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 2016  giugno 18 Sabato calendario

I 4 NODI DEL LINGOTTO

Durante il workshop Italia-Stati Uniti in corso in questi giorni a Venezia Sergio Marchionne ha confermato gli obiettivi di Fca per il 2016 (ricavi superiori a 110 miliardi e utile di oltre 1,9 miliardi) e ha immediatamente tenuto a precisare che una eventuale Brexit avrebbe un impatto industrialmente minimo sui conti del Lingotto (non foss’altro perché il gruppo italo-americano non vende molte auto a Londra e dintorni). Il manager infatti ha pronunciato parole di preoccupazione più sul versante politico («si tratta di un grosso rischio per il continente nel suo complesso e altererebbe gli equilibri odierni», ha spiegato) che per le sorti della società di cui è al timone. Insomma, nonostante Fca abbia da anni ormai la sede fiscale proprio a Londra, il numero uno del Lingotto non sembra temere l’esito del referendum britannico. Anche perché ha altri problemi cui pensare; nodi irrisolti da tempo e che, come ha segnalato un recente report di Citi (che non a caso esprime la raccomandazione sell sul titolo Fca e indica un prezzo obiettivo di 5 euro per azione), potrebbero arrivare al pettine prima di quanto si pensi.
Uno dei principali motivi di preoccupazione è l’ammontare dell’indebitamento. Infatti con un’esposizione di 7,1 miliardi al termine del 2015 e di 7,7 miliardi stimati per la fine di quest’anno, il Lingotto ha un bilancio tra i più indebitati tra le case automobilistiche mondiali. E ciò nonostante il mercato automobilistico degli Stati Uniti (il più importante per il Lingotto) sembri essere ormai prossimo al picco. In altre parole, se la cassa generata in questi anni di vacche grasse non è stata sufficiente per ridurre l’indebitamento, la cosa potrebbe diventare ancor più complicata se il ciclo rallenterà o addirittura invertirà la direzione. A ciò poi bisogna aggiungere che Fca ha una gamma di auto sul mercato tra le più datate e in teoria per un rilancio ci sarebbe bisogno di ulteriori ingenti investimento che potrebbero appesantire ulteriormente il debito.
Non solo; la profonda ristrutturazione cui la società è stata sottoposta dal 2011 in poi (quando ci fu la separazione tra l’allora Fiat Auto e Fiat Industrial) ha sì portato una razionalizzazione del business controllato dalla famiglia Agnelli-Elkann, ma non sembra aver portato grandi risultati in termini economico-finanziari. Infatti quando lo spin-off tra Fiat Auto e Fiat Industrial venne annunciato, nell’aprile 2010, l’azione del Lingotto (che rappresentava l’intero business) valeva 10,42 euro. Dopodiché è seguita una serie di operazioni che hanno rivoluzionato la galassia Agnelli. Infatti dopo il 1° gennaio 2011 (quando la separazione divenne ufficiale) Fiat si è prima fusa con Chrysler in Fca e poi ha scorporato Ferrari (lo scorso ottobre), mentre Fiat Industrial si è fusa con Cnh per diventare Cnh Industrial. Dunque un investitore che aveva un titolo Fiat nell’aprile 2010 oggi avrebbe un’azione Fca, una Cnh Industrial e un decimo di azione Ferrari. E se nel 2010 il controvalore era 10,42 euro, oggi il tutto avrebbe un valore complessivo di 16,98 euro. Ciò equivale a un rendimento annuo dell’8,2%, inferiore a quello assicurato dal miglior titolo automobilistico nello stesso arco temporale (Renault: 14,2% annuo prima dei dividendi) e soprattutto più basso anche della media del settore.
Una terza ragione di preoccupazione deriva dal fatto che la capacità m&a di Marchionne, dopo aver rivoltato come un calzino l’intera galassia torinese in poco più di un decennio, ora sembra avere maggiori difficoltà nel concretizzarsi. Il manager italo-canadese, dopo aver scorporato Ferrari (messa al sicuro in Exor), sta cercando ora l’operazione definitiva: sposare Fca con un player di alto standing che consenta al Lingotto di sopravvivere in un settore automobilistico che ha sempre più bisogno delle grandi dimensioni per essere redditizio. L’idea iniziale di Marchionne, ossia le nozze con General Motors, non è andata a buon fine e quella di una fusione con Psa non sembra scaldare i cuori né del ceo col maglione né di John Elkann («non ci farebbe fare il salto che abbiamo bisogno», ha spiegato recentemente il nipote dell’Avvocato). Il numero dei possibili candidati alle nozze così si assottiglia sempre di più, anche se trattandosi di Marchionne è sempre bene non escludere un colpo di teatro (in Cina stavolta dopo il capolavoro Chrysler del 2009?). Intanto le operazioni con i partner tecnologici (Google, Amazon e anche Uber) sembrano al momento più proiettiate a un futuro sul quale ci sono ancora molti dubbi che non utili a risolvere problemi più immediati, come quello di scala accennato sopra. In questo quadro ci potebbero essere deal minori (la cessione di Magneti Marelli?), ma la taglia di queste operazioni non sarebbe comunque sufficiente per risolvere il nodo dimensionale a livello internazionale.
Il quarto problema è legato al mercato nordamericano, che dopo anni di continua crescita sembra essere prossimo al picco. Secondo i banker di Citi, le immatricolazioni statunitensi dovrebbero entrare presto in una fase di stabilità per i prossimi anni e questo rappresenterebbe un problema non da poco per Fca, che vende il 60% delle sue auto negli Stati Uniti e soprattutto genera il 93% del suo ebit in Nord America. Il tutto mentre si sta intensificando la competizione nel segmento dei pick-up, dove il brand Ram (il marchio di punta del Lingotto in questa nicchia) dispone al momento della gamma più vecchia sul mercato. In questo quadro la ripresa in Europa non sembra in grado di compensare un rallentamento negli Stati Uniti e va aggiunto che il mercato brasiliano resta problematico per questioni non solo economiche. Marchionne insomma ha confermato i target 2016 (e sinora ha quasi sempre mantenuto quanto annunciato) ma il 2017, che comincia a far intravedere le sue tendenze, potrebbe rivelarsi molto problematico.
di Luciano Mondellini, MilanoFinanza 18/6/2016