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 2016  giugno 18 Sabato calendario

LA RICCA CROCIATA DEL SIGNOR PAYPAL CONTRO I GIORNALI


Diciamolo subito: apparentemente non ci sono personaggi simpatici e per i quali tifare in questa storia. Da una parte un miliardario molto potente ed estremamente vendicativo che si dichiara contrario a pagare le tasse, che vorrebbe togliere il diritto di voto alle donne e sostiene che «democrazia e libertà non sono compatibili», deciso a mettere sul lastrico un editore per un articolo scritto nove anni fa. Dall’altra un giornale la cui linea editoriale è ben evidente fin dal suo claim “il gossip di oggi è la notizia di domani” che più di una volta non si è fatto scrupoli nel pubblicare qualsiasi cosa pur di perseguire i propri obiettivi o per attaccare i propri concorrenti. Eppure la guerra giocata nelle aule di tribunale tra uno dei fondatori di Paypal, Peter Thiel (patrimonio netto secondo Forbes: 2,8 miliardi di dollari) e Gawker Media, il network di siti online fondato dal giornalista inglese Nick Denton, rischia di incidere profondamente sul futuro dei media negli Stati Uniti.
L’ultimo colpo di scena, almeno per il momento, di questa vicenda che di colpi di scena ne ha riservati diversi si è consumato venerdì 10 giugno, quando Nick Denton ha deciso di chiedere istanza di fallimento per la sua creatura. Gawker Media è oggi sul mercato alla ricerca di un compratore per cercare di salvare il salvabile. Poche ore prima, un giudice federale della Florida aveva confermato all’azienda di dover pagare il mega risarcimento di 140 milioni di dollari a favore di Terence Bollea (meglio conosciuto con il nome di Hulk Hogan), l’ex campione di wrestling che – dopo la pubblicazione nel 2012 sul blog di Denton di un estratto di un video a sfondo sessuale che lo vedeva protagonista – aveva deciso di citare Gawker per danni per violazione della privacy.
Thiel il miliardario sembra quindi essere il grande vincitore di questa vicenda che ha condotto prima finanziando con 10 milioni di dollari alcune cause contro Gawker Media, di cui la più importante quella di Bollea/Hogan. Thiel ha pagato gli avvocati e imposto la linea di condotta processuale, imponendo di rinunciare a qualsiasi accordo con la controparte per portare la causa avanti fino ad ottenere il massimo risarcimento possibile. Proprio perché il suo obiettivo dichiarato era quello di rovinare e cancellare Gawker Media per vendicarsi di un articolo pubblicato nel 2007 dal titolo Peter Thiel is totally gay, people.
La trama perfetta, se mai qualcuno vorrà scriverlo, per un musical stile Broadway sul Primo Emendamento, ha fatto notare ironicamente il giornalista Adrian Chen sul New Yorker. Sì perché, al di là dell’ironia e delle fulminanti battute, tutta questa vicenda mette in gioco molte cose importanti. Prima di tutto quello operato da Thiel rappresenta – comunque lo vogliamo giudicare – un attacco ai giornali in un momento nel quale questi vivono una forte crisi economica e di identità. Negli Stati Uniti la Corte Suprema ha storicamente sempre difeso la stampa di fronte a minacce che ne potevano comunque limitare la libertà e il ruolo sociale. Ma questa linea di condotta da parte della massima corte federale americana potrebbe essere ripensata: come ricorda ancora il New Yorker (che sta seguendo come molte altre testate americane con grande attenzione la guerra tra Thiel e Gawker), in un articolo intitolato in maniera significativa Come la guerra tra Thiel e Gawker può aprire una guerra contro la stampa, quella protezione era stata garantita in un ecosistema dell’informazione totalmente diverso da quello attuale nel quale la stampa tradizionale oggi occupa uno spazio non più esclusivo.
In questa mutazione è cambiato anche il sentimento che le persone hanno verso i giornali: «Oggi il pubblico ama sempre meno la stampa, e si comincia a riconsiderare l’architettura delle protezioni che l’hanno sempre sostenuta».
Un nuovo contesto nel quale il candidato Donald Trump (del quale Thiel è un sostenitore) dichiara pubblicamente in campagna elettorale di essere intenzionato, se eletto, ad inaugurare una nuova stagione per quanto riguarda le leggi in materia di diffamazione «in modo che quando [gli organi di informazione] scrivono articoli volutamente negativi, orribili e falsi, possiamo citarli in giudizio e vincere un sacco di soldi».
È esattamente in questo clima che si inserisce questa vicenda nella quale sono in molti a non volere credere a Gawker come una povera vittima. Basta leggere i commenti sui blogo sui social (dove addirittura è stato lanciato con un certo successo tra i sostenitori della destra l’hashtag #TankYouPeter per ringraziare Peter Thiel) che alla notizia della bancarotta di Gawker hanno sentenziato: «Bene, se l’è voluta».
Nonostante questo, oggi però non manca chi si sta schierando, senza se e senza ma, a favore del sito: due magnati della tecnologia come Jeff Bezos (Amazon) e Pierre Omidyar (eBay) che, diventati anche importanti editori, evidentemente avvertono tutta la portata devastante che potrebbe avere nel prossimo futuro l’azione condotta da Thiel contro Gawker sui giornali e la libertà di stampa. Ma anche il giornalista e attivista Glenn Greenwald, che pure in passato aveva avuto parole durissime contro alcuni articoli scandalistici pubblicati da Gawker, oggi difende il sito. L’idea è che in realtà si attacchi la parte più sgradevole e meno “difendibile” della stampa per creare un precedente e per poterla poi attaccare nel suo complesso.
D’altronde Greenwal sicuramente deve ricordare bene che che Paypal (la società fondata da Thiel che molto ha contribuito a realizzare la sua sterminata ricchezza) fu la prima nel 2011 a cercare di chiudere i cordoni della borsaa Wikileaks non permettendo che le donazioni all’associazione potessero essere fatte attraverso la propria piattaforma. E ancora un’altra società fondata da Thiel, Palantir Technologies – che attraverso l’analisi di big data elabora strategie per importanti aziende e organizzazioni – fu accusata di aver messo a punto un piano per «screditare e rendere innocui» Wikileaks e lo stesso Glenn Greenwald.
Allora però gran parte dell’opinione pubblica si schierò contro queste azioni tanto che i dirigenti di Palantir dovettero far marcia indietro: tutta la colpa fu addossata a una delle aziende partner della società e i suoi dirigenti dovettero scrivere scuse pubbliche per l’accaduto. Così, passati alcuni anni, non è difficile immaginare che, forti di quelle esperienze, si sia deciso di mutare strategia: attaccare i gossippari di Gawker perché la parte meno nobile della libera circolazione delle informazioni.
C’è anche da dire che certo possiamo criticare per alcuni suoi aspetti Gawker e gli altri blog del suo network ma non è del tutto corretto definirlo semplicemente come un sito scandalistico. Gawker è qualcosa di più, così come BuzzFeed o Vice sfuggono oggi a categorie uniche mettendo assieme aspetti molto diversi e contrapposti. Gawker Media non è solo gossip così come BuzzFeed oggi non è solo listicle, e Vice non è solo buffonate e goliardia: sono un nuovo tipo di giornali dove convivono gossip, gattini e reportage di qualità, con un linguaggio nuovo che cattura un pubblico al quale i media tradizionali non riescono a parlare da molto tempo. Come Valleywag il blog (oggi chiuso) pubblicato da Gawker che più volte aveva fatto infuriare Thiel (che lo ha definito «l’al-Qaeda dell’informazione») perché raccontava per la prima volta la Silicon Valley al di là della retorica dell’“isola felice” come nessun altro giornale aveva avuto il coraggio di fare prima.
Va ricordato infine che azioni come quella promossa da Thiel rendono ancora più esposte le piccole testate indipendenti che pur non avendo enormi risorse economiche decidono di realizzare inchieste scomode e battaglie civili. È il caso di Mother Jones, rirista di giornalismo investigativo, che dopo un reportage non gradito al miliardario Frank VanderSloot è stata coinvolta in diverse cause da lui finanziate accumulando, nonostante la rivista le abbia tutte vinte, spese legali per 650 mila dollari (non rimborsabili per la legge americana, se non dimostrando che le cause sono state fatte per motivi «futili e irrilevanti») e venendo così messa in seria difficoltà economica.