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 2016  giugno 16 Giovedì calendario

IL CENTRODESTRA DEVE RIPARTIRE DA BERLUSCONI


Ora che è reso fragile dalla malattia, Silvio Berlusconi può diventare un altro, pericolosamente. Sta all’intelligenza di chi gli è amico impedire la trasformazione di un uomo tanto interessante e complicato, che ha avuto un’influenza liberatoria su un paio di generazioni di italiani, in un banale idolo della «successione», con tutto il disordine implicato da certi passaggi politici e con tutta la cattiva istintualità che induce sostenitori e storici avversari a dare, in simili circostanze, il peggio di sé.
Abbiamo già visto con quanto accanimento, magari vergognandosene, hanno saputo essere sciatti e maldicenti nella circostanza della malattia quelli che lo avrebbero voluto in galera e hanno cercato di inchiodare questo Paese per vent’anni alle loro fobie. E da tempo si nota un gioco attivistico senza senso intorno a una persona forte di tempra ma legittimamente stanca, che procede verso la soglia di incredibili ottant’anni con quel piglio volitivo che non ha età tipico di simili caratteri.
Le eredità politiche e personali sono cose preziose e a nessuno dovrebbe mai essere consentito di avvilirle in esercizi di piccolo e dispotico potere. Berlusconi è «il Cav.», un personaggio pubblico che ha fatto epoca e un protagonista della storia imprenditoriale e politica non solo italiana. Donald Trump, per riferirsi soltanto all’ultimo degli epigoni, è un apprendista, e porta sull’immenso teatro di guerra americano, due decenni dopo l’emersione del fenomeno Berlusconi, molto fun, qualche intuizione e parecchie idee insane, poca saggezza. L’uomo del 1994, che si era formato con il suo sistema imprenditoriale della comunicazione nella Repubblica dei partiti e che partorì una nuova forma di società e di Stato nella crisi, sembrava nato per scandalizzare i moralisti e gli intellettualmente pigri e per rassicurare, ma anche stimolare, frustare un’Italia delle libertà che non era mai esistita e non aveva mai conosciuto l’alternanza alla guida dei governi e la spontaneità di tono nella vita pubblica.
Un tipo simile non ha bisogno di diventare diverso da quello che è, con tutti i suoi difetti e le sue celebri mattane, sarà capace da adulto di indicare una strada per salvare il nucleo delle sue esperienze di leader politico, e lo farà con i suoi tempi senza che alcuno gli debba forzare la mano.

Naturalmente c’è poi, ed è decisiva, una responsabilità dei suoi. Io ne so poco, la mia amicizia e il fiancheggiamento pubblicistico, esercitato con passione, divertimento, autonomia, ironia, non equivalgono alla milizia politica diretta in un partito del leader. Chi ha percorso quella strada, una volta tracciato un confine da parte dell’avventuriero in capo, che potrà ancora spendersi ma non può più dissiparsi, dovrà fare più o meno l’inverso di quello che si faceva prima. Il Cav. è sempre stato il massimo del disordine. Un disordine come si dice creativo, fondato sull’imprevedibilità, sull’umore, sull’intuizione, su un’esperienza che non ha mai avuto nulla di troppo codificato, di burocratico, di ingegneristico.
Ora bisognerà creare nuovi criteri di azione, di relazione, di peso e misura delle personalità, dei gruppi, delle tendenze che ogni comunità politica produce e nutre nel corso della sua storia. Non sarà facile, perché al carattere ludico e immaginifico della leadership personale non ha mai corrisposto un tentativo, anche solo un tentativo che fosse serio e radicato, di definire istituzioni funzionanti e autorevoli accanto al capo trascinatore e carismatico. Lo stesso dissenso, che è il sale degli organismi politici al medesimo titolo della disciplina e del senso di comunità, non è mai stato praticato se non nella forma dell’individualismo estremo o dello strappo, spesso opportunistico. Il «popolo del Cav.» voleva il Cav. com’era, e punto. Gli spazi di formazione di quel che si dice una classe dirigente sono sempre stati molto ristretti e sono sempre stati considerati con una certa diffidenza.

Fatto un po’ d’ordine, il problema sono le idee, ancor più che non le idee, quella che si dice la visione. Berlusconi non voleva la Repubblica delle Procure, è stato epigono di una grande tradizione liberale e anticomunista, ha salvato quel che c’era da salvare nel vecchio sistema dei partiti, e ha funzionato nel senso della distruzione creativa, schumpeteriana, nel sistema politico uscito dalla crisi del 1993. E poi ha messo in circolo una dose da cavallo di simpatia, di nonchalance, di humour, di ribalderia organizzata e ordinata allo scopo di costruire le infrastrutture, mai completate, di un sistema e di un paese integralmente nuovi.
Non è certo facile dare un erede solido a un’avventurosa predicazione nata in circostanze irripetibili, e farlo ora che alla relativa razionalità della comunicazione televisiva subentra la frammentazione, il chat, il pulviscolo delle esperienze comunitarie dei new new new media. Non ci sono alternative, per chi sia interessato a ricomporre qualcosa di simile alla grande alleanza liberale del centro e della destra che fu orchestrata sotto la direzione del Cav. Ma bisogna sapere che occorrono energie nuove, meningi spremute, esperienze significative, e che bisogna ripartire dal fondo, non galleggiare sugli allori di un’epoca tramontata.