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 2016  giugno 20 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - DOPO LA SCONFITTA DI RENZI AI BALLOTTAGGI APPENDINO SU REPUBBLICA.IT "Mi rivolgo a chi non mi ha votato

APPUNTI PER GAZZETTA - DOPO LA SCONFITTA DI RENZI AI BALLOTTAGGI APPENDINO SU REPUBBLICA.IT "Mi rivolgo a chi non mi ha votato. Il voto ha dimostrato che c’è una città che si è sentita sola" ha esordito Chiara Appendino, nuova sindaca di Torino nella sua prima conferenza stampa dopo la vittoria. "Spero che chi non si è sentito rappresentato da questo voto possa dialogare con noi. Noi lo faremo. Il grido di dolore lanciato dalla periferie non può rimanere inascoltato. ma noi lavoreremo per tutta la città" Sulla Tav ha spiegato: "Il sindaco non può bloccarla. Mi siedero al tavolo, valuterò le loro ragioni, porterò le ragioni del no e in base a quello valuterò, anche di uscire dal tavolo. Appendino:"Un sindaco non può bloccare il Tav ma porterò le ragioni del no" Condividi Appendino poi ha proseguito chiedendo le dimissioni di Francesco Profumo da presidente della Compagnia di San Paolo. "Chi ha fatto scelte come l’aumento degli stipendi che io non ho condiviso, dovrebbe trarne le conseguenze" ha detto in riferimento a 400 mila euro di fondi in più stanziati dalla Compagnia per i vertici la settimana scorsa. Poi ha aggiunto che anche Paolo Peveraro presidente Iren è a rischio. "Non ho condiviso quelle nomine, introdurremo nel regolamento nomine un "semestre bianco", così che il sindaco uscente non possa fare nomine". Quanto alla nuova giunta la neosindaca aveva già scelto prima del voto nove assessori: "Stiamo aspettando i tempi tecnici per la nomina, siamo già al lavoro perché non vogliamo perdere neanche un minuto di questo fantastico sogno. Presenteremo gli ultimi assessori nei prossimi giorni. La giunta si riunirà almeno una volta al mese in diretta Facebook - ha aggiunto - perché per noi il rapporto con i cittadini è molto importante". Per Appendino non si è però trattato di un voto di protesta: "No, è gente che non si sentiva parte della città e di questa amministrazione". ha aggiunto. Infine Grillo - "L’ho sentito ieri sera, mi ha fatto gli auguri per questa avventura. Raggi? Ancora no, sarà nel frullatore". Poi il giudizio sul rivale battuto, Piero Fassino: "La capacità di ascoltare e di capire le esigenze della gente è un’importantissima dote per un sindaco. L’incapacità è stata lì, è mancata la capacità di ascoltare". REPUBBLICA.IT RENZI NON SI DIMETTE ROMA - Matteo Renzi riconosce al Movimento 5 Stelle la vittoria alle elezioni comunali appena concluse, ma non vede al momento una modifica della legge elettorale, l’Italicum, come conseguenza del voto. Beppe Grillo, commentando la vittoria del Movimento, annuncia: "Siamo pronti al governo nazionale. Era una missione impossibile. Ora siamo pronti a decollare". Renzi: "Vittoria netta del M5s". "La franchezza porta a dire che c’è un elemento politico nazionale molto forte che esce dai ballottaggi. È la vittoria contro il Pd dei 5Stelle in quasi tutti i comuni dove il M5s si è presentato. Vittoria netta e indiscutibile. Ma non drammatizziamo, né minimizziamo. Servono saggezza e buon senso". Il presidente del Consiglio - a margine dell’incontro con lo chef Massimo Bottura (vincitore del World Best 50 Restaurant) a Palazzo Chigi - interpreta così i risultati dei ballottaggi. Amministrative, Renzi: "Vittoria netta del M5S, no voto di protesta ma cambiamento" Condividi PUBBLICITÀ inRead invented by Teads Quindi augura "buon lavoro a tutti gli eletti, da Virginia Raggi, sindaca della città più grande, Roma, fino al sindaco delle città più piccola, Casina, in Emilia Romagna, dove c’è stato uno spareggio. Aiuteremo tutti allo stesso modo". A Casina si sono sfidati al ballottaggio per la poltrona di sindaco il primo cittadino uscente Gian Franco Rinaldi (Lista civica Per Casina con l’appoggio Pd) e Stefano Costi (Lista civica Casina Bene Comune). Entrambi avevano ottenuto 1.164 voti: Costi ha vinto lo spareggio. Grillo: "Aereo 5Stelle decollato". "Cambieremo quota", dice Beppe Grillo dopo la vittoria ottenuta alle comunali, e ricorda che dieci anni fa i tecnici migliori dell’aeronautica hanno detto che l’aereo a energia solare non avrebbe mai potuto fare il giro del mondo. E i tecnici della politica italiana hanno detto che il Movimento non avrebbe mai sfondato in politica. "Invece - chiosa il fondatore del Movimento 5Stelle - sono decollati" tutti e due gli aerei. Amministrative, Grillo: "L’aereo della missione impossibile dei Cinque Stelle è decollato" Condividi La direzione del Pd. "Il popolo di alcune città - ha spiegato ancora Renzi - ha dato un messaggio che deve far riflettere il Pd, riflessione che faremo nella sede del partito e non a Palazzo Chigi. È stata convocata la direzione dem per venerdi 24 giugno, giorno di San Giovanni che, si dice, non vuole inganni". "Nel Pd faremo un confronto ampio e articolato, una discussione franca, vera e sincera, a viso aperto, su tutte le questioni". Sarà resa dei conti, in direzione, poichè la minoranza dem chiederà "il cambio di rotta" e presenterà il conto a Renzi per una sconfitta "severa", per dirla con Gianni Cuperlo. La novità è che il bacino dei critici, stavolta, non è chiuso nella ’solita’ sinistra dem, ma è diffusa. SPECIALE "Non è stato voto di protesta, ma di cambiamento". Il segretario dem ha offerto la sua interpretazione del voto. "La verità - ha dichiarato - è che non solo nei comuni in cui ha vinto il M5s, ma anche negli altri, ha vinto chi ha interpretato meglio l’ansia di cambiamento. E non ha vinto la protesta fine a se stessa di chi si lamentava dell’immigrazione e delle nostre scelte europee". "Ha vinto - ha ribadito il presidente del Consiglio - chi più ha suscitato un’esigenza di cambiamento rispetto a chi ha giocato sul sentimento di rabbia contro l’Ue o contro l’immigrazione con atteggiamenti populisti". Amministrative, Renzi: "Analisi voto in direzione Pd, ma no a modifica Italicum" Condividi "Aprirsi al nuovo, senza scadere nel nuovismo". Il premier rinvia alla direzione del partito la discussione "se il Pd abbia fatto bene o male", limitandosi a una "analisi istituzionale" trovandosi nella sede del governo. "L’elemento di novità - ha ammonito il premier - ci sarà se i cittadini vedranno i risultati, altrimenti sarà solo il gioco della politica. "Noi - ha assicurato - collaboriamo con tutti". "Dovremo esser capaci - ha sottolineato - di dare una lettura non banale a questo voto, perché la lettura è molto più complicata di quel che sembra. Dovremo imparare a coniugare i valori della nostra comunità politica con la capacità di aprirsi al nuovo, senza scadere nel nuovismo". "L’altro tema - ha detto ancora il premier - sarà come riusciamo a dare un messaggio forte dal punto di vista del sentimento, dell’emozione, dell’umanità: perchè questi sono temi su cui si vincono o si perdono le elezioni". "Oggi la campagna elettorale è terminata - ha concluso il premier - bisogna mettere la parola fine alle chiacchiere. E mettersi a lavorare insieme". Renzi e il "lanciafiamme nel Pd". Renzi risponde con una battuta a chi gli chiede se userà il lanciafiamme nel Pd. "Le pare che io possa usare l’espressione ’lanciafiamme’ di fronte a un lampadario così? Come minimo vado alla Corte dei Conti". Qualche giorno prima dei ballottaggio, il segretario dem aveva detto: "Nel partito entriamo col lanciafiamme dopo il ballottaggio, lo assicuro". VIRGINIA RAGGI In questi quattro mesi di campagna elettorale "qualcuno ci ha praticamente fatto una "guerra" senza precedenti. Il punto è che non sono riusciti a fermarci. Segno che siamo più forti e che i romani, soprattutto, sono più forti". All’indomani della sua elezione a sindaca di Roma Virginia Raggi pubblica un lungo post sulla sua pagina Facebook per ringraziare gli elettori che l’hanno votata e assicurare che sarà il sindaco di tutti, "anche di quelli che non mi hanno votata". "Al di là dei toni aspri e degli attacchi che ho ricevuto - sottolinea Raggi - mi auguro che d’ora in avanti si possa aprire una nuova fase, più costruttiva, attraverso un dibattito onesto con le altre forze politiche centrato sui reali problemi dei cittadini. Roma ha bisogno di questo. È venuto il tempo di lavorare dopo anni di malgoverno. Le cose da fare sono tante e noi siamo pronti!". "Lavoreremo per riportare legalità e trasparenza in questa città dopo anni di malgoverno e dopo Mafia Capitale. Lavoreremo per ridare a Roma la bellezza e la dignità che merita. Oggi si apre una nuova era", scrive la Raggi. La neo sindaca di Roma, che ha festeggiato fino alle 4 passate l’elezione in un hotel con Beppe Grillo, Davide Casaleggio e numerosi parlamentari M5S, ha incontrato nel pomeriggio i 29 consiglieri comunali eletti del Movimento. Secondo quanto si apprende Raggi oggi non parteciperà ad alcun appuntamento pubblico ma registrerà un’intervista con l’emittente Euronews che sarà tradotta in 13 lingue e sarà trasmessa mercoledì alle ore 18:00. Dall’entourage della Raggi spiegano che come prima intervista si è scelta Euronews poiché "si ritiene che con il successo elettorale di ieri si sia aperto un nuovo corso che inciderà positivamente non solo su Roma, ma anche sul peso politico dell’Italia in Europa". Virginia Raggi sindaco di Roma, la notizia sui siti stranieri Navigazione per la galleria fotografica 1 di 19 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow () () "Vorrei ringraziare tutti i cittadini romani che mi hanno voluto affidare questo importante compito e voglio complimentarmi con i consiglieri eletti, a cui auguro buon lavoro, con i non eletti e con gli attivisti che hanno speso risorse ed energie in questa campagna elettorale. La prima cosa che sento di dire, che mi viene dal profondo, è che finalmente anche Roma avrà un sindaco donna", ha scritto la Raggi su Facebook. "In un momento storico in cui le pari opportunità sono ancora una chimera considero questa una notizia dal valore straordinario. Il primo segno del profondo cambiamento che stiamo portando in questo Paese. Perchè se la Capitale d’Italia avrà per la prima volta nella sua storia un sindaco donna, questo lo si deve al M5S. Lo si deve a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Sarò il sindaco di tutti, sia chiaro, anche di coloro che non mi hanno sostenuto in questa tornata elettorale". MARIA TERESA MELI SUL CORRIERE DI STAMATTINA ROMA «Abbiamo perso, c’è poco da dire. E vi dirò di più, quando ci battiamo con i grillini prendiamo la batosta». E poi: «Renzi ha perso perché non ha fatto abbastanza Renzi». Il presidente del Consiglio a tarda notte trae le somme delle elezioni amministrative. E insiste: «Ho rottamato troppo poco». Ancora: «Devo mettere da parte la vecchia guardia». Ragionamenti che nascono da una constatazione: «Dovunque ci siamo battuti con i 5 stelle questi ultimi hanno vinto». E, quindi, «non siamo sconfitti», perché «abbiamo ancora spazi». Ma «siamo anche pronti a farci male», come si «è visto in alcune situazioni». Dunque, Renzi plaude a Sala, l’unico candidato che ha scelto direttamente e pubblicamente. Ma non nega le «sconfitte». Sono giorni, per esempio, che va ripetendo sempre la stessa frase: «Su Roma non recuperiamo più». E quando arrivano gli exit poll, a confermare le sue parole, il premier scuote il capo e dice: «Ora vedremo che cosa sanno fare i grillini». Già, perché secondo Renzi gestire la Capitale, ridotta così com’è, non sarà facile e sarà quello il vero banco di prova dei 5 Stelle. Su quella ribalta Virginia Raggi e il direttorio che la segue passo passo avranno tutti i riflettori accesi, e, chissà, «quella vittoria potrebbe rivelarsi anche un boomerang». Ma Renzi non crede che quello di Roma sia stato un voto contro di lui. O contro la riforma: «Abbiamo perso le elezioni nelle periferie non perché si sono espressi sul bicameralismo o sul sistema elettorale. Abbiamo perso perché quelle periferie erano piene di immondizia e problemi e perché la Capitale è stata governata male. Ho visto le immagini dei telegiornali sul voto a Roma. Si vedevano cassonetti che straripavano di rifiuti davanti ai seggi...». II Nord, invece, tiene sospeso sino all’ultimo il premier. A sera tardi, il premier legge, con una certa apprensione, i voti di Appendino a Torino. Ciò a cui però Renzi non crede è che quel voto rappresenti la prova generale della Santa Alleanza contro di lui, quella che tenterà l’assalto al palazzo coagulandosi attorno al «No». «Ragazzi quella è tutta un’altra storia», dice il premier. «A Milano come a Torino — è il ragionamento di Renzi — non c’è nessuna Santa Alleanza contro di me. Basti pensare che tra chi vota Appendino a Torino c’è, ahimè, anche gente che poi dirà “Sì” alla riforma e che addirittura vota e ha votato per me. Si tratta di gente (molti giovani) che si esprime contro quella che considera la vecchia politica». Per questa ragione, il premier dice di non temere per le conseguenze che le amministrative potranno avere sul voto di ottobre: «Io aspetto tutti al varco del referendum e lì ci divertiremo». Il premier ragiona anche sull’offensiva che la minoranza interna potrebbe mettere in atto all’indomani del voto. È convinto che diranno che «ci vuole un segretario che lavori a tempo pieno» e che, quindi, chiederanno la modifica di quell’articolo dello Statuto del Pd secondo il quale il leader del partito è automaticamente il candidato premier. Ma per raggiungere questo obiettivo «ci vuole un congresso», spiega il premier. E aggiunge: «E comunque bisogna passare prima per il referendum e io quello sono sicuro di vincerlo. Stavolta ci sarò io in campo e quella sarà una sfida fantastica». E ancora: «Io comunque non mi dimetto da niente». Ma una registrata al partito, Renzi la vuole dare sul serio e «la si darà — annuncia — a prescindere dai risultati elettorali». Come intende procedere il premier? «Partendo dall’organizzazione del referendum», precisano i renziani. Sarà quello, infatti, lo strumento che il premier utilizzerà «per capire chi lavora nei territori, chi sono gli alleati interni di cui ci si può fidare» e per comprendere «come funziona effettivamente la rete renziana». Insomma, il referendum sarà lo strumento attraverso cui il premier preparerà il «suo» partito. Perciò la «macchina elettorale» che verrà creata per far vincere i «Sì» al referendum sarà la stessa «macchina» che, per dirla con le parole di un renziano molto influente, «terrà il motore acceso per il dopo». Morale della favola: è un esperimento. Insomma, il premier di una cosa è assolutamente certo: «Che fine farò io dipenderà dal referendum, non dalle Amministrative». RIZZO SU SALA (CDS) milano Basilio Rizzo, ex candidato sindaco di «Milano in Comune» e leader storico della sinistra radicale milanese, ha fatto l’ endorsement per il candidato del centrosinistra Giuseppe Sala a tre giorni dal voto. «Che i nostri elettori siano stati determinanti ai fini della vittoria di Sala sono i fatti a dirlo. Al primo turno abbiamo preso il 3,6% delle preferenze. Nell’ipotesi minimale che abbia votato la metà, possiamo dire che l’1,8% non è poco in una competizione elettorale dove s’è assistito ad un testa a testa tra i due candidati». Questo riconferma che «le maggioranze possibili sono quelle che recuperano lo spirito del 2011, quando diventò sindaco Pisapia». Rizzo non ha mai fatto mistero di non condividere la scelta di Sala per rappresentare il centrosinistra. «Dopo il primo turno, abbiamo dato una lezione contro le scelte del Pd renziano e lo abbiamo fatto risparmiando alla città cinque anni di governo del centrodestra». Ora però «c’è un problema di democrazia», aggiunge. Sala «non ha avuto il voto di 3 milanesi su 4. Questo non gli toglie legittimità ma gli pone il problema di conquistare tutti. Noi ora saremo all’opposizione vigileremo e ripartiamo con la prospettiva del referendum di ottobre per difendere la Costituzione che avevamo nel nostro simbolo». Paola D’Amico PARISI SUL CDS MILANO È più forte di lui. Piuttosto che rinunciare a una battuta si taglierebbe la lingua. Stefano Parisi, lo sconfitto di queste elezioni milanesi, si palesa nel suo quartiere generale all’hotel Marriott pochi minuti prima dell’una. L’applauso che lo accoglie è dirompente, lungo, sentito. Lui cerca di interrompere l’ovazione. Non ci riesce. Una, due, tre volte. Alla fine prende il microfono e taglia corto: «Capisco l’entusiasmo però vi voglio dire una cosa: abbiamo perso». Aggiunge: «Lo hanno segnato loro il rigore». Diciassettemila voti di differenza contro i cinquemila del primo turno. L’apporto grillino non è arrivato. Ma Mr Chili non molla il colpo. «Abbiamo fatto un grande lavoro, per una manciata di voti potevamo vincere». Ha subito telefonato a Beppe Sala per congratularsi. Senza mancare di dargli un consiglio: «Gli ho detto di fare bene il sindaco». Ma il progetto politico, quello che fino a quattro mesi fa non esisteva, un centrodestra allargato, unito, a trazione moderata, continua la sua corsa e si allarga su scala nazionale: «Da qui è partito un progetto nuovo che non si ferma con il risultato di oggi. A Milano è nata una piattaforma nuova che va oltre la città. Io ci sarò sempre. Cambieremo profondamente la politica in Italia». Da nuovo leader del centrodestra? «Non lo so. Non è oggi il momento per parlarne. Prima bisogna studiare il voto». Domani sarà il giorno dei chiarimenti, capire cosa non ha funzionato, perché negli ultimi giorni di ballottaggio la presenza dei partiti del centrodestra, in particolare la Lega, si è quasi liquefatta. I distinguo sono cominciati; e volano già i primi stracci tra alleati con accuse incrociate tra Gabriele Albertini, Matteo Salvini e Ignazio La Russa. Per tanti però la notte è ancora il momento dell’orgoglio, del risultato che in quattro mesi ha portato un centrodestra spappolato a ritrovare entusiasmo e coesione. Parisi ne è consapevole e batte su questo tasto: «A Milano è nata una cosa e deve continuare. Dobbiamo lavorare su due fronti: sui nostri contenuti e sul rinnovamento della politica perché se 500 mila persone non sono andate a votare non è solo colpa della data delle elezioni ma anche della scarsa fiducia nella politica». Chiede al Governo e al neosindaco Sala di tener conto delle istanze portate avanti dalle 247.052 preferenze (circa 28 mila in più rispetto al primo turno) ottenute nel ballottaggio: «Ora avremo altri 5 anni di governo del centrosinistra. Speriamo che il governo si accorga delle nostre istanze. Metà della città non ha votato e metà ha detto che le cose devono cambiare». Parisi ci sarà e promette che la sua battaglia in Consiglio comunale non sarà all’insegna dell’ostruzionismo: «Faremo un’opposizione che costruisce il futuro di Milano». Parole ricorrenti: futuro, cambiamento, rigenerazione. Il lessico indica che l’avventura di Stefano Parisi non finisce qui. Nessun rimpianto e nessun rimprovero ai partiti che lo sostengono. E neanche all’elettorato Cinque Stelle che non ha ricambiato il favore di Torino e Roma. Piuttosto su chi ha scelto l’ignavia: «Preferisco uno che esce a votare Cinque Stelle piuttosto che uno che resta a casa». Lui la partita l’ha giocata fino in fondo. E da quanto si è capito siamo solo al primo tempo. Il secondo, lo giocherà su un campo più grande di quello di San Siro. Maurizio Giannattasio SERGIO RIZZO SULLA RAGGI (CDS) roma Una donna di 37 anni sindaco di Roma. Bel colpo. Anche se per Virginia Raggi sarebbe stato davvero più difficile perderle che vincerle, queste elezioni. Divisa la destra, più interessata alla successione a Silvio Berlusconi che alla battaglia per il Campidoglio, al punto da dissipare un patrimonio di consensi che avrebbe potuto significare quantomeno il ballottaggio. Spappolata la sinistra, reduce dalla stagione controversa di Ignazio Marino. Il Partito democratico, con pesantissime responsabilità nello sfascio della città, commissariato e lacerato dalle spaccature interne, a leccarsi le ferite di Mafia Capitale. Mentre il fuoco amico di Stefano Fassina & co. era sempre in agguato. Un disastro che ha costretto Roberto Giachetti a fare tutta la corsa in salita. E se resta il dubbio di come sarebbe andata a finire per il Pd se la scelta fosse caduta su un candidato più autorevole e meno identificabile con l’attuale gruppo dirigente, la pera era comunque matura. Donna, per giunta giovane: almeno in un Paese dove la pubertà si supera a quarant’anni. Evviva. Ma ora si fa sul serio. Per il Movimento fondato da Beppe Grillo è la prova cruciale, che potrebbe pesare non poco nella prospettiva delle prossime elezioni politiche. Perché governare una città come Roma è forse più complicato sotto certi aspetti che tenere in mano il timone del governo centrale. Di Virginia Raggi sappiamo poco o nulla. Per quasi tre anni è stata in consiglio comunale, in uno sparuto plotone apparso molte volte privo di potere decisionale. Come quando, dopo l’estromissione del democratico Mirko Coratti dalla presidenza dell’assemblea perché coinvolto in Mafia Capitale, avevano accettato informalmente l’incarico di vicepresidente per uno di loro, salvo poi ritirare la disponibilità ad assumersi tale responsabilità in seguito all’intervento del triumviro Alessandro Di Battista. Sempre più l’uomo forte del Movimento a Roma. Dove la partita si annuncia durissima. E le idee, almeno a giudicare dalla campagna elettorale, non sembrano così chiare: come dimostra la circostanza che a dispetto degli annunci iniziali l’organigramma della giunta non è ancora completo. Virginia Raggi ha puntato soprattutto a rassicurare. Prima i dipendenti del Comune. Poi i tassisti, che hanno rappresentato per il Movimento 5 Stelle una solida base elettorale come già lo erano stati otto anni fa per il centrodestra. Quindi i dipendenti dell’Atac, un’azienda delicatissima per la funzione che ha ma letteralmente allo sbando da anni, strozzata com’è nel groviglio di interessi politici, sindacali e affaristici. E ora per il Movimento 5 Stelle arriverà inevitabilmente il momento di onorare le promesse. Avendo ben chiaro che il nuovo sindaco non potrà contare minimamente sull’aiuto di Palazzo Chigi, dove la tentazione di mettere in difficoltà la giunta grillina della Capitale sarà, temiamo, una costante. I nodi verranno subito al pettine. Virginia Raggi ha detto di voler rinegoziare il vecchio debito del Comune, che costringe i cittadini romani a pagare le addizionali Irpef più alte d’Italia. Ma intanto quel debito è affidato a un commissario straordinario nominato dal governo: oggi è Silvia Scozzese, già assessore al Bilancio della giunta di Ignazio Marino. I debiti sono poi in gran parte costituiti da mutui con la Cassa depositi e prestiti, banca controllata dal Tesoro. E per rinegoziarli bisogna che il governo sia d’accordo. Ancora? La questione del salario accessorio, che aveva provocato un contrasto durissimo fra Marino e i sindacati, di sicuro riesploderà, visto che il ministero del Tesoro ha considerato illegittima la distribuzione a pioggia di quelle somme aggiuntive rispetto allo stipendio. Per non parlare della rotazione dei vigili urbani, bloccata da una curiosa sentenza del giudice del lavoro. O dei lavori della Metro C, l’opera pubblica più costosa e problematica, con il pandemonio di carte bollate, contenziosi e veleni che li accompagna: il governo sta cercando di scalzare il Comune. Con Matteo Renzi si annuncia perciò una partita a scacchi con il rischio di finire costantemente sotto scacco. E la storia insegna che governare la Capitale avendo un governo politicamente ostile non è affatto semplice. Per tutto questo servirebbe un fisico bestiale. Ma pure autorevolezza e credibilità, condizioni necessarie per quell’autonomia decisionale della quale molti hanno dubitato. Sono qualità che adesso auguriamo a Virginia Raggi di riuscire a dimostrare, facendo dimenticare le troppe omissioni del suo curriculum. Per chi giustamente predica la trasparenza assoluta, quelle non sono certo un bel biglietto da visita. GASPERETTI SU SESTO FIORENTINO (CDS) FIRENZE Il Pd ha perso Sesto Fiorentino, comune simbolo della sinistra toscana che il segretario-premier, Matteo Renzi, aveva scelto per chiudere la campagna elettorale. È una sconfitta bruciante per i dem, che avevano governato con la renziana Sara Biagiotti prima che, un anno fa, otto consiglieri del Pd votassero contro la giunta amica, causando la crisi e il successivo commissariamento. Lorenzo Falchi (foto), il candidato di Sinistra Italiana e lista civica Pro Sesto, ha conquistato la poltrona di sindaco con oltre trenta punti di scarto (65,4%) nei confronti di Lorenzo Zambini (34,5%), candidato del Pd. Il neosindaco Falchi ha annunciato subito che i primi due atti di governo riguarderanno inceneritore e aeroporto, punti chiave della sua campagna elettorale. «Faremo immediato ricorso al Tar per bloccare l’inceneritore e continueremo la battaglia contro l’ampliamento dell’aeroporto di Firenze che ci danneggia», ha detto ieri sera. È stata una campagna elettorale aspra, dominata dai temi del termovalorizzatore e dell’aeroporto, progetti sui quali i due candidati dell’«altra sinistra», (o «vera sinistra», come si sono sempre definiti Lorenzo Falchi e Maurizio Quercioli, leader della lista appoggiata da Rifondazione comunista che si è classificata al terzo posto con il 19% dei consensi) hanno da sempre espresso un secco no, attraendo la maggioranza dei voti dei loro concittadini. Ma la sorpresa più grande è stata l’arrivo, nella giornata di chiusura della campagna elettorale, del premier Matteo Renzi convinto della possibilità di una vittoria del candidato pd addirittura al primo turno. È successo il contrario. Marco Gasperetti GROSSETO GROSSETO Il centrodestra ha riconquistato Grosseto. Dopo due legislature del centrosinistra (sindaco Emilio Bonifazi) Antonfrancesco Vivarelli Colonna (foto) ha battuto con il 55% l’avversario Lorenzo Mascagni (45%). Una vittoria maturata grazie ad alcune intuizioni del candidato del centrodestra. La prima è stata l’aver convinto l’Udc a lasciare il centrosinistra per passare all’opposto schieramento, la seconda, decisiva, l’essere riuscito ad ottenere dai Cinque Stelle un assist insperato dopo aver annunciato che, in caso di vittoria, avrebbe conferito deleghe ad alcuni consiglieri pentastellati in attività strategiche per la città come i rifiuti, l’acqua, le bonifiche e l’Aurelia e persino la presidenza di una commissione d’inchiesta. «Una forte segnale di discontinuità rispetto alla gestione del Pd che su 114 atti presentati dal Movimento in cinque anni, ne ha bocciati ben 112», aveva sottolineato al primo turno Giacomo Gori, candidato pentastellato. Marco Gasperetti ROMA Il gesto finale di Massimo D’Alema — «Ho votato come sempre nella mia vita, da quando ero piccolo: secondo le indicazioni del mio partito» — è tutto tranne che un calumet della pace. Ma l’annuncio del voto romano di D’Alema per Giachetti, neanche nominato, arriva pochi minuti prima della fine della tregua. Perché ancora non si sono chiuse le urne e già la minoranza fa sentire la sua voce per testimoniare un disagio e annunciare quel che sintetizza Federico Fornaro: «La luna di miele renziana è finita, qualcosa si è rotto. È ora di dirci la verità». REPUBBLICA.IT La voce della maggioranza arriva da una nota ufficiale del partito, che parla di una «sconfitta netta e senza attenuanti» a Torino e Roma e di una «vittoria chiara e forte a Milano». Ma segnala anche «l’amaro in bocca per alcune sconfitte molto dure, da Novara a Trieste». Poi un’analisi, che riecheggia la posizione dei giorni scorsi, sulla valenza locale e non nazionale delle Amministrative. Con una novità: perché è vero che si tratta di un dato «frastagliato» a livello territoriale, ma emergono «anche alcune indicazioni nazionali» che saranno analizzate nella Direzione già convocata per venerdì 24 giugno. Lorenzo Guerini, vicesegretario, sintetizza: «Vinciamo in modo netto contro le destre, ma con il M5S paghiamo dazio». Tra i temi più sentiti, lo stop al doppio incarico e una modifica della legge elettorale, come precondizione per non mettersi di traverso al referendum. SAVONA Ribaltone a Savona e brutta batosta per il Pd ligure. Ilaria Caprioglio, avvocato e scrittrice, ex modella, candidata di tutto il centrodestra ha vinto nettamente con il 52,8 per cento sulla candidata del centrosinistra Cristina Battaglia sostenuta oltre che dal Pd da tre liste civiche e dall’Udc, ferma al 47,1. Un risultato a sorpresa perché Caprioglio ha recuperato cinque punti percentuali rispetto al primo turno. Tutto da rileggere il ruolo dei 5 Stelle (al 25,1 per cento al primo turno) che hanno dichiarato di non sostenere nessuna delle due candidate. Crolla l’affluenza: alle urne si è recato solo il 49,6 per cento. Il segnale per il Pd ligure è pesantissimo, dopo aver perso l’anno scorso la Regione con la vittoria del forzista Giovanni Toti. Erika Dellacasa VARESE VARESE Il centrosinistra espugna per la prima volta il fortino leghista di Varese. Diventa sindaco Davide Galimberti, 40 anni, avvocato con tessera del Pd, scelto dalle primarie di coalizione del dicembre 2015. Un volto giovane che ha incarnato l’idea di un rinnovamento del personale politico, in una città che non aveva da tanti anni un ricambio; dal 1993, quando si insediò il primo sindaco leghista scelto da Umberto Bossi. Galimberti fino all’inverno scorso era un perfetto sconosciuto, ma una campagna elettorale martellante e generosa gli ha permesso di cogliere al volo la voglia di novità dell’elettorato. I votanti sono stati tuttavia pochi, il 50,23%, e Galimberti ha vinto con il 51,84% contro il 48,16%. Ma è anche una vittoria del varesino Alessandro Alfieri, il segretario regionale del Pd, che con Varese e Milano piazza un cappotto di sindaci del centrosinistra in tutti i capoluoghi lombardi. Per la Lega Nord è una sconfitta secca. È scesa al 15% TRIESTE DAL NOSTRO INVIATO TRIESTE Mentre l’orologio di piazza dell’Unità batte la mezzanotte, la squadra di Roberto Dipiazza canta vittoria. Le urne hanno parlato chiaro: il nuovo sindaco di Trieste è l’imprenditore friulano che ha già governato Trieste per dieci anni, dal 2001 al 2011, da berlusconiano. Cinque punti percentuali in più del suo avversario, il sindaco Pd uscente Roberto Cosolini. «Sono tornato a casa», ha detto trionfante entrando nella sala del consiglio comunale circondato da bandiere di Forza Italia, anche se lui dal partito di Berlusconi è uscito da tempo. «Ho dimostrato che quando il centrodestra è unito, vince. Ora proverò a riportare Trieste in alto». Il centrodestra, che Dipiazza è riuscito a ricompattare, si riprende dunque la città e lo fa con questo vecchio nome della politica locale. Sessantatré anni, di Aiello del Friuli, già sindaco di Muggia, Dipiazza incassa il successo mettendo insieme Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e la sua lista civica. BENEVENTO È Clemente Mastella, già sindaco della sua Ceppaloni, ex Guardasigilli e parlamentare democristiano di lungo corso, il nuovo primo cittadino di Benevento. Mastella, sostenuto dal centrodestra e dall’Udc di De Mita, si è attestato con quasi il 63 per cento dei consensi contro il 37 di Raffaele Del Vecchio, vicesindaco uscente del Pd e fedelissimo del sottosegretario sannita alle Infrastrutture, Umberto del Basso de Caro. «Ho atteso dieci anni per ottenere questo riscatto politico e personale — ha detto il neosindaco di Benevento appena ottenuto conferma della vittoria —. Siamo l’Italia non grillina che ha avuto un successo clamoroso. Farò il sindaco e posso dare suggerimenti per una forma di ripartenza. Dedico questa vittoria — ha aggiunto l’ex leader nazionale dell’Udeur nel corso della festa presso il suo comitato elettorale — alla mia famiglia che in questi giorni ha subito tante umiliazioni e tante cattiverie». Mastella ha poi ringraziato l’avversario che lo ha chiamato, a scrutinio ancora in corso, per congratularsi. «Non mi è piaciuto il suo atteggiamento, forse perché si è fatto strumentalizzare da chi voleva mantenere il controllo della città — ha concluso il nuovo primo cittadino —. Oggi Benevento si è liberata». E lo sfidante Del Vecchio promette: «Sedere tra i banchi dell’opposizione non mi fa paura: auguri a chi è chiamato a governare per i prossimi 5 anni». Angelo Agrippa VERDERAMI È Clemente Mastella, già sindaco della sua Ceppaloni, ex Guardasigilli e parlamentare democristiano di lungo corso, il nuovo primo cittadino di Benevento. Mastella, sostenuto dal centrodestra e dall’Udc di De Mita, si è attestato con quasi il 63 per cento dei consensi contro il 37 di Raffaele Del Vecchio, vicesindaco uscente del Pd e fedelissimo del sottosegretario sannita alle Infrastrutture, Umberto del Basso de Caro. «Ho atteso dieci anni per ottenere questo riscatto politico e personale — ha detto il neosindaco di Benevento appena ottenuto conferma della vittoria —. Siamo l’Italia non grillina che ha avuto un successo clamoroso. Farò il sindaco e posso dare suggerimenti per una forma di ripartenza. Dedico questa vittoria — ha aggiunto l’ex leader nazionale dell’Udeur nel corso della festa presso il suo comitato elettorale — alla mia famiglia che in questi giorni ha subito tante umiliazioni e tante cattiverie». Mastella ha poi ringraziato l’avversario che lo ha chiamato, a scrutinio ancora in corso, per congratularsi. «Non mi è piaciuto il suo atteggiamento, forse perché si è fatto strumentalizzare da chi voleva mantenere il controllo della città — ha concluso il nuovo primo cittadino —. Oggi Benevento si è liberata». E lo sfidante Del Vecchio promette: «Sedere tra i banchi dell’opposizione non mi fa paura: auguri a chi è chiamato a governare per i prossimi 5 anni». Angelo Agrippa FOLLI La rottamazione grillina che batte il renzismo STAMANE la vittoria dei Cinque Stelle a Roma sarà su tutti i siti web e sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo. È una vittoria prevista ma clamorosa, anche nelle proporzioni. La capitale d’Italia verrà amministrata da una forza che pretende di essere un movimento e non un partito e che esiste da pochi anni. Beppe Grillo, assente durante la campagna, è piombato nella notte ad abbracciare Virginia Raggi e forse a sovrapporsi a lei. Quello che accadrà è un enigma avvolto in un rebus, ma i Cinque Stelle hanno vinto con un colpo di scena anche a Torino, il che raddoppia la loro responsabilità. Hanno gli occhi del mondo addosso e sono di fronte al passaggio cruciale della loro breve esistenza. Se intendono diventare qualcosa di diverso dal fenomeno protestatario e un po’ folkloristico che sono stati fin qui, salvo poche eccezioni, da oggi non dovranno sbagliare. Sapendo che le scelte possono essere impopolari e richiedono la capacità di riunire una classe dirigente... Eppure l’esito del voto è il medesimo al Nord come al Centro: vince l’alternativa “grillina” con le sue ricette vaghe, i mille No e le prospettive di “decrescita felice”. E se mettiamo nel canestro anche Napoli, dove De Magistris è stato confermato senza problemi, abbiamo una dorsale dell’anti-politica, della protesta e del malessere sociale che abbraccia mondi lontani e diversi da Nord a Sud, uniti da un senso di insofferenza e di rivolta contro il vecchio assetto. E infatti De Magistris, che non é “grillino”, ha assorbito e riproposto molti dei temi populisti cari ai Cinque Stelle. I quali sotto il Vesuvio quasi non esistono, mentre il Pd — come è noto — è completamente scomparso dalla contesa. il sogno del partito “di sistema” capace di tenersi l’ala sinistra e al tempo stesso di sfondare, novello Tony Blair, verso il centrodestra. Questo scenario non si è verificato e se Renzi conserverà Milano lo deve alla lealtà di Pisapia, che ha permesso di incollare a Sala buona parte dei voti di sinistra. A lungo, il premier si è protetto dietro uno scudo: l’assenza di alternative. Un centrodestra berlusconiano troppo debole e diviso fra moderati e “lepenisti” alla Salvini. E un movimento Cinque Stelle chiassoso ma immaturo e poco credibile come forza di governo. In parte è ancora così, ma sempre meno. Le elezioni comunali dimostrano che una forma di alternativa prende forma nelle città. BUZZANCA SU REP NAZIONALE - 20 giugno 2016 CERCA 6/7 di 60 20/6/2016 le elezioni amministraive I RISULTATI Giachetti male nella capitale il Pd perde 13 capoluoghi Votanti, punte sotto il 50% SILVIO BUZZANCA ROMA. L’ondata grillina travolge Roberto Giachetti a Roma e affonda Piero Fassino a Torino. Due colpi pesanti da incassare per Matteo Renzi che l’andamento dei ballottaggi negli altri comuni capoluogo di provincia rende ancora più amara. Il Pd infatti perde 13 dei 20 comuni che amministrava prima del voto. L’effetto Cinque Stelle si è fatto sentire anche a Carbonia, mentre il centrodestra ha ripreso centri come Benevento, dove ha vinto Clemente Mastella, o Trieste, dove è ritornato sulla poltrona di sindaco Roberto Di Piazza. Cambi di sindaci dal centrosinistra verso il centrodestra si sono verificati anche a Brindisi, Crotone, dove vince l’Udc, con altri di centrodestra, a Grosseto, a Olbia, a Isernia, a Pordenone e a Novara, che torna alla Lega. Il partito di Salvini strappa al centrodestra anche Savona. Il centrosinistra si conferma invece a Ravenna, mentre Latina passa dal centrodestra ad un’aggregazione di liste civiche. Uniche vittoria del centrosinistra contro un’amministrazione guidata dal centrodestra sono quelle di Caserta e Varese, dove Il democratico Davide Galimberti è riuscito infatti ad espugnare la roccaforte leghista. Questi risultati sono maturati in un quadro di relativo calo della affluenza che questa volta si ferma al 50,54 per cento contro il 59,94 per cento del turno precedente. Dunque siamo di fronte ad un 9,40 per cento in meno. Un calo dato per scontato perché fra primo e secondo turno la diserzione dalle urne è considerata fisiologica. Ma in questa linea di tendenza spicca però il dato di Napoli dove si passa dal 54,11 per cento al 35,97 per cento di ieri. Un meno 18,14 per cento che in qualche modo getta un’ombra sul travolgente successo del sindaco uscente Luigi De Magistris. La flessione coinvolge però anche Milano e Roma dove hanno votato il 51,56, meno 3,62, e il 50,19 per cento, meno 7 per cento. ©RIPRODUZIONE RISERVATA I GRILLINI PER LA STAMPA Il leader cita Casaleggio. Di Maio: “Ora siamo pronti per governare l’Italia” Ilario Lombardo Nulla avviene a caso nel M5S. Se il sito di Beppe Grillo apre con un sobrio post in cui si gioisce per la vittoria di Torino e Roma, ed è firmato «di Movimento 5 Stelle», qualcosa vuol dire. Se fuori dal quartier generale di Roma il boato della folla invoca il «presidente» Luigi Di Maio, significa che non era solo un voto amministrativo. I Cinquestelle hanno vinto 19 ballottaggi su 20. Lo hanno fatto con il lutto al braccio per Casaleggio e Beppe Grillo, tornato su un palco a far ridere senza chiedere in cambio voti. Il popolo pentastellato, che si gode la diretta del grande evento su un foglio di asfalto che accoglie gioia e rabbia, bandiere dell’Italia, impensabili vessilli borbonici e una strano tipo vestito da moschettiere, guarda lo spettacolo di Roma espugnata senza il suo capocomico. Grillo aspetta, di lato. Come aveva promesso. Non ruba la scena ai suoi ragazzi nella notte del successo. «E’ vostra, questa vittoria è vostra. Tocca a voi» dice al cellulare, in vivavoce. Grillo attende all’hotel Forum, dove è rimasto anche per problemi di sicurezza, attaccato al telefono e davanti alla tv. Ma oggi rientrerà in scena alla grande festa organizzata per celebrare «la prima tappa per la presa della Bastiglia». Roma è l’anticamera di Palazzo Chigi agli occhi dei parlamentari. C’è Di Maio, il più ricercato dalle telecamere, che parla da leader in pectore e lancia la sfida a Matteo Renzi: «I cittadini ci hanno riconosciuto la capacità di governare. Ora siamo pronti per l’Italia». C’è Di Battista che pesca applausi con la faccia di chi non si fa consumare dai riflettori. C’è Carla Ruocco, con gli occhi brillanti che racconta di un Grillo rilassato: «Ci ha detto che ce l’avremmo fatta. Fino alla fine era sicuro e ci rassicurava. Roma e Torino: abbiamo fatto la storia». L’incredulità per la vittoria di Chiara Appendino le si legge in faccia, mentre rivolge lei domande alla folla «Ve lo aspettavate? Dite la verità…». Anche Grillo, raccontano, è quasi più entusiasta per Torino che per Roma, memore di quella frase che Fassino gli rivolse anni fa: «Mi aveva detto che se volevo fare politica dovevo fondare un partito. Eccolo servito…» Roma, invece, è l’inizio di una nuova era per i ragazzi di Grillo. “Ora tocca noi” ripetono. Ma può essere anche la fine. Lo sanno bene. «Non siamo nati ieri, sappiamo cosa ci aspetta». Dovranno fare i conti con quell’«impasto criminale» che nell’enfasi del loro racconto è questa città ridotta a macerie. Vestito da saggio, Grillo è il primo a incoraggiarli, a suo modo: «Lo diceva anche Gianroberto: Roma è il trampolino per il governo. Se falliamo siamo fottuti». Un pensiero a Gianroberto Casaleggio lo dedicano tutti. La costruzione, minuziosa e serrata, di questa vittoria, è iniziata molti mesi fa, quando il guru fondatore era ancora in vita. Le amministrative sono sempre stato una grana per i pentastellati, organizzati come una testuggine quando c’è da gridare contro la casta del Palazzo, impalpabili agli occhi degli italiani quando i problemi da risolvere sono buche e immondizia. Roma è quasi tre milioni di abitanti, un ventesimo dell’Italia intera. E’ un piccolo Stato dove allenarsi per conquistare il governo, con la convinzione però di avere in tasca una nuova patente di credibilità. Virginia Raggi non sarà sola però. La Casaleggio guidata dal figlio di Gianroberto, Davide, blinderà ogni singola decisione, e fornirà una strategia mediatica perfetta quando dovrà raccontarsi il conflitto tra Palazzo Chigi e i nuovi inquilini del Campidoglio. Anche un eventuale fallimento, come la vittoria, avrà bisogno della sua narrazione. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI (Massimo Barbanera/REUTERS) - pag. 2 di 2