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 2016  giugno 11 Sabato calendario

LA POSTA IN GIOCO– [SPORT D’AZZARDO LA GRANDE INDUSTRIA DELLE SCOMMESE]


Paris, les Paris: ci giocava già il Paolo Conte di Razmataz, con quel doppio senso. Gli infiniti volti della capitale e tutti i suoi innumerevoli azzardi. Parigi e, appunto, “les paris”, le scommesse. Non ce ne vorrà, Conte, se profittando della cronaca ci serviamo dello stesso calembour. Per la terza volta la Francia ospiterà la finale dei Campionati Europei di calcio, dopo aver tenuto a battesimo il torneo nel 1960 sotto gli occhi del generale de Gaulle e aver vinto la coppa del 1984 nelle mani di monsieur Mitterrand. I bookmaker di William Hill si aspettano un boom delle puntate, per un totale di oltre mezzo miliardo di sterline (635 milioni di euro) giocate.
Trentadue anni dopo, mentre attorno agli stadi si schierano giganteschi apparati di sicurezza e la pasta degli inquilini dell’Eliseo sembra decisamente cambiata, la novità forse più grande sono proprio les paris: le scommesse. Quelle legali, naturalmente, le altre c’erano anche prima.
I bookmakers danno al momento la vittoria finale della Francia 4 a 1 e quella dell’Italia 18 a 1, mentre pagano l’Albania campione d’Europa addirittura 500 a 1 (una proposta comunque cauta se paragonata alla favola britannica del Leicester che, dato 5 mila a uno, ha sbancato il botteghino vincendo la Premier League). Oggi si può scommettere su tutto, anche a partita in corso e non solo sui risultati finali. Dal numero di cartellini rossi e gialli a quello dei calci d’angolo, dalle sostituzioni alla prima marcatura, senza dimenticare la novità del cash-out (la possibilità di ritirare in corsa una puntata, pagando una penale, se le cose si mettono male): praticamente non c’è limite alla fantasia degli allibratori.
Il fatturato mondiale delle scommesse sportive da i brividi: stando all’ultimo report dell’agenzia britannica Global Betting and Gaming Consultants (Gbgc) vale poco meno di mille miliardi di euro. Di questa torta, la fetta del calcio europeo – per restare a Francia 2016 – valeva lo scorso anno 150 miliardi e quella della Serie A italiana circa 20 miliardi (1/3 della Premier League inglese e metà della Liga spagnola). Una montagna di denaro di cui per il nostro paese passa però solo una piccola parte. Ma passa. Dalla porta aperta definitivamente con il decreto Bersani del 2006, quello delle famose lenzuolate. Da allora le scommesse sportive e il cosiddetto settore giochi sono rapidamente diventati il settore economico più dinamico della peggior crisi dal dopoguerra.

I volumi della raccolta giochi
La raccolta in Italia, il volume complessivo di denaro giocato (diverso dalla spesa che è invece la perdita secca dei giocatori al netto delle vincite incassate), è passata dai 49,1 miliardi del 2008 – subito dopo la liberalizzazione – agli oltre 88 miliardi dello scorso anno (per questo dato e per tutti gli altri citati, la fonte è l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Aams, che gestisce l’intero settore con il supporto tecnico della Sogei). Dentro c’è tutto: il Lotto col 13%, le lotterie istantanee col 14%, il Bingo col 3% seguito da altri giochi minori. E poi tutte le macchine da intrattenimento (slot e affini) che con oltre il 55% fanno la parte del leone. Le scommesse sportive sono ancora una piccola fetta, di questa torta: meno del 7%. Ma crescono.
Lo scorso anno la raccolta legale in Italia di queste giocate è arrivata a quota 5,5 miliardi di euro, con una crescita del 28% sul 2014. E con un boom nell’online, che per la prima volta ha superato in volume la raccolta in agenzia: 2,8 miliardi contro 2,7. «In costante aumento dal 2012», commentano all’Osservatorio sul gioco del Politecnico di Milano, «e circa 1/3 in valore rispetto a un mercato maturo come quello britannico».
Secondo Alessandro Aronica, nominato esattamente un anno fa alla vicedirezione dell’Aams (che è anche una delle tre agenzie fiscali dello Stato, assieme al Demanio e alle Entrate), «il volume della raccolta raggiunto negli ultimi 4 anni va probabilmente anche riferito a una domanda esistente altrimenti compresa nell’illegalità che si è riusciti a catturare nel sistema legale».
C’è un dato eloquente, a supporto di questa tesi. La Relazione sulle infiltrazioni mafiose nel gioco approvata dalla Commissione parlamentare Antimafia il 20 luglio 2011, nella parte che analizza il mercato delle Awp (slot machine): nel 2006 la raccolta ufficiale ammontava a 15,4 miliardi di euro e censiva circa 200 mila macchine regolari, stimando l’esistenza di almeno altrettanti apparecchi illegali; oggi le Awp legali sono circa 400 mila (una enormità: una ogni 143 abitanti, quasi il triplo rispetto agli Usa) e la raccolta ufficiale, guarda caso, vale circa 45 miliardi di euro.
Ma il mercato delle scommesse si muove secondo logiche diverse da quello delle slot e i tassi di crescita a due cifre continuano ad attrarre quelle stesse economie criminali che fino alla vigilia delle liberalizzazioni controllavano completamente il settore (con l’unica eccezione di ippodromi e cinodromi, dove le puntate sono sempre state consentite). A parte gli ultimi scandali nel mondo del calcio, la cronaca riferisce continuamente di scommesse clandestine e piattaforme web di gioco irregolari: solo lo scorso anno ne sono state oscurate quasi seimila. Difficile stimare il volume d’affari di questo mercato, ma secondo uno dei massimi esperti italiani del settore – il sociologo e presidente dell’Alea, l’associazione per lo studio del gioco d’azzardo, Maurizio Fiasco – «vale sicuramente più del 20% del mercato legale»: significa ben oltre il miliardo di euro.
Monopoli, Guardia di Finanza, Polizia e Carabinieri hanno per questo costituito un Comitato di alta Vigilanza sui giochi, che fa soprattutto un lavoro preventivo. Ma il principale riferimento internazionale per la lotta alle scommesse clandestine è il gruppo privato Sportradar, che ha sede in Svizzera, filiali in 24 paesi diversi e accesso diretto alle piattaforme dei bookmakers per monitorare flussi di scommesse anomale in tutti gli sport.

Giocatori e player nazionali
Nel 2015 – spiegano dall’Osservatorio sul gioco del Politecnico di Milano – 1,1 milione di italiani ha scommesso almeno una volta, mentre i giocatori abituali sono in media 420 mila al mese. Si scommette online, dove l’anno scorso si contavano 85 operatori autorizzati (in calo dai 97 del 2014); e, naturalmente, lo si fa nei luoghi fisici deputati sul territorio nazionale: 13.582 tra agenzie e corner, controllati da circa 400 operatori autorizzati. Tutte queste concessioni sono in scadenza il 30 giugno prossimo, ma è probabile che vengano prorogate per un altro anno, in attesa che la conferenza Stato-Regioni trovi finalmente un accordo e faccia ordine nella babele di regolamenti locali. Solo dopo potrà essere varato il nuovo bando di gara, che assegnerà concessioni per 9 anni. Caso a parte l’online, dove a fine mese scadono solo in 47, ma è in corso un progetto di sanatoria per armonizzare tutte le scadenze al 2022.
I leader di un mercato nazionale che continua ad attrarre investitori esteri (solo nel 2014 sono arrivati giganti come Bet365 e Goldbet) sono tre: Sisal con oltre il 30% del mercato (giochi e scommesse), seguita da Snai e Lottomatica che si dividono quasi equamente un altro 30%.
Snai, che viene dalle scommesse ippiche (controlla strutture storiche come il galoppatoio di Milano, quello di Montecatini e Capannelle a Roma), è convolato a nozze nello scorso autunno con Cogemat per sfidare Lottomatica sul mercato delle slot. Ma intanto resta leader nelle scommesse sportive, dove è stato il primo operatore autorizzato dopo la liberalizzazione del settore.
Su Sisal, lo storico brand della schedina del Totocalcio – che ormai vale solo lo 0,5% dei ricavi aziendali, contro il 50% che arriva dai servizi di pagamento forniti attraverso i 40 mila punti Sisal sparsi per la penisola – si sono la scorsa estate inseguiti continui rumors di una acquisizione da parte di Lottomatica. Non se ne è fatto nulla: a spuntarla è stata invece la finanziaria britannica CVC Capital, fresca reduce dall’acquisto dell’agenzia di rating creditizio Cerved spa – probabilmente la principale centrale rischi della penisola. Il 31 maggio 2016 ha ufficializzato l’acquisizione di Sisal per un miliardo di euro.
Dei tre, Lottomatica è l’unico player a non essere rimasto a guardare il risiko tra i giganti internazionali del settore. Così, se ad agosto scorso i britannici Paddy Power e Betfair si sono fusi dando vita alla più grande società al mondo specializzata nel gioco digitale, mentre meno di un mese dopo Bwin entrava nella galassia Gvc candidandosi al secondo posto, la concessionaria nazionale dello storico gioco del Lotto ne aveva per tempo anticipato i movimenti.
Con una serie di mosse che ricordano quelle della Fiat di Marchionne, Lottomatica aveva infatti assunto già nel 2006 il controllo del colosso Usa Gtech e oggi – col marchio IGT, controllata da De Agostini spa, holding dell’omonimo gruppo – ha base a Londra, viene quotata a Wall Street e risulta essere il maggior gruppo mondiale nel settore giochi e scommesse con quasi 2,3 miliardi di euro di fatturato e 13 mila dipendenti.

Una manna per il Fisco
Tutto il capitolo giochi&scommesse, al netto della fetta di mercato ancora in mano alla criminalità, è poi soprattutto un grande affare per lo Stato. Soprattutto per l’erario, che dal 2012 incassa ogni anno cifre variabili tra gli 8,2 e gli 8,9 miliardi di euro. Più o meno 1/3 del valore complessivo dell’ultima Legge di stabilità (o manovra finanziaria, come si diceva una volta). Un gettito su cui il governo punta ancora di più per quest’anno: il Preu (il Prelievo erariale unico che assorbe Iva, accise eccetera) che le concessionarie sono obbligate a corrispondere al Fisco a rate anticipate e fisse, viene infatti regolarmente ritoccato al rialzo ogni anno.
Una storia che si ripete. Senza scomodare la Roma del primo secolo DC, quando lo Stato controllava le sconsiones (scommesse) sui combattimenti dei gladiatori e sulle corse delle bighe (punendo severamente chi giocava fuori dal Colosseo e dal Circo), basta fare un passo indietro di qualche secolo. Prima di Papa Alessandro VII, a metà ’600, i romani potevano giocare al Lotto solo all’estero (Napoli, Modena e Genova), pena la scomunica. Con Clemente XII, dopo 80 anni di tira e molla gestiti da altri tre pontefici, la situazione si capovolse definitivamente: le estrazioni dell’Impresa del Lotto si facevano regolarmente ogni 15 giorni dal balcone di Montecitorio e la scomunica colpiva chi giocava i numeri all’estero. Con grande soddisfazione delle casse Pontificie.