 42,3% del loro valore. Di quei 200 miliardi 80 non hanno coperture in bilancio e possono diventare perdite.
Il governo sta premendo sulle grandi banche (Intesa in testa), sui fondi pensione e sulle casse previdenziali per investire nel nuovo fondo che parte con una dotazione di 1,7 miliardi. L’obiettivo è arrivare ad almeno 4-7 miliardi, una cifra che nel migliore dei casi permetterebbe di acquistare 20 miliardi di sofferenze lorde al prezzo che chiedono i banchieri. Per fare la sua parte, il Tesoro è pronto a metterci i 600 milioni della Sga, la vecchia bad bank nata ai tempi del crac del Banco di Napoli e a far salire la quota della Cassa depositi e prestiti da 500 a 700 milioni. “Prima vediamo i dettagli”, ha spiegato ieri il presidente dell’Adepp, l’Associazione degli enti previdenziali, Alberto Oliveti. Non proprio una chiusura.
di Carlo Di Foggia, il Fatto Quotidiano 1/7/2016