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 2016  giugno 20 Lunedì calendario

INSTAGRAM, FACEBOOK, TWITTER, WECHAT LA GARA DEI SOCIAL CON L’OMBRA DELLA BOLLA

NEW YORK – È di nuovo stagione di grandi manovre nella Silicon Valley (e dintorni), in particolare nel mondo dei social media. L’acquisizione di LinkedIn da parte di Microsoft ha rilanciato la speculazione, in senso proprio e in senso lato. A Wall Street la scorsa settimana un titolo molto ricercato era quello di Twitter che ha avuto punte di rialzo fino al 17%. Motivate ovviamente dall’attesa che qualche attore più grosso voglia comprarsi Twitter, l’unico social media importante ad essere rimasto indipendente.
Il New York Times ha chiuso la settimana proprio all’insegna di questa "speculazione" sugli scenari del futuro prossimo, chiedendosi: "Ora che tutti i suoi rivali sono accoppiati, toccherà a Twitter?" L’elenco delle fusioni acquisizioni va da Google-YouTube a Facebook-Instagram, da Yahoo-Tumblr per finire appunto con Microsoft-LinkedIn. Queste grandi manovre suscitano curiosità, sollecitano spiegazioni, interpretazioni. Alla ricerca di una logica, di un trend univoco da individuare, uno degli elementi che balzano in primo piano, è il fatto che gran parte dell’azione si svolge in quei social media che svolgono anche funzioni di messaggeria.
Un altro aspetto caratteristico di questa fase, è che i grandi eventi di cronaca e la reazione del pubblico possono far girare il vento in favore di questo o quel social media. L’esempio di Twitter qui è davvero emblematico. Ancora un anno fa l’opinione prevalente nella Silicon Valley metteva Twitter dalla parte dei perdenti. Sia pure con 310 milioni di utenti attivi. Ma con una frequenza di uso in calo. E una evidente difficoltà a tradurre la sua diffusione di massa in fatturato (pubblicitario) proporzionale. Oggi l’atmosfera attorno a Twitter è decisamente più ottimista. Due le cause. La prima si chiama Donald Trump, utente ossessivo-compulsivo di Twitter: che per effetto di trascinamento ha portato questo social media al centro dell’attenzione quotidiana (anzi: minuto per minuto) in questa campagna elettorale. Un secondo evento, più recente e (perfino) più tagico dell’ascesa di Trump, è stato la strage di Orlando: anche in quel caso diversi protagonisti hanno usato Twitter per comunicare, oltre a Facebook.
Va ricordato comunque che prima di questo revival la crisi di Twitter era molto reale. In Borsa aveva perso metà del suo valore dal collocamento iniziale. In termini di fatturato pubblicitario la classifica continua ad essere dominata da Google, seguito da Facebook, mentre Twitter è molto in basso nella graduatoria. Né bisogna dimenticare che noi tendiamo a considerare l’Occidente come l’ombelico del mondo, ma in realtà in termini di masse di utenti bisogna ormai fare i conti con i social media cinesi, per esempio l’onnipresente Weixin (in inglese WeChat) che funziona da messaggeria istantanea per oltre mezzo miliardo di persone. Ed ha anche fatto proseliti a casa nostra. Chiunque abbia a che fare con amici o interlocutori professionali in Asia, come il sottoscritto, prima o poi deve aprirsi il suo indirizzo su Weixin se non vuol essere un paria.
Per mettere ordine in un mondo che adora il caos, cominciamo con una delle tante classifiche in circolazione, la Top 15 dei social media detta eBizMBA, compilata come una media mobile da fonti quali Alexa, Compete, Quantcast. In questa classifica Facebook è la numero uno con 1,1 miliardi di "visitatori unici mensili". Questo ultimo è un dato ben diverso, e ovviamente molto inferiore, rispetto a tutti gli utenti di Facebook. Ma è il dato che conta per gli inserzionisti pubblicitari perché depura dal totale gli utenti dormienti o molto saltuari. Al secondo posto troviamo YouTube con un miliardo. Terzo Twitter con i suoi 310 milioni. Quarto LinkedIn a quota 255 milioni. A seguire: Pinterest, Google Plus+, Tumblr, Instagram, Reddit, Vk, Flickr, Vine. Una delle anomalie che balza agli occhi, scorrendo una classifica di questo tipo, è l’assenza di una popolarissima app come Snapchat, i cui utenti trasmettono 10 miliardi di video al giorno.
Il fenomeno Snapchat è indicativo di un mondo i cui confini, definizioni, mestieri, sono sempre più fluidi. Snapchat forse non figura nella classifica perché viene ancora considerata "solo" come una messaggeria. Il suo successo iniziale in effetti fu dovuto alla peculiare caratteristica dell’app che elimina le immagini poco dopo averle trasmesse al destinatario, garantendo così una protezione automatica della privacy che piace molto agli adolescenti (Dio solo sa che razza di immagini riprendono coi selfie: ma loro sanno benissimo che non vogliono vedersele rinfacciate in futuro). Di fatto però l’evoluzione di Snapchat ne sta facendo un canale di trasmissione di video ripresi in eventi live come i concerti, o le partite. In questo Snapchat sta sconfinando sul territorio di Instagram.
Il futuro è proprio nella trasmissione di contenuti sotto forma di video live, cioè in diretta, ciò che fa il successo di Snapchat, Instagram, e ovviamente You-Tube, ma anche di nuove app come le Pages di Facebook. Proprio il fondatore e chief executive di Facebook, Mark Zuckerberg, è stato uno dei primi a teorizzare che il business più attraente dei social media si sta spostando dalla comunicazione "scritta" (digitale s’intende) alla comunicazione di contenuti video: più caldi, più intensi, più emotivi, più sintetici. Per Zuckerberg l’intuizione è stata precoce. Lui comprò Instagram per un miliardo nel 2012 quando aveva 30 milioni di utenti, oggi Instagram ha superato i 400 milioni di utenti. Poi Zuckerberg comprò per 19 miliardi WhatsApp nel 2014 quando aveva 450 milioni di utenti, e oggi li ha più che raddoppiati superando la soglia del miliardo. L’iperinflazione nel valore di queste acquisizioni legittima la domanda se siamo di fronte a una nuova bolla speculativa.
Lo stesso interrogativo si pone per Microsoft quando paga 26 miliardi di dollari per LinkedIn: in fondo quest’ultimo non è che la versione digitale dei vecchi biglietti da visita, no? In realtà no, non solo. Come sempre quando dal vecchio mondo dell’economia fisica si balza in quello digitale, c’è qualcosa che cambia anche qualitativamente. LinkedIn non è solo un modo per trasmettere digitalmente il proprio biglietto da visita, è anche una messaggeria sintetica del nostro profilo professionale. Può servirci a comunicare con chi fa lo stesso mestiere. Può essere utile per trovare un posto di lavoro. Di certo è una miniera di informazioni per chi fa ricerca del personale, i cacciatori di teste, il mondo della formazione professionale che ci ruota attorno, ecc. Gira e rigira ecco che nei social media le fonti di fatturato e di profitto continuano ad essere sempre due: la vendita di informazioni su di noi (saccheggiando la nostra privacy); e le inserzioni pubblicitarie (distruggendo lentamente ogni settore che campava di pubblicità, per ora con l’unica eccezione della tv).
Quello che continua a stupire – e giustifica i sospetti di bolla speculativa – è che queste fonti di guadagno così intimamente legate all’economia dei consumi possa generare profitti in forte crescita in una fase di "stagnazione secolare" in cui i consumi crescono lentissimamente. Un altro elemento di stupore, o di sospetto, è che la maggioranza dei social media e delle app si vantano di catturare il pubblico giovanile: cioè una fascia demografica il cui potere d’acquisto è afflitto da problemi piuttosto seri (disoccupazione, o salari d’ingresso non proprio esaltanti). Infine certe proiezioni di crescita esponenziale per social media o app correlate, sembrano non fare i conti con un vincolo materiale semplice: il nostro tempo di attenzione e di comunicazione è limitato dalla durata della vita umana, tolte le ore di sonno. Comunque a proposito di scenari e proiezioni, uno dei più in voga ci invita a considerare quella che sarà la prossima rivoluzione: Fermo restando che il futuro appartiene alla comunicazione di contenuti video "live", e quindi ai social media più adeguati e flessibili per questo tipo di uso, ora bisogna prepararsi al prossimo balzo in avanti: l’uso sistematico della realtà virtuale. In altri termini, scordatevi l’idea che le notizie vi vengano trasmesse sullo schermo dello smartphone dal faccione (orrendo) di un reporter o di un citizen-journalist (testimone oculare). La realtà virtuale consentirà di trasformare le brutte facce in avatar degni di Pixar e Disney. Buon divertimento.
di FEDERICO RAMPINI, Affari&Finanza – la Repubblica 20/6/2016