Luca Valdiserri, Limes: Il potere del calcio 5/2016, 23 giugno 2016
SPAGNA IL CALCIO CHE VINCE– [PEZZO DA PASSARE] Dal 2000 i club spagnoli hanno vinto 26 titoli europei su 51 (l’Inghilterra, seconda, è a quota 7)
SPAGNA IL CALCIO CHE VINCE– [PEZZO DA PASSARE] Dal 2000 i club spagnoli hanno vinto 26 titoli europei su 51 (l’Inghilterra, seconda, è a quota 7). In questa stagione hanno piazzato tre fina liste su quattro, il Siviglia ha stabilito il record di tre Europa League vinte consecutivamente e la prossima Supercoppa Europea sarà il ventisettesimo titolo, chiunque la vinca. La Champions League è stata vinta dal Reai Madrid contro l’altra squadra della capitale spagnola, l’Atlètico. La Nazionale, con l’eccezione del Mondiale di Brasile 2014, ha messo in bacheca tutto quello che si poteva vincere e i risultati nelle competizioni giovanili sono stati eccellenti. Ha fatto passi avanti anche il calcio femminile: moltissime squadre della Liga hanno una sezione femminile, le pili competitive sono Athletic Bilbao e Barcellona. Viene automatico chiedersi, a questo punto, se esista un modello spagnolo di calcio e, in caso di risposta affermativa, se è esportabile. Oppure se sono solamente i soldi a fare la differenza.I dati Deloitte sui fatturati del 2014-15, resi pubblici nello scorso gennaio, danno una risposta solo a metà. Diciassette delle prime trenta squadre in classifica giocano in Premier League, che è perciò – nettamente – il campionato più difficile e competitivo. I primi due club, però, sono Reai Madrid – da undici anni in testa a questa particolare classifica – e Barcellona. La prima spagnola dopo i due giganti è l’Atlètico Madrid, al quindicesimo posto.Questa è la classifica, nel dettaglio: 1. Reai Madrid: 577 milioni di euro (l’anno precedente 549,5), media spettatori 72.969, 19,4 milioni di follower su Twitter e 89,5 milioni su Facebook. Un dato non banale, visto che ogni follower ha un suo valore «commerciale»; 2. Barcellona: 560,8 milioni (484,8), 77.632 spettatori, 17,6 milioni di follower su Twitter, 93 su Facebook: 3. Manchester United: 519,5 milioni; 4. Paris Saint-Germain: 480,8; 5. Bayern Monaco: 474; 6. Manchester City: 463.5; 7. Arsenal: 435,5; 8. Chelsea: 420; 9. Liverpool: 391,8; 10. Juventus: 323,9 milioni di euro (279 l’anno precedente), 36.292 spettatori di media, 2,4 milioni di follower su Twitter e 20,9 su Facebook. I dati sull’Atlètico Madrid sono questi: 187,1 milioni di fatturato (169,9), 42.110 spettatori di media, 1,9 milioni di follower su Twitter e 11,9 su Facebook.L’Atlètico Madrid – insieme al Borussia Dortmund e, ultimamente, al Siviglia – è spesso usato come modello possibile per le squadre italiane (juve esclusa, che, per risultati, fatturato e prospettive, è un caso unico nel nostro calcio). L’Atlètico ha uno stadio vecchio ma sempre pieno, sta costruendone uno nuovo di proprietà, fa molto trading di calciatori (negli ultimi anni ha venduto a carissimo prezzo questi centravanti: Forlan, Aguéro, Fernando Torres, Radamel Falcao, Diego Costa e chissà se il prossimo sarà Griezmann) e si affida a un ras del mercato come Jorge Mendes. Ma non è tutto oro quello che luccica.Il debito fiscaleUn articolo online pubblicato da calciomercato.comè, in questo senso, particolarmente puntuale: «Al termine della stagione 2010-11, l’Atlètico Madrid ha chiuso la Liga al settimo posto, in una situazione debitoria importante che impone pesanti sacrifici sul mercato: via il portiere David de Gea (al Manchester United per 20 milioni), Elias passa allo Sporting Lisbona per 8,5 milioni, Forlan all’Inter per 5 e Aguèro si accasa al Manchester City per la bellezza di 45 milioni di euro. Incassi complessivi per 85 milioni, che però non vengono destinati direttamente all’Agenzia delle entrate spagnola, come imporrebbe il buon senso e non solo. Il club colchonero raggiunge un accordo per rateizzare su più anni il suo debito e reinveste per 91 milioni di euro nella successiva campagna acquisti, 53 dei quali per l’estemo turco Arda Turan (13 milioni versati al Galatasaray) e per il fortissimo attaccante colombiano Radamel Falcao, prelevato per 40 milioni dal Porto. Qualcosa non toma, se i numeri hanno ancora un senso. Il segreto sta nella collalx>razione, raccontata dettagliatamente dal giornalista di El Pais José Marcos – e confermata a parole dal presidente della Lega, Javier Tebas – con il fondo di investimento Doyen Sports. nei quali avrebl^e degli interessi anche il potente agente portoghese Jorge Mendes, guarda caso procuratore di Falcao. Secondo queste fonti, il passaggio del centravanti dal Porto all’Atlètico Madrid sarebbe costato solo 18 milioni di euro alla formazione iberica, in virtù del 55% della titolarità dei diritti sul giocatore della Doyen. Due stagioni dopo, Falcao si è trasferito nel Monaco del magnate risso Dmitrij Rybolovlev per 60 milioni di euro, ma di questi solo una pane sono rimasti nelle casse del club. L’anno prima infatti, il calciatore, come ricompensa per la decisione di rifiutare la corte di Chelsea e Reai Madrid e restare una stagione in più agli ordini di Simeone, è entrato in possesso di parie del suo cartellino, guadagnando qualcosa come 15 milioni sul suo trasferimento nel principato. Sui restanti 45, in teoria da destinare al Porto nell’ambito del pagamento rateale pattuito a suo tempo per mettere le mani sul colombiano e dal solito fisco, è il buio più totale. Nessuno sa realmente dove siano andati a finire».Il profetico II calcio ai tempi dello spread, di Gianfranco Teotino e Michele Uva (il Mulino, 2012), parla di un altro particolare vantaggio, ora «neutralizzato», di cui ha goduto il calcio spagnolo. Si tratta del regio decreto 687, approvato nel giugno 2005 dal governo di José Maria Aznàr (grande tifoso del Reai Madrid), che aveva «la nobile intenzione di attrarre entro i confini spagnoli aziende straniere, manager, medici, professionisti e ricercatori esteri. Per fare ciò stabili una norma per chi avesse trasferito, dal 1° gennaio 2004 in poi, la propria residenza da un paese straniero in Spagna. Per i successivi cinque anni, invece di essere soggetto alla normale aliquota del 43%, quel soggetto avrebbe potuto godere di un regime fiscale agevolato con aliquota al 25% (dal 2007 addirittura abbassata al 24%). I presidenti dei club spagnoli colsero la palla al balzo e, sull’onda di questo provvedimento, iniziarono il grande saccheggio aperto con Beckham. Seguirono poi i vari Cannavaro, Emerson, van Nistelrtxjy, Robben, Benzema, Kakà, Cristiano Ronaldo, Henry... Uno studio di Ernst#Young del 2004 (Football Mets Financé) ha esemplificato numericamente lo scenario: a parità di uno stipendio netto di 2 milioni di euro, una società spendeva per lo stesso calciatore straniero uno stipendio lordo di 2,7 milioni in Spagna e quasi 4 milioni in Italia, per arrivare ai 5,4 milioni della Francia».Come ricorda il libro, un decreto del governo Zapatero (grande tifoso del Barcellona) dal 1° gennaio 2010 ha riallineato l’aliquota per i redditi lordi superiori ai 600 mila euro ai livelli degli altri principali paesi europei. Ma le vittorie sul campo non sono cerio retroattive.Diritti televisividiritti tv sono stati un’altra formidabile arma nelle mani di Barcellona e Reai Madrid. Anche in questo caso, la Spagna è stata costretta a intervenire per non rischiare infrazioni sulla libera concorrenza nell’Unione Europea. Il sistema dei diritti tv ha subito una modifica che entrerà in vigore proprio nella prossima stagione. In estrema sintesi ci sarà il passaggio da un sistema di distribuzione individuale a uno collettivo. In tutta Europa, anche se con differenze notevoli tra un sistema e l’altro (il più equilibrato è quello inglese della Premier League), si fa così. La vendita collettiva permette una distribuzione più equa degli introiti e, nel caso spagnolo, funge anche da garanzia nel caso di debiti verso il fisco nazionale. La riforma, voluta direttamente dal governo di Madrid, nasce da un reai decreto del maggio 2015: aumentando i ricavi dai diritti tv pelle squadre, la fiscalità spera di poter incassare dagli stessi club le centinaia di milioni di euro di cui sono debitrici.sito eunews.itspiega: «Nel corso dell’ultimo decennio (guarda caso quello delle grandissime vittorie europee, n.d.a.), i club si sono indebitati. Un buco che si è allargato nel tempo anche a causa delle banche, le quali prima hanno generosamente rimpinguato le casse di alcuni club, poi con la crisi sono con- fluite in Bankia, istituto nazionalizzato nel 2012. Così, una parte importante del debito del calcio spagnolo è finito per essere a carico dello Stato. Nel 2012 il passivo, cresciuto anno dopo anno, aveva raggiunto cifre impressionanti: circa 850 milioni di euro. Per risolvere il problema, il governo è pervenuto a un accordo con la Federcalcio spagnola, facendo leva proprio sugli introiti televisivi, che in alcuni casi sono stati pignorati. Dalla passata stagione, inoltre, in caso di debiti eccessivi, il 35% dei proventi dei diritti tv possono essere destinati all’abbattimento del passivo. A seguito dell’accordo del 2012, la situazione è tornata quasi alla normalità. Nel 2014 il buco si era sensibilmente ridotto, attestandosi intorno ai 480 milioni, mentre alla fine della scorsa stagione, cioè nel giugno del 2015, si era arrivati a 350 milioni di euro. Un debito che, nelle attese dell’esecutivo di Mariano Rajoy, dovrebbe essere abbattuto anche grazie al nuovo sistema di vendita centralizzata dei diritti tv, che nelle previsioni dovrebbe garantire un incremento degli introiti pari al 40%».Il nuovo sistema toglierà introiti a Reai Madrid e Barcellona, che ora incassano otto volte di più dell’ultima delle squadre della Liga (122 milioni di differenza), ma sono previsti dei correttivi – nel caso in cui la vendita dei diritti dovesse calare nei prossimi anni – di nuovo a favore dei due giganti. Le squadre che dovrebbero approfittare di più delle nuove regole sono Valencia, Siviglia e Atlètico Madrid. La divisione avverrà tenendo conto di tre linee guida: risultati sportivi (si calcolano gli ultimi cinque anni per la Liga e l’ultimo per la Liga Addante, la nostra Serie B); vendita di abbonamenti e biglietti negli ultimi cinque anni; contributo alla visibilità del campionato (simile al concetto di «bacino di utenza»). Tra la squadra che riceverà più soldi dall’accordo e l’ultima non dovrà essere superato il parametro 1:4,5 ed è previsto un «paracadute» per chi retrocede.I diritti televisivi sono fondamentali, ma non bastano per vincere. Come ha scritto Marco Bellinazzo sul Sole-24 Ore, *la Premier League vale tre volte la Liga spagnola e la Serie A in fatto di diritti tv. Mentre la Serie A ha chiuso il round di accordi relativi al triennio 2015-18 con incassi pari a 1,2 miliardi di euro a stagione e la Liga spagnola, in vista dell’entrata in vigore dalla prossima annata della nuova disciplina sulla contrattazione collettiva dei diritti di trasmissione, ha siglato contratti per 1,3 miliardi, i 20 club d’Oltremanica festeggiano entrate straordinarie. Dopo aver ottenuto dallasta per il mercato nazionale 6,9 miliardi di euro, sempre per il triennio 2016-19, la Premier ha infatti messo a budget per i diritti tv venduti all’estero un incasso di 4 miliardi di euro, pari a 1,3 miliardi all’anno. Il che equivale a ricavi tv totali per 10,9 miliardi di euro, 3,6 a stagione».Aiuti di StatoUn’altra particolarità del calcio spagnolo – e delle potenti spinte politiche all’autonomia all’interno della Spagna – è la forte commistione pallone/geopolitica. La punta dell’iceberg sono state le interrogazioni dell’europarla mentare catalano Pere Esteve sulla vendita dell’area dell’ex Ciudad Deportiva del Reai Madrid. Questo è il testo: «Il giorno 7 maggio 2001, il presidente della Comunità autonoma di Madrid, il sindaco di Madrid e il presidente dell’A.S. Reai Madrid hanno sottoscritto un accordo per lo sviluppo urbanistico dell’area situata tra il Paseo de la Castellana, l’avenida Monforte de Lemos e le calles di Pedro Rico e Arzobispo Mordilo, distretto di Fuencarral-El Pardo, ai sensi del quale le parti in causa si impegnano e si obbligano ad effettuare tutti i passi necessari per modificare la qualifica urbanistica dei circa 120 ettari di terreno in cui si trova attualmente la “Città sportiva” del Reai Madrid, cosicché 30 mila metri quadrati di terreno, considerati precedentemente “impianti sportivi privati”, vengono trasformati in “terziario“ generico, ossia la qualifica di industrie, stabilimenti commerciali, hotel eccetera. Sul terreno che verrà riqualificato si prevede la costruzione di quattro torri, ciascuna di 54 piani, la cui vendita e/o utilizzo permetterà al Reai Madrid di beneficiare di una fonte di entrate atipiche che non solo assorbiranno il forte debito della squadra, ma la porranno finanziariamente dinanzi alle sue concorrenti. Poiché il calcio europeo costituisce un mercato unico, ai sensi della normativa comunitaria, bisogna considerare che una situazione di favoritismo nei confronti di una squadra spagnola non si ripercuoterebbe solo su altre squadre spagnole, ma anche su altre squadre dei paesi dell’Ue, visto che tutte attingono allo stesso mercato di beni e servizi sia per quanto riguarda il materiale sportivo sia per le prestazioni professionali di calciatori e allenatori. Deve esser chiaro che non stiamo discutendo resistenza di squadre di calcio più o meno ricche, con più o meno patrimonio: si tratta di stabilire se le condizioni di trasmissione o vendita delle proprietà immobiliari in questione partono da uno speciale favore politico e amministrativo, a detrimento delle norme che disciplinano la libera concorrenza. Per quanto riguarda il caso sopra esposto, l’operazione potrebbe essere considerata come un “aiuto concesso dagli Stati” a favore del Reai Madrid».La risposta del commissario Mario Monti, responsabile dell’Antitrust, fu questa: «Il Comune e la Comunità di Madrid hanno modificato l’accordo urbanistico in modo che sembra conferire un vantaggio, ma non implicare un trasferimento di risorse statali». Nel frattempo il Reai si era spostato a Valdebebas e aveva costruito la squadra dei Galàcticos anche con i soldi di quell’accordo. Il contrattacco di alcuni giornali madrileni, vicini al Reai, furono le inchieste sugli aiuti delle Comunità catalana e basca a Barcellona e Athletic Bilbao.Tre modelli da imitareIl modello Liga è, allora, da buttare? Non proprio. Ci sono almeno tre elementi importantissimi che il calcio italiano dovrebbe assolutamente fare suoi. Il calcio spagnolo è cresciuto anche grazie a loro e lo ha fatto mettendo una base molto solida che ha permesso vittorie delle Nazionali e crescita di club «minori» come Deportivo La Coruna in tempi passati, Villarreal e Siviglia in quelli recenti.Ze squadre B e i cenili di formazione. Nella Spagna campione del Mondo 2010 tre soli giocatori non avevano fatto parte, in gioventù, delle «seconde squadre», filiali che i club possono iscrivere in campionati minori. Erano Fernando Torres (così bravo da aver sfondato subito nella prima squadra dell’Atlètico Madrid), Marchena e Fàbregas (che era stato «scippato» ancora minorenne dall’Arsenal al Barcellona). Non ci può essere segnale migliore della riuscita di questo esperimento, che ha due vantaggi principali. Primo, far giocare i giovani in campionati competitivi e dove non «perdono tempo» come spesso avviene in Italia con il campionato Primavera. Secondo: garantire un controllo continuo della loro crescita, affidandoli ad allenatori formati nel club e istruiti secondo la filosofia di gioco della prima squadra. Il caso della Masia del Barcellona, in questo senso, è il più esplicito, ma un settore giovanile simile si ritrova anche nell’Ajax o nell’Athletic Bilbao. Tutti i ragazzi giocano il «calcio dei grandi» e l’esempio dei giocatori della prima squadra è nei loro confronti potentissimo. Il Barcellona B, dal 2011 a oggi, è stato due volte terzo in Liga Adelante. I regolamenti non hanno poi permesso ai blaugrana di giocare i playoff per la promozione, dato che, giustamente, non ci possono essere prima squadra e squadra B nello stesso campionato. In passato le squadre B potevano giocare la Coppa del Re, adesso non più. Il Casella, squadra satellite del Reai Madrid, andò addirittura in finale nel 1980 (persa 1-6 1 contro il Reai Madrid «vero») e l’anno dopo giocò la Coppa delle Coppe, visto che le meringhe avevano vinto anche il campionato. Barga e Reai, ma anche Athletic Bilbao, arrivano a 4-5 mila spettatori nelle gare delle loro squadre B.L’altro segreto della Spagna sono i 70 centri federali territoriali che permettono lo sviluppo di un calcio «spagnolo» a denominazione di origine controllata. A livello di Nazionali ci si concentra su under 12, under 16 e under 19, con il controllo di 19 federazioni regionali o territoriali. A livello di club si giocano campionati juvenil (under 18), cadete ( under 15), infantili under 13), alevìn (under 11) e benjamin (under 9). I primi due sotto l’egida della Federcalcio, gli altri organizzati dalle Comunità autonome. I risultati sono arrivati di pari passo con l’ampliamento e la professionalizzazione delle strutture.La scelta delle sponsotizzazioni. Vincere porta tifosi, avere tifosi porta soldi, avere soldi aiuta a rivincere. È un circolo magico che ha toccato l’apice con la pioggia di milioni arrivati nelle casse del Barcellona grazie al nuovo accordo con la Nike. Il colosso sportivo americano verserà al club catalano una cifra che potrà raggiungere i 155 milioni di euro all’anno. Già dalla prossima stagione il Barcellona vedrà crescere i propri introiti pubblicitari a 80 milioni di euro (dai 60 attuali), per salire a 85 nel 2017-18. A partire dalla stagione 2018-19, la prima del nuovo accordo di sponsorizzazione con la Nike, il Barcellona riceverà una somma annua fissa di 105 milioni e potrà incassarne altri 50 dalla gestione diretta delle licenze per i propri negozi. Nike è sponsor del Barcellona dal 1998.La cultura calcistica. Infine, l’idea di spettacolo e non di guerra civile che gli spagnoli legano al calcio. Gli italiani sanno godersi ogni forma di bellezza – dalla gastronomia alla cura del proprio corpo, dall’arte sacra e profana al semplice ozio – tranne il calcio. Luis Enrique, che a Roma era dileggiato con il soprannome di Zichichi e a Barcellona ha vinto tutto quanto si poteva vincere, riuscendo anche nell’impresa di far convivere Messi, Suàrez e Neymar, quando Guardiola non c’era riuscito con Ibrahimovic e Messi, raccontava sconvolto dopo i primi giorni di ritiro con la Roma: «Qui tutti i tifosi mi chiedono di far correre e sudare i calciatori mentre nessuno mi chiede di farli giocare bene».