Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 21/6/2016, 21 giugno 2016
Milano simbolo del partito della nazione. Torino, laboratorio della opposizione. Roma, capitale della seconda Italia
Milano simbolo del partito della nazione. Torino, laboratorio della opposizione. Roma, capitale della seconda Italia. Napoli, della terza– Cosa ci ha insegnato il ballottaggio? Tante cose, ma una su tutte, il Pd deve decidersi a formalizzare il Partito della Nazione, deve farlo nel suo interesse e nell’interesse della trasparenza della politica italiana. In questi 30 mesi Matteo Renzi come Premier è stato poca cosa in politica interna (solo annunci e aumenti del debito), brillante nella politica estera, eccellente come segretario del Pd. Quatto, quatto, all’insaputa di tutti, lo ha trasformato in un camaleonte, cambiandogli pelle. Domenica, all’apparenza, non è successo nulla, se non un comunicato stampa vagamente sincero (perché sulla sconfitta non metterci la faccia come segretario del Pd?), in realtà il mutamento è stato radicale. È stato spazzato via il modello sotteso agli establishment dell’Occidente, la finta alternanza liberale, il centro-destra e il centro-sinistra, e con essi tutti i suoi leader. Tutti eravamo caduti nella trappola, io stesso che studio, in termini managerial-organizzativi questo processo, avevo scommesso su una «fusione per incorporazione» di Forza Italia nel Pd (modello Nazareno, tanto caro agli amici del Foglio). Invece no, Renzi è stato molto più abile. Ha svuotato il Pd, come fosse un palazzo, sì da ristrutturare, ma sottoposto ai vincoli delle Belle Arti, così l’esterno è lo stesso, ma dentro è tutto nuovo. In questo luogo asettico, per la Ditta di Bersani, e per tutti quelli acculturati alle Frattocchie, non c’è più posto, il PDR (copyright di Diamanti) o è un partito di centro destra che guarda distrattamente a sinistra o non esiste. Tutti i veli sono caduti, questo rappresenta ormai solo l’Establishment e la sua servitù, perciò ha vinto a Milano, battendo l’accozzaglia di berluscones rimasti, così i leghisti-fratelli italioti come portatori di voti (in realtà una manciata). Milano è la città simbolo del Partito della Nazione, Torino il laboratorio politico dell’opposizione, questa la sintesi. Roma è la capitale della Seconda Italia, Napoli della Terza (su questo concetto delle tre Italia ci torneremo) Torino ha punito le partite a scopa del duo Fassino-Chiamparino con Marchionne (in termini di comunicazione, atti assolutamente idioti), le follie verbali di Monti («le elezioni come abuso di democrazia»), il Renzi che ama darsi i voti da solo «non ho vinto e non ho perso» (locuzione che ama usare quando non si capacita della pochezza dei tanti italiani che non si fanno tappettini al suo cospetto). I torinesi delle periferie o molto giovani (disoccupati) o molto vecchi (operai pensionati a rischio pensione) si sono ripresi la scena, all’establishment cittadino e romano hanno detto «Nnuma basta» siamo stufi. Appendino e i pentastellati non si illudano, questo è un voto contro il Partito della Nazione, per ora non a loro favore. Questa è solo la prima mossa, non vogliono ancora sostituire Fassino con Appendino, ma solo mandare via Fassino, poi si vedrà. Quella delle due mosse è l’unica strategia possibile contro il ceo capitalism di rito anglosassone, il mandante del Partito della Nazione. Anche se in modo diverso da come l’avevano concepito in provetta, il Partito della Nazione è nato, ha una strategia obbligata, «on/off», come giustamente la chiama Renzi, quindi deve cercare di eliminare i corpi intermedi, leggi Sindacati, Confindustria, altri apparati statali, poi toccherà al bersaglio grosso, quello che sta loro nel gozzo, la Magistratura. Qua l’obiettivo è più sottile: cooptarla e renderla embedded. Gli avversari dell’ establishment di allora, fatto da catto-comunisti-azionisti, avevano trovato una locuzione meravigliosa per descrivere il rapporto politica-magistratura: «Il porto delle nebbie». Siamo tornati a quell’epoca, il 1938. I grandi film, come i dipinti dei grandi artisti, hanno il potere di anticipare eventi della politica, come «Urlo» di Munch ha anticipato la Grande Guerra. È un film di Marcel Carné, scritto da Jacques Prévert, premiato dalla Venezia mussoliniana, vietato in Francia durante l’occupazione nazista, eppure definito «fascista» da Jean Renoir, insultato per questo da Prévert. L’atmosfera del dopo ballottaggio e del pre referendum è proprio quella del «Porto delle nebbie», confusione e disperazione. In terraferma ne sono successe tante, tante ne succederanno ancora, Jean Gabin verrà ucciso? La nave riuscirà a uscire dal porto, fendendo la nebbia?