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 2016  giugno 26 Domenica calendario

GIORGEXIT

Sono 60 anni che Giorgio Napolitano insegna ai popoli – non solo il nostro, tutti – come devono e non devono votare. E l’aspetto più frustrante è che da 60 anni i popoli – non solo il nostro, tutti – votano come pare a loro, cioè esattamente al contrario di come auspica Giorgio Napolitano. La prima volta è nel 1956, quando il futuro Emerito esorta gli ungheresi in rivolta contro l’Urss ad accogliere con applausi e petali di rosa l’Armata Rossa entrata in Budapest per “salvare la pace nel mondo”. Ma quelli niente, continuano a combattere, pronti a farsi ammazzare pur di non dargli ascolto. Lui passa a monitare gli italiani, esortandoli a mandare il Pci al governo. Ma quelli niente, sempre Dc. Nel 1979 tenta di convincere i compagni della Campania a eleggerlo alla Segreteria nazionale come responsabile dell’organizzazione. Naturalmente vince l’altro candidato, Antonio Bassolino. Allora Pajetta ordina a Bassolino di farsi da parte e di cedere il posto al trombato. Nel 1981 aizza il Pci contro Berlinguer, ingenuamente innamorato della questione morale, e a favore di Craxi. Ma quelli niente: chissà perché, preferiscono Berlinguer.
I moniti s’intensificano dopo il 2006, quando diventa presidente della Repubblica. Anche lì, purtroppo senza esito. Anzi, sempre con l’esito opposto a quello monitato. Tant’è che nel 2011, dopo aver liquidato B., Re Giorgio preferisce evitare sorprese e, anziché mandarci alle urne, decide lui per noi chi ci deve governare: il Mario Monti con le larghe intese. Purtroppo però nel 2013 ci sono le elezioni e non c’è verso di abolirle. Lui avverte gl’italiani fin dalla vigilia delle Amministrative 2012, commemorando la Liberazione: “Ci si fermi a ricordare e a riflettere, prima di scagliarsi contro la politica. I partiti sono insostituibili” e vanno difesi “come nel 1945”. Contro i nuovi fascisti: cioè i 5Stelle. “Non ci si abbandoni a una cieca sfiducia nei partiti – come se nessun rinnovamento fosse possibile – che finisce per dare fiato a qualche demagogo di turno”. Cioè a Grillo. Purtroppo gli italiani non gli danno retta o, se gliela danno, è per fare l’opposto. Il M5S, alle Amministrative, balza dall’1-2 all’8% e si prende Parma. Lui non la prende bene. A chi gli chiede del boom di Grillo, replica stizzito: “Di boom ricordo quello degli anni 60, altri non ne vedo. Le Amministrative sono un test piuttosto circoscritto”. Ma sì, dài, non è successo niente. Il 15 febbraio 2013 mancano 10 giorni alle elezioni politiche. Re Giorgio fa uno spot a Monti e alla sua banda Pd-Pdl.
“In questi 14 mesi – dice dalla Casa Bianca, in visita pastorale a un esterrefatto Obama – l’Italia ha fatto progressi che devono continuare e continueranno, con l’aiuto di forze politiche diverse”. Purtroppo, a disturbare i suoi disegni, c’è “un movimento populista non diverso da quelli di altri paesi europei”. Cioè il M5S, equiparato a Le Pen e Alba Dorata. Pussa via. Risultato: forti anche della sua sponsorizzazione, i 5Stelle sono la forza più votata in Italia, balzando da 0 al 25%, mentre Monti non supera il 9 (meno del totale degli alleati Casini e Fini) e i supporter del suo governo perdono 10 milioni di voti (6,5 il Pdl e 3,5 il Pd). Infatti, prima di sparire, pregano riservatamente l’amico Giorgio di non sostenerli più. Se proprio vuole appoggiare qualcuno, che porti un po’ di sfiga a Grillo. Lui intanto si fa rieleggere per mandare all’opposizione chi ha vinto le elezioni e al governo chi le ha perse. Ultimamente si dedica con passione alla Brexit, monitando gli inglesi a scongiurarla. A quel punto la sorte dell’Europa è segnata: infatti vince la Brexit. E così ieri Napolitano invade i giornaloni con un nuovo genere letterario: il monito a futura memoria, o a funerali avvenuti. Come i vecchietti logorroici che passano le giornate appoggiati alle transenne a curiosare nei cantieri e a dispensare consigli agli operai: “Scavate laggiù. La ruspa va girata dall’altra parte. I mattoni piazzateli lì…”.
Riesce a scrivere due articoli su Stampa e Repubblica e a un’intervista sul Corriere per dire, con parole diverse a seconda della testata: quanto è stato “sciagurato” il governo inglese a far votare i cittadini; quanto sia incomprensibile la vittoria della Brexit (“non sono in grado di dire cos’abbia prevalso nell’anima di tanti elettori”, colpevolmente ignari “dello straordinario valore dei risultati conseguiti come integrazione”); quanto male si siano fatti gli inglesi votando Brexit senza chiedere il permesso a lui (“vedranno sulla loro pelle quali presunti vantaggi e quali reali danni potranno ricavare”); e quanto è “impossibile” che una cosa del genere accada in Italia. Non perché gl’italiani adorino quel gigantesco Bancomat chiamato Europa. Ma perché qui far votare la gente sulle questioni cruciali non si usa proprio; e, le rare volte che càpita, ci pensano lui e il premier a far fallire il referendum invitando all’astensione (vedi trivelle in mare); e, in ogni caso, siccome gli italiani votano sempre il contrario di quel che dice lui, si trova sempre il modo di fare il contrario di quel che votano gli italiani. Ora, per dire, Re Giorgio è impegnatissimo a convincere Renzi a cambiare l’Italicum, ottimo quando faceva vincere il Pd e ora pessimo perché potrebbe vincere il M5S. Un argomento da vero statista. Certo, dev’essere seccante per uno che fa politica da 70 anni sentirsi sempre incompreso dalla gente, per non dover ammettere di non aver mai capito la gente. Ormai i suoi moniti sono come le profezie di Fassino. Il prossimo potrebbero scriverlo a quattro mani: “Se i 5Stelle vogliono governare, presentino Di Maio e vediamo quanti voti prendono”. A quel punto, tanto vale risparmiare i soldi delle elezioni.
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 26/6/2016