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 2016  giugno 17 Venerdì calendario

TRE MILIARDI E MEZZO DI MOTIVI PER FARE PACE CON PUTIN


A dicembre Matteo Renzi provò a buttarla in politica. Non gli andò bene e le sanzioni antirusse, che dall’estate del 2014 limitano fortemente l’interscambio tra Mosca e l’Unione Europea, furono prorogate senza discussione tra i leader. Sono passati sei mesi, e al vertice europeo del 28-29 giugno tornano a fare capolino la Russia, il suo bellicoso presidente e i suoi ambitissimi 140 milioni di consumatori. Prorogare le sanzioni o tornare al business as usual? Ai dubbi di Renzi, che proprio oggi sarà ospite di Vladimir Putin al Forum economico di San Pietroburgo, si sono aggiunte le riserve del Senato francese, lo scetticismo del vice-premier tedesco Sigmar Gabriel, i mugugni di Austria, Grecia, Ungheria, Cipro, Slovacchia. E lo sconcerto di Paolo Silenzi, presidente degli artigiani della provincia marchigiana di Fermo: «È il primo caso della storia in cui le sanzioni fanno più male al sanzionante che al sanzionato».
Gli artigiani di Fermo non conteranno quanto uno Stato sovrano, ma sono una categoria tutt’altro che trascurabile: con oltre 1.700 imprese, il distretto marchigiano della scarpa è uno dei santuari più preziosi del made in Italy. In questi borghi fitti di grandi marchi e oscuri contoterzisti, l’export è arrivato a contare per l’80 per cento del fatturato, e il mercato russo per il 20 per cento dell’export: «In due anni c’è stato un crollo drammatico: le nostre vendite verso la Russia sono passate da 176 a 100 milioni di euro». Numeri che fanno male, ma potrebbero fare anche peggio: «Se le sanzioni durano ancora un anno quella clientela non la recuperiamo più» si accalora Silenzi. «Ma allora qui si comincerà a licenziare. Con il mercato russo rischia di andare in fumo una bella fetta del distretto».
Il 31 luglio 2014 la Ue ha reagito all’annessione russa della Crimea con una batteria di sanzioni che hanno colpito soprattutto l’offerta di credito e l’esportazione di tecnologia verso Mosca. Vladimir Putin ha risposto a stretto giro bloccando ogni importazione agroalimentare dai 28 Paesi dell’Unione. Secondo la Nato Review, due anni di sanzioni occidentali «hanno contribuito a esacerbare le difficoltà macroeconomiche della Russia». Missione compiuta, insomma, e tanto peggio per gli effetti collaterali di casa nostra. Il grande gelo nei rapporti euroasiatici è calato quando Claudio Valente, presidente di Coldiretti Verona, aveva appena convertito i suoi meleti alla varietà Granny Smith che spopola da Mosca alla Siberia: «Nel 2013 la vendevo a 45 centesimi al chilo, un anno dopo ho faticato a liberarmene per la metà».
Tra un raccolto e l’altro c’erano state le contro-sanzioni di Putin, e la chiusura di un mercato tagliato su misura per i produttori veronesi: «Nei nostri campi la Granny Smith conta ormai per il 30 per cento della produzione» spiega Valente. «Per anni siamo stati tutti alla rincorsa dei russi: senza sanzioni, oggi la classica mela verde dal gusto acidulo coprirebbe il 60 percento del raccolto».
Si stima che per la sola agricoltura veronese il danno della nuova guerra fredda superi i 20 milioni di euro l’anno. Tra blocco della frutta, della carne e dei latticini, l’impatto a livello nazionale è imponente ma non semplice da quantificare: «Nel 2015 il nostro export verso la Russia è calato di 240 milioni di euro» spiega Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti. «Ma a questo va aggiunto l’effetto sui prezzi del mancato export della concorrenza: secondo lei, mele e latte polacchi che prima prendevano la strada di Mosca oggi dove si riversano?».
Se chi fa scarpe parla di clima «difficile», e chi coltiva mele fronteggia una situazione «nefasta», Marcello Chiriacò, analista di Anima, l’associazione confindustriale delle aziende meccaniche, non ha esitazioni a definire le sanzioni antirusse «disastrose». In marzo uno studio della Cgia, Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, rilevava un calo complessivo di 3,6 miliardi dell’export italiano verso la Russia negli ultimi due anni: certo, una performance tanto deludente è figlia anche del crollo del prezzo del petrolio, che ha impoverito la Russia e svalutato il rublo, ma – come si compiace la Nato Review – le sanzioni hanno avuto il «merito» di aggravare ogni altro problema congiunturale. In termini assoluti, lo sgradito titolo di settore più penalizzato della nostra economia va al comparto meccanico che, proprio in Russia, aveva trovato il mercato perfetto: «A più di vent’anni dalla caduta del comunismo, i russi soffrono ancora di un notevole gap tecnologico che le nostre aziende sono in grado di colmare» spiega Chiriacò.
La meccanica italiana vive di export, cui destina il 50 per cento della produzione per un controvalore di 25 miliardi di euro. Si esporta in Europa, in America, in Cina, ma dopo il tonfo del 2009 si era ripreso a esportare soprattutto in Russia: «Un trend costante, culminato nel 2013 con una crescita del 21 per cento e un nuovo record di vendite oltre quota 1,2 miliardi di euro». Inutile dire che è stato l’ultimo anno di grazia: «Nel 2014 il calo ha toccato il 9 per cento, e nel 2015 abbiamo perso un altro quarto di export: in pratica, due anni di tensioni geopolitiche hanno polverizzato 400 milioni di euro».
Le sanzioni anti-Putin sono un caso piuttosto paradossale di autonomia della politica: forse stiamo agendo per i nostri principi, di sicuro contro i nostri interessi. E non solo quelli più immediati. Sul lungo periodo la preoccupazione maggiore è che la Russia approfitti della crisi per imparare a fare a meno di noi: «Oggi gli unici a lavorare con i russi sono i vivaisti che impiantano nuovi frutteti» si allarma Claudio Valente pensando alle sue mele verdi. Ma anche Chiriacò di Anima teme che la Russia finisca per cercare altrove quello che trovava a Occidente: «Noi continuiamo a presidiare il mercato, a parlare con i clienti e a presentarci alle fiere, ma il timore è che questi anni difficili cambino in profondità la loro economia». Non è un caso che, per favorire gli investimenti in agricoltura, Mosca voglia prorogare le sue sanzioni non di sei mesi, non di un anno, ma fino a tutto il 2017. Quasi un invito a prorogarle anche noi: ci conviene?