Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 20 Lunedì calendario

CITY LA MAPPA DEGLI ITALIANI CHE CONTANO

Nella City viene quantificato in circa 60 miliardi di euro, tra gli investimenti immobiliari, quelli delle aziende, i portafogli di private banking e dei fondi di private equity. In crescita ogni anno. È il «valore» dell’Italia nel Regno Unito, costruito in decenni da una comunità che conta ufficialmente quasi 300mila persone, di cui un terzo lavora negli affari: banche d’investimento, fondi, studi legali e imprese. È la seconda comunità che fa capo a Londra dopo quella Nordamericana. E che negli ultimi cinque anni ha visto transitare tra i due Paesi flussi d’investimento pari a 12 miliardi: di cui 9 dall’Inghilterra verso la Penisola e tre in direzione opposta, secondo i dati elaborati in esclusiva da Kpmg per Corriere Economia.

Adesso gli occhi di quella business community sono puntati sulla notte di giovedì 23 giugno quando, una volte chiuse le urne, emergerà se gli inglesi avranno optato per il Leave o il Remain. Tutti programmi sono confermati anche se i tavoli di crisi sono stati allestiti dai banker, consapevoli del fatto che secondo le ultime statistiche mensili pubblicate dalla Bank of England, 65 miliardi di asset sono stati convertiti da sterlina in altre valute tra marzo e aprile dagli investitori di tutti i Paesi tra Europa, Sudamerica, Stati Uniti e Asia. Le investment bank lo sanno: giocheranno il ruolo di market making , garantiranno cioè la liquidità a chi vuole vendere o acquistare valute e per questo hanno già convocato una squadra di trader. Il cui ruolo sarà importante anche nel caso in cui l’Inghilterra resti agganciata all’Ue. Perché, se così sarà, ripartirà la corsa verso la sterlina.

Una radiografia della presenza nazionale la fornisce il Business Club Italia, oltre 200 membri, di cui 25 avvocati e altrettanti banchieri, una decina di Cfo di grandi imprese, private equity e avvocati. A Londra poi ci sono top manager del calibro del numero uno del gruppo Vodafone, Vittorio Colao, o il numero uno di Ge Oil&gas, Lorenzo Simonelli. Qui imprenditori del pharma come Ornella Barra e Stefano Pessina hanno comprato asset come la catena Boots.
Presidio sui mercati

All’esito sul referendum si preparano in JP Morgan dove molte posizioni di vertice sono affidate a italiani. Qui lavorano top banker come Alessandro Barnaba, che condivide la responsabilità dei mercati globali. In pratica, presidia le stanze dei bottoni dell’intermediazione sui mercati della banca Usa. Poi ci sono Francesco Rossi Ferrini, vice chairman del settore banking e responsabile dell’area Sovereign wealth funds (in entrambi i casi per Europa, Medio Oriente e Africa) e Camillo Greco, numero uno globale del coverage per il settore consumer. All’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli è affidata poi la presidenza del corporate e investment banking per l’Emea.

In Bofa Merrill Lynch, Diego De Giorgi è invece il primo italiano che guida l’investment banking globale per una banca universale americana. Se Londra si separasse dalla Ue, per grandi istituti americani come questi e altri — che necessitano di un «passaporto europeo» — sarebbe necessario spostare parte delle attività a Dublino o Francoforte, con costi enormi.

Gli studi di avvocati lavorano fianco a fianco dei banker. E qui gli italiani abbondano. Tra le law firm italiane, BonelliErede è stata la prima a sbarcare nello Square Mile. Ha seguito operazioni di taglia nei project bond (Metro 5 e Passante Autostradale di Mestre), nella cessione di portafogli di crediti in sofferenza e la vendita di Interbanca da parte di Ge. Le redini della sede — più di 20 gli avvocati — sono da poco passate al managing partner Massimiliano Danusso con un lungo cursus in Allen & Overy a Londra: «Lasciare la City per le banche significherebbe anche cambiare tutta la documentazione, per esempio dei prodotti finanziari, coniata sul modello inglese». In Sullivan & Cromwell c’è poi il partner Oderisio de Vito Piscicelli. Ha seguito l’Ipo di Ferrari a New York e poi il listing a Milano e prima quello di Fca. In Legance ha affiancato molti investimenti del private equity il partner Marco Gubitosi (fratello minore dell’ex dg Rai, Luigi Gubitosi). Anthony Perotto in Nctm segue i clienti italiani.
L’industria

Tutta la comunità nazionale conferma i progetti, «anche se il flusso degli affari negli ultimi sei mesi si è in effetti fermato in attesa del voto», spiega Denusso di BonelliErede. Il London Stock Exchange (di cui fa parte Piazza Affari) e la Borsa di Francoforte vogliono arrivare alla fusione. Le rispettive assemblee approveranno il merger a inizio luglio.

Ma non c’è solo finanza nella City. Qui si sono misurati i mega gruppi come Finmeccanica-Leonardo, uno dei più grandi datori di lavoro in Inghilterra dove la società ha comprato la AgustaWestland. Ma si sono cimentati anche imprenditori come Massimo Candela, proprietario della Fila (matite e pennarelli) che a febbraio ha rilevato la Daler-Rowney dando vita a uno dei maggiori poli europei nei prodotti per l’arte. Pochi mesi prima, Giovanni Ferrero ha lanciato un’Opa sull’azienda produttrice di cioccolata Thorntons. La Valvitalia di Salvatore Ruggeri ha acquistato la Broady flow control.

Protagonista degli investimenti più consistenti è stato il private equity, nato sui mercati anglosassoni dove hanno radici fondi come Apax, Permira, Cvc, Bc Partners, Bain, Advent. Un numero per tutti: l’anno scorso gli investimenti dei private equity con base a Londra in aziende italiane sono stati pari a 1,3 miliardi, il 35% del totale, come spiegano i dati dell’Aifi, l’associazione guidata da Anna Gervasoni che ha aperto pochi giorni fa un ufficio a Londra. In prima linea sul Tamigi c’è Giancarlo Aliberti, partner di Apax, il fondo che ha appena investito nella Engineering. Andrea Valeri è il managing partner di Blackstone che ha puntato sulla Gianni Versace. Bc partners ha avuto un ruolo di apripista in Italia dove possiede il Gruppo Coin e la catena Old Wild West. Oggi a Londra ci sono il senior partner Stefano Ferraresi e il managing partner Stefano Quadrio Curzio. Andrea Bonomi con la Investindustrial, che a Londra ha una sede nevralgica, ha investito nell’azienda delle auto di lusso Aston Martin. E l’investment company Charme guidata dall’amministratore delegato Matteo Montezemolo che un anno fa ha aperto una piattaforma con sette esperti per investire dalla City in Europa.