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 2016  giugno 29 Mercoledì calendario

QUELL’INTRECCIO TRA INCHIESTE, NOMINE E GIGLIO MAGICO

Le notizie sull’inchiesta di Siracusa sul presunto complotto contro l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi, rivelate ieri dal Fatto, si inseriscono in un contesto delicato in cui si intrecciano cronaca giudiziaria e politica. Entro l’estate, la Procura di Milano chiuderà l’inchiesta per corruzione internazionale che vede indagato anche Descalzi. Come sempre, gli esiti possibili sono due: i pm possono chiedere l’archiviazione o il rinvio a giudizio. Verranno depositati gli atti di indagine, si capirà molto di più su quello che i pm hanno scoperto sull’acquisto da parte di Eni e Shell nel 2011 della concessione Opl245, con il pagamento di 1,3 miliardi al governo nigeriano che poi ha girato 1,1 miliardi alla società Malabu, che sarebbe riconducibile a Dan Etete, che da ministro del Petrolio aveva assegnato la concessione proprio alla Malabu.
A maggio del 2014, Claudio Descalzi viene nominato ad dell’Eni, nonostante il suo predecessore, Paolo Scaroni, avesse provato di tutto per ottenere un terzo mandato. Il disappunto di Scaroni e di tutto il blocco di potere che negli anni si è consolidato attorno a lui è notevole. Dopo meno di tre mesi, a settembre, esce la notizia che Descalzi è indagato per corruzione internazionale, insieme a Scaroni dal quale però l’ad prende subito le distanze in un inusuale colloquio con Gad Lerner, su Repubblica. Pochi giorni dopo, un altro degli accusati nell’inchiesta milanese, l’ex manager Eni in Africa Vincenzo Armanna, rivela a magistrati e giornali molti dettagli. In una lunga conversazione con Repubblica, Armanna racconta tra l’altro di un suo incontro con Etete che avrebbe detto: “Quando Descalzi non era nessuno prendeva ordini da me”. Secondo la versione di Armanna, il compenso da 200 milioni di dollari preteso dal mediatore Emeka Obi – poi accantonato quando Eni inizia a trattare direttamente con il governo – doveva servire a pagare mazzette, tra gli altri, anche ai manager italiani di Eni. Di buona parte del miliardo che il governo nigeriano ha pagato a Malabu si sono poi perse le tracce. Armanna parla addirittura di “sponsor politici” dell’operazione in Italia.
Se Descalzi sarà archiviato, i sostenitori del complotto troveranno altri argomenti. Se finirà a processo, per il governo la situazione potrebbe diventare imbarazzante: era stato proprio il governo Renzi ad aver provato, tramite il ministero del Tesoro azionista, a modificare lo statuto dell’Eni per far decadere un amministratore delegato imputato. I fondi di investimento internazionali azionisti di Eni avevano messo in minoranza il governo e l’inasprimento dei requisiti di onorabilità è stato abbandonato. Ora che alle accuse a Descalzi si sovrappone la teoria del complotto, per il governo potrebbe essere più agevole difendere la poltrona di Descalzi dopo un’eventuale imputazione almeno fino alla sentenza di primo grado. E magari riconfermarlo nella primavera del 2017, quando scadrà il suo mandato triennale.
In questa lunga vigilia della stagione delle nomine – il momento in cui i professionisti delle relazioni non risparmiano colpi – l’inchiesta di Siracusa ha già avuto almeno un effetto concreto: rendere esplicito che qualcuno è convinto che sull’Eni abbiano molta più influenza gli amici personali di Matteo Renzi anzichè i referenti ufficiali, come il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Sulla carta il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti ha la delega all’Editoria, Marco Carrai è un imprenditore che si occupa di sicurezza informatica e aeroporti; Andrea Bacci ha ristrutturato la casa del premier Matteo Renzi, ma neppure lui ha alcun legame con il settore energetico, eppure l’ex ad di Telecom Italia, Marco Patuano, lo voleva a capo della controllata Sparkle che gestisce i cavi transoceanici (che interessano a molti del mondo dei servizi segreti). I tre hanno iniziato a sfilare davanti ai pm di Siracusa. Per spiegare cosa sanno del presunto complotto contro Descalzi. E magari anche chi comanda davvero sull’Eni.
di Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 29/6/2016