VARIE 16/6/2016, 16 giugno 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - FERITA UNA DEPUTATA INGLESE DA UN MANIACO DELLA BREXIT LASTAMPA.IT L’aggressore della deputata laburista Jo Cox le ha sparato tre colpi e l’avrebbe accoltellata più volte
APPUNTI PER GAZZETTA - FERITA UNA DEPUTATA INGLESE DA UN MANIACO DELLA BREXIT LASTAMPA.IT L’aggressore della deputata laburista Jo Cox le ha sparato tre colpi e l’avrebbe accoltellata più volte. È quanto riferisce alla Bbc Clarke Rothwell, che oggi ha assistito all’attacco contro la parlamentare a Birstall, vicino Leeds. L’ultimo colpo esploso a distanza ravvicinata avrebbe colpito Cox «vicino alla testa». REPUBBLICA.IT Una deputata britannica laburista, Helen Joanne Cox, è stata aggredita oggi a Birstall, vicino a Leeds, in circostanze non ancora chiare. La parlamentare, 42 anni, è stata ferita con un coltello e anche con colpi d’arma da fuoco, e le sue condizioni sarebbero critiche. La donna è stata colpita nelle vicinanze della biblioteca di Birstall, nel West Yorkshire, nel suo collegio elettorale. L’aggressore sarebbe un uomo. Dopo l’attacco è stata trasportata in eliambulanza all’ospedale di Leeds. In passato la deputata si era occupata di temi legati al conflitto siriano e della questione migranti. Si era anche schierata a favore dell’intervento militare britannico in Siria, in aperto dissenso con il leader del suo partito, Jeremy Corbyn, che oggi si dice "scioccato da quanto accaduto". La Cox, che aveva anche lavorato per Oxfam e Save the Children, si trovava nella sua circoscrizione per il consueto incontro con gli elettori. Nel tweet bloccato al primo posto del suo profilo così scrive contro Brexit: "L’immigrazione è una preoccupazione legittima ma non è una buona ragione per lasciare l’Europa" Madre di due figli, è stata eletta deputata per la circoscrizione elettorale di Batley e Spen alle elezioni del 2015. Secondo un testimone citato dal Telegraph, sarebbe rimasta colpita dopo essersi intromessa in una lite tra due uomini. Un altro testimone, Hithem Ben Abdallah, ha raccontato ai media britannici di aver visto persone correre in strada, in direzione della biblioteca, e di aver sentito due spari. Ha notato un uomo che indossava "un berretto da baseball bianco sporco", che ha iniziato a "spintonarsi con qualcuno" e le ha sparato tra due auto. "Sembrava avesse una pistola vecchia, come se fosse della prima guerra mondiale o ’artigianale’. Non il genere di pistola che si vede normalmente", ha aggiunto Abdallah. La donna è rimasta per alcuni minuti sanguinante a terra in attesa dell’ambulanza che l’ha poi trasportata in ospedale. Secondo l’Independent e altri media inglesi, una terza persona presente ha raccontato che l’aggressore prima di colpirla avrebbe gridato: "Britain first". L’aggressore, secondo un’altra testimonianza, sarebbe un uomo tra i 60 e i 70 anni, mentre i media britannici riportano che la polizia ha nel frattempo arrestato un uomo di 52 anni legato all’agguato. Un altro uomo, tra i 40 e i 50 anni di età, risulterebbe lievemente ferito. Il primo ministro David Cameron, informato dell’accaduto, ha espresso "profonda preoccupazione". Anche il sindaco laburista di Londra, Sadiq Khan si è detto "scioccato dalla notizia del ferimento di Jo Cox", definita una deputata "brillante" e "un’amica". Dopo l’agguato, entrambi i due schieramenti opposti nel referendum del prossimo 23 giugno sulla permanenza della Gran Bretagna nella Ue hanno annunciato la sospensione per la giornata di oggi delle rispettive campagne. L’annuncio dello stop è arrivato via twitter dal movimento Stronger in Europe, mentre ad annunciare lo stop alle attività elettorali per il campo del "Leave" è stato l’ex sindaco di Londra Boris Johnson. PAOLO G. BRERA Tutti pro Brexit: si è arreso anche l’ultimo sondaggista che ancora dava un lieve vantaggio al “No” nel referendum che giovedì prossimo chiederà ai britannici se vorranno abbandonare l’Unione europea. Da oggi, anche Ipsos-Mori preconizza il successo del “Sì”, e con un discreto vantaggio: 53% contro 47% nell’ultimo sondaggio telefonico. Anche il sondaggio condotto da Survation per IG assegna una netta vittoria alla Brexit, che raccoglierebbe il 45% delle intenzioni di voto contro il 41% di chi si oppone all’uscita dalla Ue. A questo punto "è difficilissimo essere ottimisti", sintetizza il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, parlando a Helsinki dopo aver visto i sondaggi. Anche se "tutto resta possibile", il Regno Unito è "uno stato chiave dell’Ue" e un addio “non avrebbe alcun senso". E mentre il voto si avvicina, i timori crescono: per la Ue sarebbe una prospettiva addirittura "catastrofica". Secondo il premier spagnolo uscente Mariano Rajoy sarebbe la "peggiore notizia in termini economici, una catastrofe per l’economia britannica ma anche per quelle europee". Sulla stessa linea ammonisce i votanti anche Bank of England, secondo cui un voto a favore della Brexit innescherebbe "ripercussioni negative" sull’economia globale e sarebbe una vera minaccia alla stabilità finanziaria britannica e mondiale con un possibile "acuto" deprezzamento della sterlina. Scenari infernali di fronte ai quali, con il voto ormai alle porte, la maggiore cautela arriva proprio dalle istituzioni europee: per il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, la Brexit sarebbe un brutto colpo per l’Europa perché "aprirebbe un periodo di incertezza nella Ue e nel mondo". Ma l’Europa sopravvivrebbe eccome: "Non sarebbe in pericolo di vita, e il percorso di integrazione continuerebbe, anzi verrebbe aumentato", giura diffondendo un pizzico di ottimismo europeista in un mare di dichiarazioni preoccupate. ENRICO FRANCESCHINI Se siete incerti su come votare nel referendum britannico sull’Unione Europea, afferma un messaggio che gira sul web, può essere utile sapere come la pensano un certo numero di personaggi e istituzioni di fama. Sono per "REMAIN", cioè per rimanere nella Ue: Governatore Banca d’Inghilterra, Fondo Monetario Internazionale, Institute for Fiscal Studies, Confindustria Britannica, Primi ministri degli altri 27 paesi membri della Ue, Presidente degli Stati Uniti, 8 ex-Segretari al Tesoro americani, Primo ministro dell’India, Primo ministro del Canada, Primo ministro del Giappone, Primo ministro dell’Australia, Amministratori delegati della maggioranza delle 100 maggiori aziende quotate alla borsa di Londra tra cui Marks & Spencer, BT, Asda, Vodafone, Virgin, IBM, Bmw, ex-Segretario Generale dell’Onu Kofi Annan, tutti gli ex-Primi ministri britannici viventi di entrambi i partiti, 13 Premi Nobel per la scienza britannici, Stephen Hawking, praticamente tutti i maggiori economisti del mondo, Primo ministro britannico, Leader del partito laburista, Leader del partito liberaldemocratico, Leader dello Scottish National Party, Leader dei Verdi, Leader di Plaid Cymru (partito nazionale gallese), Leader di Sinn Feinn (partito cattolico nord-irlandese), Segretario Generale di TUC (confederazione sindacati britannici), Unione Nazionale Farmers, Amministratore delegato attuale e tutti i predecessori della NHS (Servizio Sanitario Pubblico Nazionale), Europol, praticamente tutti gli storici più famosi, capi ed ex-capi dei servizi segreti britannici, Segretario Generale della Nato, Arcivescovo di Westminster, Greenpeace, Friends of the Earth, WWF, WTO, Banca mondiale...(l’elenco potrebbe continuare) Sono per "LEAVE", cioè per lasciare la Ue: -Boris Johnson, ex-sindaco di Londra, a cui probabilmente non interessa davvero che la Gran Bretagna esca dalla Ue ma sa che, se ciò avvenisse, lui diventerebbe rapidamente primo ministro -un ex-ministro del Lavoro e delle Pensioni autore di brutali tagli ai benefici assistenziali a disabili e malati -un ex-ministro dell’Istruzione odiato da ogni insegnante britannico per i danni che le sue riforme hanno causato alla scuola -il leader dell’UKIP -e Donald Trump CORRIERE.IT Un’eventuale Brexit rappresenta un rischio per la crescita dell’Eurozona. Lo dice ripetutamente la Banca centrale europea nel suo bollettino mensile, secondo cui «i rischi al ribasso sono ancora connessi all’andamento dell’economia mondiale, ad altri rischi geopolitici e all’imminente referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea». Questione che limita, secondo l’istituto di Francoforte, anche la stessa crescita inglese. Le ultime stime della Bce danno una crescita dell’1,6% nel 2016 e dell’1,7% nel 2017 e nel 2018. I mercati finanziari sono diventati «più stabili» secondo Francoforte e il clima di fiducia «è migliorato» nel secondo trimestre, ma «incertezze» come la possibilità di una Brexit «continuano a offuscare l’orizzonte». Per quanto riguarda l’Eurozona «gli ultimi dati suggeriscono che la crescita si è protratta nel secondo trimestre, anche se forse a un tasso inferiore» rispetto a quello del primo trimestre e «in prospettiva, si prevede che la ripresa economica prosegua a un ritmo moderato ma costante». L’espansione economica nell’area dell’euro si è rafforzata nel primo trimestre di quest’anno e il livello del pil reale ha ormai superato il valore massimo raggiunto nel 2008. La componente dei consumi privati, che ha mostrato una certa tenuta nel primo trimestre, secondo Francoforte «rimane la determinante principale della ripresa in atto». Ovviamente il quantitative easing della Bce sta aiutando l’economia e un «ulteriore stimolo» dovrebbe provenire dalle misure ancora da attuare. Tuttavia il consiglio direttivo «seguirà con attenzione l’evoluzione delle prospettive per la stabilità dei prezzi e, se necessario per il conseguimento del suo obiettivo, agirà ricorrendo a tutti gli strumenti disponibili nell’ambito del suo mandato». PUBBLICITÀ inRead invented by Teads Riviste al rialzo le stime del Pil: «le proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro formulate nel giugno 2016 dagli esperti dell’Eurosistema indicano un incremento annuo del Pil in termini reali pari all’1,6% nel 2016 e all’1,7% nel 2017 e nel 2018». Secondo il bollettino mensile «rispetto all’esercizio condotto a marzo 2016 dagli esperti della Bce, le prospettive di crescita del Pil in termini reali sono state riviste al rialzo per il 2016 e mantenute sostanzialmente invariate per il 2017 e il 2018». A marzo gli esperti della Bce prevedevano una crescita del Pil a +1,4% nel 2016, a +1,7% nel 2017 e a +1,8% nel 2018. fubini su corriere.it Ciò che sta accadendo sui mercati finanziari europei in queste ore è semplice eppure pieno di implicazioni controverse, tanto per l’Europa che l’Italia. Di semplice c’è che gli investitori si sono finalmente svegliati: fino a metà della scorsa settimana non avevano dato alcun prezzo all’incertezza legata al referendum sulla Brexit, ora invece sono costretti a farlo. E inevitabilmente si tratta di un prezzo al ribasso. Una serie di sondaggi online e al telefono da venerdì scorso in poi mostra che il fronte del «Leave» - favorevole all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea - ha rotto alcuni argini. Guadagna terreno, conquista i cuori e anche qualche mente razionale fra gli elettori. Eppure non era andata così fino a poco tempo fa. I sostenitori del «Remain» avevano prevalso rapidamente sulle ragioni economiche per la permanenza di Londra nell’Unione; ma è come se il loro picco di popolarità fosse stato raggiunto un po’ troppo presto, già a tre settimane dalla consultazione di giovedì prossimo. Da allora il fronte del «Leave» ha reagito con veemenza ed è riuscito a spostare la battaglia referendaria sui temi dell’immigrazione, anche a costo di smerciare come preziose rivelazioni alcune sfacciate menzogne (esempio: la presunta invasione di migranti turchi se il Regno Unito non si separasse dalla Ue). PUBBLICITÀ inRead invented by Teads I sondaggi sono notoriamente imperfetti, ma ora dicono che l’esito del referendum britannico è davvero incerto. Per la prima volta in settant’anni l’architettura europea potrebbe perdere un muro portante. Sarebbe la prova che l’Unione e dunque anche il suo sottoinsieme - l’area euro - sono strutture fragili e smontabili. Non sorprende che il mercato adesso reagisca alzando il costo del debito di Italia, Grecia, Spagna e Portogallo: in quei prezzi adesso di nuovo c’è anche la probabilità, per quanto bassa, che un domani i Paesi del Sud Europa escano dell’euro e adottino una propria moneta soggetta a svalutarsi. Dunque il mercato ha rincominciato a chiedere rendimenti un po’ più alti prima di accettare il rischio di prestare denaro all’Italia, alla Grecia, al Portogallo o alla Spagna. Fin qui le reazioni primarie, quelle semplici. Poi però non ne mancano di più controverse, e una di esse riguarda direttamente l’Italia. Questi giorni ci ricordano il costo sui mercati dell’incertezza legata alle scadenze politiche: non resta che chiedersi in che scenario finanziario gli italiani andranno alle urne in ottobre, quando in gioco ci saranno la riforma costituzionale, la stabilità del governo, il futuro del premier e la tenuta della legislatura. Queste ore di passione sulla Brexit fanno capire che forse quella campagna referendaria d’autunno non sarà un pranzo di gala. Soprattutto qui in Italia. C’è poi però un altro risvolto, europeo questo, che investe anche l’Italia. Il sistema bancario europeo in queste ore è il più colpito dalle vendite, a Piazza Affari e quasi ovunque. Il titolo di Deutsche Bank per esempio è ridotto a circa un terzo dei suoi valori di meno di un anno fa. Questo livello di stress finirà probabilmente per accendere un faro sulla condotta della vigilanza bancaria europea negli ultimi mesi. L’autorità guidata dalla francese Danièle Nouy ha scelto una linea di massima intransigenza, spesso imponendo alle banche forti aumenti di capitale in tempi stretti. È una linea comprensibile in tempi normali. Resta da capire se mettere troppa pressione sulle banche in una fase del genere non rischi di aggravare ancora di più il quadro, perché il mercato oggi è troppo sotto stress per fornire capitale alle banche. Molti temevano che la Brexit avrebbe portato tempesta. Eppure fin qui Nouy si è mossa come se il suo lavoro andasse fatto astraendosi dal contesto, fino a quando il contesto le ha ricordato brutalmente la sua presenza. LASTAMPA.IT emanuele bonini bruxelles Che il Regno Unito resti o che se ne vada dall’Europa cambia poco: «In ogni caso bisognerà rifondare l’Unione». Guy Verhofstadt, presidente del gruppo Alde del Parlamento europeo ed europeista di lungo corso, non ha dubbi: comunque vada dopo il referendum britannico del 23 giugno «non si potrà continuare con il “business as usual”», non si potrà andare avanti a vivere, o meglio, vivacchiare, come fatto finora. «Abbiamo sempre operato piccole riparazioni, isolate, quando andava fatta una ristrutturazione» della casa a dodici stelle. Brexit o Bremain (le due espressioni per indicare l’uscita o la permanenza di Londra nel club dei Ventotto), «il problema è che questa Europa non funziona». Il referendum gli pare dunque «un’opportunità», spiega nel corso di un’intervista concessa a una settimana del voto britannico a un ristretto numero di giornalisti di testate europee, tra cui la Stampa. E’ l’opportunità di «riformare» una volta per tutte un modello che si è dimostrato non all’altezza della situazione, fin dalla sua nascita. «L’unione doganale, nel 1957, venne considerata una grande conquista quando in realtà derivò dall’incapacità, nel 1955, di trovare una politica comune e una politica estera e di sicurezza comune». I mali d’Europa sono questi, e vengono da lontano. Per questo dalla mattina del 24 giugno bisognerà mettersi «immediatamente» al lavoro, vada come vada. In sintesi, ecco il pensiero del leader liberale. Brexit In caso di decisione di abbandonare l’Ue «sarà fondamentale» mettersi all’opera. I trattati dicono che servono due anni per stabilire e negoziare le modalità di uscita, a cui si aggiungeranno le trattative per nuove relazioni politico-commerciali. Nessuno può dire quanto lavoro porterà via tutto questo lavoro, ma «bisogna fare in fretta, altrimenti permane l’incertezza» sull’Europa. In scenari da «stay-out» per Verhofstadt sarà altresì «fondamentale» ricorrere all’interpretazione dei trattati. «Se consideriamo che l’accordo Ue-Turchia sull’immigrazione non è neanche un accordo ma una dichiarazione...», si limita a dire il leader dei liberali europei all’Eurocamera. Vuol dire che, al netto dei dubbi e delle lacune delle indicazioni giuridiche per la gestione del divorzio, «abbiamo il modo di trovare la soluzione» al problema. Ma in caso di «goodbye» britannico «la vera questione sarà geopolitica», secondo Verhofstadt. «Tutti focalizzano l’attenzione sull’aspetto economico, ma il vero impatto sarà geopolitico. Come si porrà l’Europa nei confronti della Cina, o della Russia, senza più i britannici»? Bremain Anche nel caso di una decisione per restare nell’Ue «occorrerà subito mettersi al lavoro». Il fatto che comunque ci sia la conferenza dei capigruppo il giorno dopo il voto non deve lasciare tranquilli in caso di voto «pro-Europa». Verhofstadt non nasconde che «in questo caso la mia più grande paura è che tutti dimentichino la questione, e così scompare anche l’idea di riformare l’Unione». Il cambiamento sarà inevitabile, dato che in base agli accordi tra governi «bisognerà dare seguito a quanto concordato con Cameron», vale a dire creare lo status speciale del Regno Unito all’interno dell’Unione. Il Parlamento dovrà attendere le proposte della Commissione e votarle, e contribuire alla riflessione più ampia sull’Europa. Futuro dell’Europa e lavoro del Parlamento «L’Ue non sarà più la stessa dopo il 23 giugno». Ecco perché il Parlamento europeo presenterà al più tardi a ottobre tre relazioni sull’architettura dell’Ue: i tre documenti riguarderanno la modifica dei trattati per l’inserimento delle richieste britanniche e la definizione dello status speciale (relazione Brok, dal nome del responsabile), una nuova governance economica e fiscale (relazione Beres), e il futuro dell’Ue (relazione Verhofstadt). «Una volta esaurito il voto si avvia il processo» di riflessione, perché quello di oggi «non è tanto un problema pratico quanto un problema esistenziale dell’Ue». Per le 8 del mattino del 24 giugno è già stata convocata la conferenza dei presidenti, per discutere del post-elezioni e il cammino da seguire. La nuova Europa di Verhofstadt Così com’è l’Ue non va. «Lo sta dicendo da tempo anche il presidente della Bce. Mario Draghi: per quanto ancora dovrò continuare a fare quello sto facendo in attesa che i governi agiscano? O si cambia o l’Ue rischia di disintegrarsi». Sul futuro il presidente dell’Alde ha le idee ben chiare: servono migliore processo decisionale («l’Europa non funziona per via del principio dell’unanimità»), riduzione del numero dei commissari («ventotto sono troppi, se arriva un altro stato membro non abbiamo più portafogli da distribuire»), stop a eccezioni e deroghe («è impensabile che ogni Stato voglia i suoi “opt-out” per ogni cosa: così abbiamo ventotto diversi status»), due diversi tipi di membership («o membro a pieno titolo o membro associato con solo alcuni benefici»).