Stefano Bartezzaghi, il venerdì 17/6/2016, 17 giugno 2016
IL REFUSO DELL’AMANUENSE CHE LEVÒ LA PRIMA «O» DI OCULO
È venerdì 17 e mi sembra il giorno giusto per parlare di infortuni e accidenti. Qualche tempo fa abbiamo giocato con scarti e zeppe, per esempio con le meravigliose poesie a scarto di Bob Otti. Lo scarto, molto più che la zeppa, è presente «in natura» soprattutto sotto forma di refuso, la disgrazia degli scriventi. Si digita in fretta, si salta una lettera, ed è fatta. Si dice che un monaco copista fu duramente punito perché nel trascrivere il precetto evangelico sul vedere la pagliuzza nell’occhio altrui omise fatalmente la lettera iniziale del sostantivo latino «oculo». Stesso esito ebbe l’omissione di una «t» in un catalogo di design che magnificava una certa lampada, definendola «vero oggetto di culto».
Naturalmente quello in cui il refuso produce una parola tabù (oddio, moderatamente tabù) è il caso estremo. Ci sono refusi che producono parole inesistenti e refusi che producono parole esistenti. Questi ultimi sono molto insidiosi perché non vengono rilevati dai correttori: se io avessi scritto «parole insistenti», il correttore me l’avrebbe fatto passare e fra l’altro in molti contesti «insistente» dice l’opposto di «inesistente».
È successo qualcosa del genere in un fantastico refuso, occorso in un articolo per Repubblica dello psicanalista Massimo Recalcati. Ad accorgersene è stato, non a caso, un editore, Andrea Cane: «Il corpo della donna non obbedisce alla logica fallica dell’avere; appare ad essa incomprensibile, disturbante, fattore costante di angoscia perché potatore di un’altra logica». Recalcati intendeva, ovviamente, «portatore». Senza la R il significato della parola si inverte e la potatura allude chiaramente alla dottrina freudiana della castrazione. L’articolo è uscito nei giorni immediatamente successivi al festival di Pistoia dei Dialoghi sull’uomo, a cui erano presenti sia Recalcati sia Cane. Il festival era dedicato al gioco e il refuso ci ricorda che con la lingua possiamo giocare, ma anche essere giocati.