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 2016  giugno 22 Mercoledì calendario

HEY MR. DEEJAY– [Pasquale Feliciano, detto Linus] «All’inizio avevo deciso di far passare in silenzio i miei quarant’anni di radio: ho paura di sentirmi troppo vecchio»

HEY MR. DEEJAY– [Pasquale Feliciano, detto Linus] «All’inizio avevo deciso di far passare in silenzio i miei quarant’anni di radio: ho paura di sentirmi troppo vecchio». Poi, però, Linus ha cambiato idea, e in questa intervista a GQ racconta la sua storia, dagli inizi nelle prime radio degli Anni 70 all’incontro con Claudio Cecchetto, che l’ha portato a Deejay insieme a una generazione di fenomeni come Gerry Scotti, Fiorello, Jovanotti. Da vent’anni dirige la radio più amata e forse più conosciuta d’Italia, sicuramente la più profittevole dal punto di vista pubblicitario. Tutte le mattine è in onda alle 10 con Deejay Chiama Italia, spalleggiato da Nicola Savino: «Non potrei fare a meno della diretta», spiega nel salotto della sua bella casa a due passi dallo stadio di San Siro. Nella primavera del 1976 il suo debutto radiofonico: si ricorda qual è stato il primo disco che ha disannunciato? «Come potrei dimenticarlo: Wake up everybody di Harold Melvin, una canzone che negli Usa è un grande classico, ma che in Italia invece ricordano solo quelli della mia generazione. Ogni anno la suono in radio». L’ultima canzone che ha disannunciato oggi, invece? «Canzone per l’estate di Fabrizio De André e Francesco De Gregori, però nella versione di Cristiano De André appena uscita. Emozionante». Chi era il suo idolo dell’etere da ragazzino? «Il primo disc jockey di cui noi giovani di Milano ci siamo innamorati, ascoltando le radio libere, era P3, al secolo Piero Cozzi, tutt’ora pubblicitario di successo. All’epoca lui e i suoi fratelli avevano avuto l’intuizione di fondare la prima radio privata italiana, Milano International, che poi divenne la mitica Oneo-One, dove ho anche lavorato». Anni ruggenti? «Era tutto da inventare, in Italia non c’erano punti di riferimento. Così, ricordo che con Gigio D’Ambrosio e Massimo Braccialarghe la sera ci chiudevamo in macchina ad ascoltare Radio Luxembourg, che, pur essendo una radio europea, aveva uno stile americano. Voci esotiche dall’AM, che ha la prerogativa di mandare il segnale a onde, come il mare: quindi c’erano queste voci che si allontanavano e poi si avvicinavano, dando ancora più magia a quel rito. In quegli anni si dava più importanza al suono della parola, che alla parola stessa. Qualcuno lo fa ancora adesso. Purtroppo». Poi nel 1984 approda a Radio Deejay, che era stata fondata due anni prima da Claudio Cecchetto. Un ricordo di quei primi anni? «Forse lo spartiacque tra la radio pionieristica degli anni Settanta e Ottanta e quella professionale degli anni Novanta e Duemila è la Corsa Tris, un gioco tra Gerry Scotti, mio fratello Albertino e me, gli unici dj che andavano in onda in quel periodo: mattino, pomeriggio e sera. Il venerdì ognuno di noi puntava su una canzone e poi in diretta al telefono facevamo votare gli ascoltatori. Durante la gara noi chiedevamo in tutti i modi di sostenere la nostra canzone, ma Gerry ci sovrastava fisicamente e verbalmente, perché era più forte, più maturo e più sicuro di noi». Ha ancora rapporti con lui? «Certo, è una persona a cui sono molto legato e, nonostante abbia solo un anno in più di me, l’ho sempre reputato come un fratello maggiore. Ogni volta che ci vediamo, diciamo di riprovare a fare qualcosa insieme a Deejay, ma lui è davvero molto preso con la tv e sa perfettamente che la radio va fatta con grande impegno. Ma io ci spero sempre». Se dovesse scegliere un ricordo per questi 40 anni di radio, quale sarebbe? «Andavo in onda di sera a Radio Music 100, che era molto lontana da casa mia. All’andata ci arrivavo con i mezzi, ma per tornare tardi non sapevo mai come fare e una sera ho rubato una bici. Me ne vergogno ancora adesso, ma ero disperato». Negli anni Ottanta e Novanta i dj erano vere star, spesso con vite dissolute. La sua trasgressione più grande? «Nei primi anni Novanta ero forse il dj che faceva più serate in discoteca in giro per l’Italia, prima del boom di Albertino con il Deejay Time, anche perché arrivavo dal successo di Deejay Television. In quel periodo la trasgressione era tanta: era abbastanza usuale che a fine serata il gestore del locale ti offrisse “qualche cosa” per l’after show, diciamo così. Ammetto di aver provato, ma per fortuna non ho mai coltivato certi vizi, anche perché gli effetti collaterali erano talmente negativi e pesanti da non giustificarne l’assunzione. Non mi è mai piaciuta la droga e così non ci ho più riprovato». Faticosa quella vita? «Dico sempre che ho fatto il militare con Cecchetto, che era molto rigido nel far rispettare le regole, o comunque noi non pensavamo si potessero trasgredire. Questo mi ha aiutato molto a mantenere sempre ordine negli impegni che prendevo. Ho fatto serate in discoteca a Treviso e il mattino dopo alle 9 ero in diretta in radio, dopo aver guidato tutta la notte». Però anche tanti momenti divertenti. «Ricordo uno scherzo memorabile: il nostro collega Federico Besana, tuttora il migliore amico di Gerry Scotti, era un tabagista incallito e per questo una volta gli abbiamo messo le miccette di carnevale in un paio di sigarette nel suo pacchetto. Quel giorno c’era ospite George Michael, intervistato da Kay Rush. A quei tempi si fumava ancora negli studi e così Michael chiede una sigaretta a Besana, ma alla seconda boccata gli esplode in faccia. A quel punto tutto l’entourage della popstar impazzisce. Gerry, Albertino e io eravamo in fondo al corridoio piegati dal ridere. Per fortuna anche Michael alla fine ha riso». La sua è la generazione dei grandi dj: Marco Galli, Peroni, D’Ambrosio, De Robertis... ne frequenta ancora qualcuno? «Frequentarli è raro, ma con alcuni sono in contatto. Soprattutto con Marco Galli: per alcuni anni siamo stati davvero inseparabili, avevamo anche una casa in comune in montagna con le nostre rispettive fidanzate. Gigio D’Ambrosio, invece, lo incontro spesso agli eventi mondani». Nel 1995 lei diventa direttore di Radio Deejay, e questo provoca una frattura con Cecchetto. «In realtà non abbiamo mai litigato. Credo che lui abbia preso male il fatto che, dopo aver venduto Deejay al Gruppo L’Espresso, abbiano fatto me direttore, ma avrebbe avuto la stessa reazione con chiunque altro e posso in parte capirlo: era la sua creatura, ma non era più sua. Con lui ho sempre avuto un rapporto franco, a volte anche di scontro, ma in undici anni di lavoro c’è sempre stato grande rispetto professionale e io inevitabilmente nutrivo anche riconoscenza. Ma non siamo mai stati amici. Per la festa dei trent’anni di Deejay, però, non potevamo non riavvicinarci. Ed è stato davvero un bel compleanno». Tanti talenti in quel periodo. Che ricordo ha del primo Jovanotti? «Rispetto a noi era un alieno. Il nostro ambiente radiofonico era un po’ fighetto, figlio del Nepentha, la discoteca della Milano da bere. Poi un giorno è arrivato lui, dieci anni più giovane di me, fresco, anticonformista, e la cosa all’inizio mi ha mandato in crisi. Io avevo trent’anni, mi stavo per sposare, spuntavano i primi capelli bianchi e fino al giorno prima, grazie alla tv, ero un teen idol. Per fortuna ho metabolizzato in fretta la cosa, anche perché Lorenzo ha portato una ventata di grande novità in radio, che ha ridato entusiasmo a tutti». E Fiorello? «Un altro terremoto, per noi. Dopo una vita passata nei villaggi turistici, girava scalzo anche in radio, sembrava un selvaggio: andava a fare i versamenti con tutti i soldi appallottolati nelle tasche, che poi il cassiere doveva ricomporre. Una volta chiese ad Amadeus se gli prestava un assegno del suo libretto, perché era della stessa banca e lui pensava bastasse quello per poterlo utilizzare. Ricordo però la sua prima estate in Aquafan nel 1988: dopo due ore era diventato il re». Anche per lui si parla di un possibile ritorno a Deejay. «Con Fiorello ci potrebbe essere una declinazione radiofonica della sua Edicola, che ora è passata a Sky, con cui noi abbiamo uno stretto rapporto di collaborazione. Potrebbero esserci sviluppi positivi, ma preferisco non pensarci, perché sarebbe troppo bello riportarlo a casa». Negli ultimi anni si è parlato molto dei litigi con Fabio Volo. Quanto c’è di vero? «Nulla, tutti pettegolezzi alimentati da Fabio, che ama giocarci sopra per fare show in radio. Lui, come spesso racconta, ha la sindrome del bambino che vuole l’attenzione del padre mentre fa i tuffi, e così si divertiva a recitare il ruolo della vittima, trascurato da me. Ma ora che è diventato padre a sua volta ha smesso. Per il resto normale dialettica tra direttore e artista». Tanti talenti e tanti uomini di potere: Carlo De Benedetti, per esempio. «Con lui ho un rapporto meraviglioso, mi ha dato sempre affetto, fiducia e non è mai intervenuto sulle mie scelte. E credo di averlo ripagato con correttezza e risultati». E il suo mastino Marco Benedetto? «Mi ha consigliato, protetto, spronato e, a volte, anche cazziato, perché era molto esigente. Dopo un’indagine d’ascolto in cui non eravamo andati bene, mi ha mandato un biglietto con scritto: “Stiamo scivolando come una biglia su un piano inclinato. Cosa intendi fare?”. Per fortuna abbiamo recuperato subito. Tutte le mattine alle 8 mi chiamava, e negli ultimi anni (è andato via nel 2009) continuava a dirmi di sviluppare la radio sul web. Un uomo con una grande visione verso il futuro. Mi diceva sempre di trovarmi bravi collaboratori, perché i generali non stanno con i soldati a combattere, ma in cima alla collina, perché è da lì che devono guardare come sta andando la battaglia». Che ricordo ha invece del Berlusconi anni Ottanta? «L’ho incontrato in una sola occasione, durante la serata di gala di presentazione della stagione tv 1989. Dopo un pomeriggio a Cologno Monzese, ci ha invitati tutti a cena ad Arcore: ricordo, fuori dagli studi, una fila infinita di taxi per tutti gli ospiti. Il patinato hollywoodiano in salsa brianzola. Lui che ci ha ricevuto tutti sulla porta e a fine cena ci ha congedato uno per uno, spendendo alcune parole per ognuno, per farci sentire importanti». Perché la televisione è un amore mai sbocciato fino in fondo? «Dopo l’esperienza di Deejay Television, dovevo scegliere se impegnarmi a fondo in tv, fare la gavetta come tutti, per poi raccogliere i frutti, ma in quel momento sono diventato direttore della radio e così non ho avuto più tempo per farlo. Non ho rimpianti, ma solo la curiosità di sapere come sarebbe andata». Negli ultimi mesi lei ha frequentato molto Beppe Sala, candidato del centro sinistra come sindaco di Milano. Più volte lei viene associato a una carriera politica. Le piacerebbe? «Ho avuto molte proposte, ma non credo che una vita da politico, fatta di compromessi continui, sarebbe adatta a me. Piuttosto mi vedrei bene investito di un progetto per la mia città, come consulente, da realizzare in autonomia. Anche perché non sono abituato a fare il soldato». L’estate scorsa sembrava fatta per Giuseppe Cruciani a Radio Deejay, poi all’ultimo momento lui si è tirato indietro. Discorso chiuso? «Con Giuseppe siamo amici, anche di maratona, e devo ammettere che lui è l’unica vera novità radiofonica degli ultimi anni. Credo che Deejay debba continuamente fare innesti stimolanti, per non cristallizzarsi nel suo successo. Diciamo che con Cruciani siamo molto vicini, ma questi sono i giorni decisivi».