Michela Auriti, Oggi 22/6/2016, 22 giugno 2016
STORIA DEL BIKINI
Roma, giugno
Settant’anni e non sentirli. Nessuna ruga, al massimo qualche plissè. Nessun cedimento, se non alla sensualità di sgambature e scolli mozzafiato. Il bikini taglia il traguardo degli over anta, ma rimane il prediletto dalle donne e il protagonista sulle spiagge con il 70 per cento di capi venduti. Possono cambiare le forme, stile hippy o pin-up, però la sostanza rimane quella. Le tendenze estate 2016? Secondo uno studio commissionato da Vente-privee, sito di vendite speciali per periodi limitati, trionfano i motivi floreali (62 per cento); seguono i modelli a ricami e pizzi crochet con il 24 per cento. Ben distanziati arrivano i capi a effetto denim (12 per cento), mentre fanalino di coda è il bikini animalier con un misero 2.
Di strada il due pezzi ne ha fatta. Cambiando la storia del costume, andando di pari passo col senso del pudore. Il geniale inventore è il francese Louis Réard. Siamo nel 1946, 5 luglio. A quei tempi gli americani, sull’atollo Bikini al largo delle isole Marshall, stavano effettuando una serie di test nucleari. Attorno alla piscina parigina Molitor sfila invece la spogliarellista Micheline Bernardini. Con un due pezzi ridottissimo che, per la prima volta, mette in mostra ombelico e natiche. Tanta la scabrosità della mise, che nessuna modella professionista aveva voluto indossarlo. Così Réard, che di mestiere fa l’ingegnere meccanico ma aiuta nell’azienda di intimo di famiglia, aveva scovato quella ballerina a luci rosse al Casino de Paris. Il nome del costume, forse sconveniente e politicamente scorretto, si rivelerà col tempo una fortuna: bikini. «Sarà la bomba atomica del mondo», commenta la celebre giornalista di moda Diana Vreeland.
Réard non aveva fatto altro che mettere a punto un modello già in commercio dello stilista Jacques Heim e così pubblicizzato: «Il più piccolo costume da bagno del pianeta». Lui esagera: «Il più piccolo del più piccolo costume da bagno, tanto da stare in una scatola di fiammiferi». Leggenda vuole che si fosse ispirato davanti ai mosaici romani di Piazza Armerina, III secolo dopo Cristo, dove alcune fanciulle esibiscono il primo due pezzi della storia. Un famoso ortopedico gli aveva poi suggerito i benefici che il sole può avere sulle ossa: dunque il bikini diventava anche salutare.
Ma l’effetto bomba che Réard aveva immaginato fatica ad arrivare. Il capo sembra troppo audace, al Vaticano non piace. Viene vietato in Italia, Spagna, Portogallo, Belgio. Se ne proibisce l’uso a Miss Mondo nel 1951. Mentre sui set americani, la commissione Hays controlla l’applicazione di un rigido codice: le attrici possono indossare un due pezzi, ma mai scoprire l’ombelico.
NEGLI STATI UNITI
TESTIMONIAL FU MARILYN
Il bikini viene sdoganato da Brigitte Bardot, cha fa di Saint-Tropez la sua passerella e lo propone in E Dio creò la donna (1956). Negli Stati Uniti le testimonial sono Marilyn Monroe e Rita Hayworth. Jane Mansfield, anno 1957, fu immortalata sulla copertina di Life Magazine con uno strepitoso due pezzi. Esther Williams, la regina indiscussa del nuoto sincronizzato e virtuosa del costume intero, lo definì invece «adatto solo a un pubblico di ibridi uomini-maiale».
Comunque sia, negli anni Sessanta il bikini entra nel mercato di massa. Iconico quello sfoggiato da Ursula Andress in 007-Licenza di uccidere (1962). E magnifica la Raquel Welch di Un milione di anni fa, coperta solo da pezzetti di cuoio (1966). Strumento di seduzione indosso alle bellissime, diventa con il passare degli anni la divisa di tutte, ragazze, mamme, nonne. Perde l’aura peccaminosa, rafforzando invece la sua valenza di praticità salutare. Ha la meglio sul topless, oggi datatissimo, sul tanga cafone e anche sul ben più elegante costume intero. Più che una tendenza diventa una necessità.
Conferma Barbara Dall’Argine, pierre di moda: «Il bikini risponde a un’esigenza pratica: è comodo, non rimane bagnato, consente un’abbronzatura quasi totale. È un capo intramontabile che resiste, oggi, all’assalto dei costumi interi meno contenitivi. Cambia nelle forme. Per esempio il modello a fascia, che nessuno fino a qualche anno fa avrebbe considerato, è tornato prepotentemente di moda. Quanto alle varianti, ecco il silkini. Ovvero un bikini realizzato interamente in organzino di seta. Sul mercato islamico impazza invece il burkini, che naturalmente è la negazione del bikini: una sorta di palandrana in lycra, con tanto di cappuccio, che consente alle donne di bagnarsi senza spogliarsi». Michela Gattermayer, vicedirettore di Gioia, lega i modelli al luogo: «Io rimango dell’idea che il più venduto sia il classico triangolo: lo stringi, lo allarghi, fai come vuoi. Ma la scelta del costume risente anche del posto di vacanza. In piscina impazzano i modelli tipo sub, di materiale tecnico, con microcanotta e mutanda alta. Se poi vai a Formentera, che è un’isola molto hippy, il bikini si ridurrà ai minimi termini. Mentre nella mondanissima Saint-Tropez il costume non serve tanto a bagnarsi quando a farsi ammirare. Quindi via con paillettes e ricami! La tendenza dell’anno è comunque caraibica, hawaiana, coloratissima di ibiscus».
Dagli anni Settanta in poi, il bikini diventa sempre più sgambato, lo slip si trasforma in perizoma, tanga, string, con un sottile filo infranatica, e reggiseni riempiti di gel profumati. All’alba del suo settantesimo compleanno, pur rimanendo palestra incessante di ricerca, ecco che il due pezzi (di storia) si riconcilia finalmente con il bon ton. O almeno così sembra.