Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 18 Sabato calendario

IL VICE-MERKEL TUTTO D’UN PEZZO CHE VUOLE LA GRECIA IN GINOCCHIO

Per popolarità, Wolfgang Schauble, il ministro dell’Economia di Berlino, non ha rivali in Germania. Lo stima il 70 per cento del Paese, molto aldilà dell’elettorato Cdu, il partito cui appartiene da quando ha i calzoni corti. È nel Bundestag dal 1972, ossia da dodici legislature, caso unico nella Rft. Certo, se confrontato alle diciassette legislature di Andreotti, Schauble ci fa un baffo. Ma si sa che siamo speciali.
Dunque il gelido mastino germanico, che ci guarda in cagnesco e vuole spezzare le reni alla Grecia, è invece caro ai suoi concittadini. Il che fotografa a pennello le opposte vedute tra mediterranei e mitteleuropei. A parte ciò, l’uomo ha una sua nobiltà.
L’essenza di Schauble è essersi messo al servizio dei Cristiano sociali e del Paese facendo il portatore d’acqua. Mai stato un leader politico, salvo pochi mesi da presidente della Cdu. Mai premier, pur avendone i numeri. È stato un soldato di fatica che ha sacrificato ambizioni per il risultato comune. Un giorno, in vena di bilanci, si è paragonato a Sisifo. Come il greco inviso agli dei, che spingeva caparbiamente la pietra sulla montagna sapendo che poi sarebbe rotolata giù, Wolfgang ha spesso dovuto ricominciare daccapo perché gli sfuggiva l’obiettivo quasi raggiunto.
GLI ANNI DI KOHL
Il macigno di Schauble è stato Helmut Kohl, il grande Cancelliere della riunificazione tedesca. Uno e novanta, cento e passa chili di stazza, un gigante politico. Ma un peso massimo dell’egocentrismo che pensava gli fosse tutto dovuto. Wolfgang ne fu il pupillo e lo schiavetto. Ebbe le redini della Cancelleria come ministro degli Affari speciali per tutta la seconda metà degli anni ’80 e divenne ministro dell’Interno, proprio quando crollò il Muro. Fu lui a prendersi la briga di trattare coi dirigenti dell’Est per procedere all’unificazione delle due Germanie, mentre Kohl e François Mitterrand si pavoneggiavano fra le folle come generali napoleonici. Toccò a lui spezzare una lancia in favore di Berlino capitale, al posto di Bonn. Fu il suo primo discorso al Bundestag in carrozzella, dopo l’attentato del 12 ottobre 1990 che l’aveva lasciato più morto che vivo e con le gambe secche. Erano tanti in Aula a parteggiare per Bonn mentre Berlino evocava gli incubi nazi e sovietici. Schauble però s’impose con una frase che mise la Germania di fronte a una responsabilità continentale. «La scelta di Berlino sentenziò è innanzitutto una decisione sul superamento della divisione d’Europa (tra Est e Ovest, ndr)». Retorica europeista, direte, ma allora funzionava. Nonostante i successi, Schauble era l’eterno secondo di Kohl. Lo chiamavano il Kronprinz, il principe ereditario. Alla lunga, suonava ironico. All’improvviso però, Kohl avvizzì. Il costo dell’Anschluss si faceva sentire e, specie a Est, la gente virava a sinistra. Per evitargli una figuraccia nelle elezioni del 1998, il delfino propose al sovrano di cedergli la leadership. Era un amorevole sacrificio: Wolfgang avrebbe attirato su di sé il malcontento, caricandosi la colpa della sconfitta. Helmut invece travisò, pensando che il canuto giovanotto volesse fargli le scarpe. Tra i due calò il freddo e ci fu la scena madre. Spingendo a braccia la carrozzella, Schauble s’infilò nello studio del capo e gli disse a brutto muso: «Ho trascorso con te anche troppo tempo della mia vita. Non metterò più piede in questo ufficio» e sparì. Helmut, presa la batosta annunciata, si ritirò e Wolfgang lo sostituì alla presidenza della Cdu. Pareva l’inizio di un percorso in prima persona ma la maledizione di Sisifo era in agguato. Wolfi, diminutivo che esprime tenerezza, fece due passi falsi. Il primo, lanciare come segretario del partito che presiedeva, l’astro nascente venuto dall’Est, Angela Merkel. Il secondo, farsi beccare dalla magistratura per finanziamento illecito. Cinque anni prima, Schauble aveva infatti intascato, per conto della Cdu, centomila marchi da Karlheinz Schreiber, mercante d’armi. Con che stomaco abbia preso soldi da un armiere dopo le pistolettate ricevute nel 1990, resta un mistero. Comunque, dovette lasciare la guida del partito e Angela lo sostituì, prendendo il volo. D’ora in avanti, sarà Merkel il secondo ostacolo, dopo quello di Kohl, alla carriera del Nostro.
L’INFANZIA
Nato nel 1942 a Friburgo, sud della Germania, da famiglia luterana, Wolfgang trascorse l’infanzia con i suoi due fratelli, uno più grande, l’altro più piccolo, andando a funghi nella Foresta nera e pescando lucci nel Lago di Costanza. Mentre gli antenati avevano costruito orologi a cuccù, babbo e mamma erano impegnati nel sociale. Padre e fratelli, nessuno dei quali è oggi in vita, sono stati deputati e ministri Cdu del BadenWuerttemberg. Wolfgang è dunque figlio d’arte e ha superato i maestri. Dopo la laurea, si è addottorato in Legge ed Economia. Fu per dieci anni avvocato, mentre progrediva in politica respirata fin da piccolo accompagnando il padre ad attaccare manifesti. Sembra la storia di un qualsiasi aspirante politico di Mesagne (Brindisi). E c’è più unità europea in quest’affinità che nelle misure bruxelliane dei piselli.
A stravolgergli la vita già sposato, con quattro figli è stato l’attentato. In quel 1990, col crollo della Ddr, i tedeschi avevano perso la testa. In aprile, un tizio aveva pugnalato il socialista Oskar Lafontaine, nulla di grosso ma un segnale. Sei mesi dopo, Schauble aveva concluso un comizio serale in una birreria di Baden, dalle sue parti, quando un ascoltatore rimasto quieto fino ad allora, gli sparò tre colpi con una Smith & Wesson 38, due al collo e uno alla schiena. Lo spostato, Dieter Kaufmann, con storie di droga e tentati suicidi alle spalle, dichiarò che se l’era presa con Schauble perché non era riuscito a tagliare la testa di Kohl con un machete. Giudicate voi quanto il vecchio Cancelliere debba al suo delfino. Wolfgang non ha mai perdonato il feritore, nonostante la sua pubblica richiesta di scuse. L’imbecille è libero ormai da 14 anni, mentre Schauble combatte quotidianamente. Un giorno ha chiesto alla moglie: «Perché non mi avete lasciato morire?». A un giornale ha raccontato: «Quando sogno, sono un pedone. Segno che l’inconscio non si rassegna all’handicap». Oggi, Wolfgang è presidente della Fondazione tedesca paraplegici.
Dopo lo scandalo dei fondi neri, il Nostro è rimasto anni in panchina. Ebbe due occasioni, una di diventare sindaco di Berlino, l’altra Capo dello Stato. L’elettorato era con lui ma la Cdu, capeggiata da Merkel, favorì altri. Poi, per non tirare troppo la corda, la stessa Merkel lo cooptò nei suoi governi.
L’ANTISLAMICO
A metà del Duemila, con la guerra afghano-irachena, Schauble da ministro dell’Interno si trovò alle prese con lo jihadismo. Fu schiettamente antislamico. Quando la Cia, come accadde in Italia con Abu Omar, rapì in Germania un maomettano radicale per farlo parlare, fu netto. Alla Procura tedesca che aveva chiesto l’estradizione di tredici agenti Usa, rispose picche, bloccando la domanda. Già in passato aveva detto: «Sì, all’integrazione. No, alla doppia nazionalità». Con gli anni invece, è diventato sempre più favorevole all’immigrazione, con la storia che l’Ue invecchia. Giorni fa, ha addirittura sciolto un peana ai cinque milioni di turchi germanizzati. «Per noi i musulmani tedeschi sono un arricchimento ha detto a Die Zeit -. Guardi la terza generazione turca. Guardi le donne. È un potenziale innovativo enorme».
Diciamo che è ondivago ma di certo Recep Erdogan può contare su di lui. Al contrario di noi, dei greci e altri malconci del Sud.
E qui si apre il capitolo finale. Quello dei sette ultimi anni in cui Schauble, ministro dell’Economia, impera sull’Ue da Berlino. La crisi europea coincide con la sua ingombrante presenza. Inutile rifare la tiritera sul suo rigorismo e l’intolleranza verso chi sgarra, magari per sopravvivere. Fosse per lui, ci sculaccerebbe. Lascio la parola riportata dalla Stampa a un anonimo testimone della trattativa coi greci: «Tsakalatos (attuale ministro delle Finanze di Tsipras, ndr) aveva detto sì a quasi tutte le nostre richieste. Ma l’impressione è che si sarebbe potuto tagliare una gamba e per Schauble non sarebbe stato abbastanza». Ah, questi luterani!