Stefano Cingolani, Panorama 24/6/2015, 24 giugno 2015
ROMA CALENDA EST
Lo chiamano già «cavallino rampante», non solo perché si è fatto le ossa alla Ferrari, all’ombra di Luca di Montezemolo, ma perché, appena s’è seduto sulla poltrona di ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda ha puntato a rottamare il presidente della Consob, la commissione di controllo sulla Borsa. Domenica 5 giugno Milena Gabanelli, con cipiglio severo, intima a Giuseppe Vegas: «Si dimetta». La giornalista, dagli schermi di Rai3, mostra una lettera inviata il 3 giugno 2011 dalla quale emerge che la Consob presieduta da Vegas ha dato indicazioni alle banche di non inserire nei prospetti riguardanti le obbligazioni subordinate, gli scenari con i quali si indicano ai sottoscrittori le possibilità che il loro investimento vada male. L’Unione europea ha contestato la validità di tali elucubrazioni, come ha spiegato in Parlamento il viceministro dell’Economia Luigi Casero; reintrodurle adesso «sarebbe in contrasto con la disciplina europea di riferimento». Ma le associazioni Adusbef e Federconsumatori, della quale Report si è fatta voce, non credono che dalla Commissione Ue sia partita una vera bocciatura.
La questione è intricata, tuttavia Calenda, arrivato fresco fresco da Bruxelles, non ha esitato a dar ragione alla Gabanelli. Dopo un imbarazzato silenzio di Palazzo Chigi, è arrivato l’altolà di Angelino Alfano, ministro degli Interni, contrario a decapitazioni di un’autorità indipendente. A evocare nettamente l’autonomia della Consob è sceso in campo anche il ministro dell’Economia. Pier Carlo Padoan, economista di provata dottrina e di lungo corso, sa bene che gli scenari non hanno grande fondamento scientifico.
Vegas ha trovato un altro sostegno a sinistra da Giampaolo Galli, bocconiano, dottorato al Mit di Boston proprio sui rischi finanziari e tirocinio alla Banca d’Italia, il quale, dopo essere passato in Confindustria come direttore generale, ora è deputato del Pd. Vero esperto in materia, non risparmia una velenosa punta di sarcasmo: «La cosa più sconcertante» ha scritto «è che la tesi degli scenari probabilistici è sostenuta da alcuni presunti addetti ai lavori che ricordano un po’ quel Giampaolo Giuliani, ex dipendente dell’Istituto di Fisica dello spazio interplanetario, che fece la previsione del terremoto, ma a Sulmona e non a L’Aquila e nel giorno sbagliato (il 29 maggio 2009 anziché il 6 aprile)».
Un’ampia letteratura spiega che estrapolare gli andamenti passati è fallace: nessuno aveva previsto il crac della Lehman.
Mentre le ipotesi «what if», cioè che cosa accadrebbe se si verificassero certe circostanze, non vanno al di là delle illazioni. E Galli affonda il colpo: «Fra il 2008 e il 2011, prima che la Consob fosse redarguita dalle autorità europee, ad alcune banche non fu impedito di includere gli scenari probabilistici nel loro prospetto. La Popolare di Vicenza e persino la Bcc di Bene Vagienna (Cuneo) che di lì a poco fu commissariata, presentarono scenari meravigliosi e mirabolanti, come se fossero il risultato obiettivo di test scientifici».
Forse Calenda s’intende di rischi finanziari più di Galli. Del resto, è riuscito a sfuggire agli imbrogli di Gianfranco Lande, il Madoff dei Parioli, a differenza dal padre Fabio che pure è un economista ed ex banchiere (con vena da scrittore). In realtà, Carlo ha un debole per la diplomazia: ha tentato anche il concorso per la Farnesina, prima del fatale incontro con Montezemolo che lo porterà anche alla Fiat, in Confindustria e in politica, prima con Italia futura poi in Scelta Civica. E con tutta probabilità s’è fatto prendere la mano dall’entusiasmo.
Scivoloni a parte, l’uomo scelto per sostituire Federica Guidi è partito a razzo. Industria 4.0 («una rivoluzione in corso con un paradigma che si sta scrivendo»), un piano in cinque punti per le start-up (Corrado Passera docet), un capo di gabinetto fidato: Andrea Napoletano, già suo braccio destro. E richiamo in servizio per Enrico Bondi, obiettivo spending review. Si trova in mano una patata bollente come l’Ilva, pressato tra Emma Marcegaglia la cui azienda di famiglia è partner di ArcelarMittal, e Claudio Costamagna che alla Cassa depositi e prestiti ha incontrato recentemente i turchi della Erdemir (proprietà dell’esercito) insieme al gruppo Arvedi. Mentre i tavoli di crisi aperti sono ben 154 con 110 mila lavoratori interessati.
Calenda vorrebbe che il ministero diventasse un centro di elaborazione strategica non un cimitero per aziende in crisi. Energia ed entusiasmo non gli mancano; il figlio di Cristina Comencini, sangue blu nelle vene e cinematografo nel patrimonio genetico, è un uomo del fare, per questo Renzi lo ha catapultato alla Ue al posto di Stefano Sannino. Basta con «la casta delle feluche» ha sentenziato il capo del governo. Ma è durato solo due mesi. La sua designazione ha irritato gli ambasciatori (con tanto di lettera al Presidente della Repubblica) e ha stupito la Commissione europea; il ritorno a Roma ha aumentato la convinzione che Bruxelles venga considerata dagli italiani un pit stop.
Bando alle polemiche, Calenda è un uomo che guarda sempre avanti. E c’è chi dice voglia puntare in alto, molto in alto, addirittura al palazzo di Quintino Sella, cioè alla poltrona di superministro dell’Economia. Pettegolezzi, voci dal sen fuggite. Intanto, al ministero, dove lo hanno già conosciuto e dove non manca la memoria degli studi classici, circola un gioco di parole rivelatore: Calenda Cartago.