Daniela Fedi, Style, il Giornale 6/2016, 16 giugno 2016
LA SUA VITA È COME IL ROCK– [Gaia Trussardi] “Come è bella!” pensi mentre lei ti viene incontro con il passo elastico di chi fa tanto sport
LA SUA VITA È COME IL ROCK– [Gaia Trussardi] “Come è bella!” pensi mentre lei ti viene incontro con il passo elastico di chi fa tanto sport. Gaia Trussardi è alta e flessuosa come una modella, del tipo atletico, però, non le emaciate creature che popolano le passerelle da qualche tempo a questa parte. La faccia è perfino meglio: occhi azzurri come due laghetti di montagna, capelli biondi come una spiga di grano, zigomi alti, bocca carnosa, naso regolare. “Ho i colori della mamma e la struttura fisica del papà” taglia corto rimboccandosi le maniche del giubbotto in suede color vinaccia che indossa sul completo pantaloni e camicia in tessuto togato verde acqua. Con i suoi 105 anni di storia, Trussardi è uno dei marchi più antichi e blasonati del made in Italy. L’avventura è cominciata nel 1911 quando il bisnonno di Gaia, Dante, ha fondato a Bergamo un laboratorio per produrre guanti in pelle. Nel giro di una ventina d’anni l’impresa raggiunse dimensioni di tutto rispetto: 300 dipendenti, bilanci in attivo e clienti in tutto il mondo. Tanto per dare un’idea durante la Seconda Guerra Mondiale sono stati i Trussardi a rifornire l’esercito italiano dei guanti necessari, mentre negli anni del boom le signore eleganti facevano follie per rivestire le mani con quei piccoli capolavori che costavano quasi sei ore di lavorazione artigianale al paio. Sotto il segno del levriero tutto questo si è trasformato in un fenomeno nuovo che Nicola Trussardi spiegava con una sintesi geniale: “non total look, ma total life, prét-à-vivre più che prét-à-porter”. Sua figlia Gaia, 37 anni, da tre direttore creativo della maison, sta traghettando tutto questo nel terzo millennio insieme con il fratello Tomaso, ceo dell’azienda e alla madre. Maria Luisa, presidente del Gruppo. La sorella Beatrice presiede invece la Fondazione Trussardi nata nel 1996 e successivamente trasformata in un intelligente mezzo di riqualificazione culturale di Milano. Scopo principale della fondazione è infatti portare l’arte contemporanea direttamente nella città, in luoghi di solito adibiti a tutt’altro tipo la Caserma XXIV maggio di via Vincenzo Monti, il cinema Manzoni oppure i vecchi magazzini della Stazione di Porta Genova. Pensi a tutto questo entrando nell’ufficio di Gaia all’ultimo piano del Marino alla Scala, l’ex albergo affacciato sul teatro più famoso del mondo e trasformato in un centro multiuso nel cuore della città con un lavoro di restyling costato 12 anni di lavoro e 5 miliardi di vecchie lire. La prima cosa che noti oltre alla bellissima collezione di levrieri in bronzo artisticamente disseminati dappertutto, è una foto in bianco e nero di lei bambina sulle spalle del papà. Poi ci sono le immagini dei suoi bambini Nicola, 10 anni e Isabella 8, libri, riviste, disegni e una pila di cd con la scritta “The Good Company by Trussardi” sopra una specie di edicola fiorita che incornicia una chitarra. Dietro oltre ai dieci storici titoli tipo “Love me tender”, “Fever” oppure “Knockin’ on Heaven’s door”, ci sono i vari crediti artistici tra cui Music Directors: Gaia Trussardi and Fabrizio Grenghi for Massive Arts Studios. Come mai si è data alla musica? «A dire il vero lo faccio da sempre, fin da piccola cantavo e facevo le imitazioni con la voce. Ho cominciato dalla risata della strega che alla fine diventa un pianto e poi mi sono messa a rifare lo jodeling dei Cranberries». Ovvero? «Ha presente Zombie, quel bellissimo brano di protesta per il conflitto nord irlandese? Ecco dentro c’è questo (esegue dal vivo, ndr) ovvero il passaggio dalla voce piena al falsetto tipico dello jodel svizzero. Si chiama jodeling per questo». Ma lei ha studiato musica? «Sono autodidatta. Ho imparato a suonare da sola sulla chitarra acustica che mi ha regalato il papà quando avevo 14 anni. Non volevo tanto fare musica quanto accompagnarmi mentre cantavo». Insomma voleva fare la cantante... «A dir la verità una persona che ha lavorato in azienda da noi per quarant’anni mi ha raccontato che da bambina, ad appena 4 anni, alla fatidica domanda cosa vuoi far da grande ho risposto: la mamma. In effetti per lungo tempo ho accarezzato l’idea della casetta nella fattoria con cavalli, galline e cani». Poi però ha fatto tutt’altro. Non ha anche interpretato una parte nel film Piazza delle Cinque Lune di Renzo Martinelli? «Facevo l’ex brigatista Barbara Balzerani che corre via, non una gran parte. È stata un’esperienza come tante altre mentre completavo la mia formazione». Ha studiato alla St. Martin’s School di Londra come tanti figli di stilisti e imprenditori italiani? «Ho studiato a Londra ma all’università americana, ovvero il Richmond College. Ho appena saputo che mi daranno presto il dottorato di sociologia ad honorem perché non sono riuscita a prenderlo anche se ero la più brava del mio corso, due volte premiata come miglior studente del semestre. D’altro canto ho finito l’università due settimane dopo la morte di mio padre, fare anche il Phd (il dottorato di ricerca americano, ndr) sarebbe stato davvero troppo. Ho imparato molto in quegli anni tristi e allo stesso tempo belli, ho passato il primo anno dopo la laurea a scrivere e registrare canzoni, una cosa che adesso mi torna molto utile». Insomma lei è musicista, stilista o cosa? «Ufficialmente sono direttore artistico da tre anni, ma ho sempre lavorato in azienda, prima facendo ricerche stilistiche in generale e poi occupandomi nello specifico di due linee: la Tru e la Trussardi Jeans». E la musica? «È un lavoro nato in parallelo con la moda. Abbiamo stretto un accordo con l’accademia di Brera per presentare le nostre collezioni maschili. Decido di dedicare la prima installazione a un argomento letterario e al tempo stesso universale: il bene e il male. Per la seconda penso alla mia passione per la musica moderna e durante un sopralluogo mi chiedo cosa mai centri il rock con i quadri a soggetto religioso esposti a Brera. È stata come una folgorazione: quasi tutti i brani parlano di Dio o quantomeno del trascendente. Da qui l’idea di chiedere a dei giovani musicisti l’arrangiamento solo strumentale di alcuni brani storici. Ho messo insieme i migliori creando una band, The Good Company, componibile ma anche scomponibile secondo le esigenze del momento. Mentre lavoravo a questo progetto mi veniva in mente la storia dei musicanti di Brema. Ecco, noi siamo un po’ così: animali diversi (nella fiaba dei Fratelli Grimm sono un asino, un cane, un gatto e un gallo, ndr) che si mettono uno sulle spalle dell’altro per emettere un suono unico che mette in fuga i briganti». Voi chi o che cosa mettete in fuga? «Spero la noia. Lo scorso gennaio la band ha suonato e presentato la collezione uomo. A fine febbraio hanno eseguito dal vivo la colonna sonora della sfilata donna e il prossimo settembre lanceremo un nuovo brano composto e musicato per il fashion movie dei profumi Trussardi». Cantautrice, designer e mamma: il mestiere più bello? «Essere mamma è una cosa meravigliosa, non un mestiere. I miei bambini sono molto adulti, imparo ogni giorno qualcosa da loro. Nicola è un tipo molto saggio, se vede qualcuno che si arrabbia per qualcosa, pacatamente dice: non prendertela, non serve a niente, ragiona. Ha una creatività pazzesca e vive nel mondo delle nuvole, fin da piccolo interpreta ruoli di fantasia. Adesso è nella fase dei super eroi, l’altro giorno è arrivato con un lenzuolo e mi ha chiesto di disegnarci sopra la sua sagoma per ritagliarla, doppiarla e farsi un costume con tanto di mantello. Ha gli occhi verde militare, ma mi somiglia molto: ho paura a dirlo ma scrive testi per canzoni e ha già detto che da grande farà un suo brand, solo per uomo e quindi lo chiamerà Gentleman». Sua figlia Isabella come è? «Secondo me diventerà un ottimo boss, ogni sua frase comincia con un bel no. È un tipo pragmatico, non emotivamente intuitiva, ma capace di organizzare molto bene i suoi pensieri. Ha un’affinità incredibile con suo fratello, il loro rapporto mi ricorda il mio con Tomaso». Voi due siete sempre stati in simbiosi, vero? «Da piccoli a dir la verità litigavamo parecchio mentre adesso no: parliamo lo stesso linguaggio, non abbiamo bisogno di spiegarci. Comunque abbiamo sempre giocato insieme con grande soddisfazione: dal Lego al Nintendo passando per la palla senza soluzione di continuità. Devo a lui se sono andata a studiare a Londra perchè subito dopo il liceo mi ero iscritta al Dams di Bologna. L’ho frequentato per tre mesi a dir poco alienanti: non capivo la città e non mi piaceva lo stile di vita dei miei compagni di corso: tutti canne, bonghi e centri sociali. Tomaso ai tempi aveva 14 anni e Zeffirelli lo scelse per fare se stesso ne Il Giovane Mussolini. A quel punto il papà decide di mandarlo a Londra per imparare l’inglese e io mi aggrego. Finiti i tre mesi di corso chiedo e ottengo di rimanere lì a studiare. Lui è tornato a casa, ma appena poteva veniva a trovarmi. Insomma sì, il nostro è un rapporto simbiotico, se mi chiama io so che è lui senza nemmeno guardare il telefono». Va d’accordo anche con sua cognata Michelle? «Certo, al di là della sua esplosiva simpatia c’è che Tomaso ha sempre fatto in modo di farmi diventare amica dei suoi affetti. I nostri figli giocano insieme come abbiamo fatto noi. La famiglia per i Trussardi è un valore inalienabile». Siete tutti molto belli, ha mai fatto caso a questo dettaglio non trascurabile? «Non è la prima cosa che penso di noi. Mia madre per esempio ha il dono della radiografia immediata: al primo incontro capisce se una persona vale oppure no. In questo Beatrice le somiglia molto, ha una specie di Tom Tom per il talento. Tomaso invece ha un entusiasmo contagioso, è il classico personaggio problem solving indispensabile in qualsiasi ambiente di lavoro». E lei come si vede? «Io sono grata al cielo perché mi sento sempre ispirata e l’ispirazione non è un tuo merito, ma una cosa che ti attraversa la testa come un lampo di luce celeste. Ultimamente mi sento anche molto lucida e pacificata. Penso di aver moltissimo da dare. M’interessa la funzione della moda con altri ambiti creativi ed è proprio quel che sto facendo con la musica». Quanto conta per lei essere bella? «A dir la verità io mi vedo piena di difetti, non sono assolutamente vanitosa. Tengo moltissimo ad avere un aspetto fresco e una bella pelle, ma sto facendo pace anche con questo. In fondo ho 37 anni e due figli, non posso sembrare una ventenne». Quindi non fa niente per mantenersi in forma? «Sto attenta all’alimentazione perché mi piace mettere in corpo le cose buone che servono a vivere bene, non il superfluo. Da un anno a questa parte non mangio carne ma pesce, verdura, molta frutta e yogourth. Detto questo non mi nego il piacere del cioccolato fondente con le nocciole, di un bel gelato al pistacchio o di un bicchiere di vino. Faccio tanto sport da sempre e non certo per mantenermi in forma, è un’abitudine che mi hanno inculcato mio padre e mio fratello Francesco. Al mattino mi alzo alle 6,30 e poi mi alleno per 40/50 minuti prima di portare i bambini a scuola. Faccio corpo libero, esercizi di isometria, interval training e, se ho bisogno di sfogarmi, tiro pugni al sacco da pugilato che ho appeso al soffitto. Vorrei anche cominciare un corso di kung fu, appena ho un attimo di tempo m’informo». Ha qualche rimpianto? «Il percorso di una vita è sano quando non vorresti mai tornare indietro. Ecco, io credo di aver raggiunto un punto di non ritorno: va bene così, vado avanti senza nostalgia, sento lo spirito pioneristico di mio padre dentro di me, nell’azienda, in tutto quello che stiamo facendo. È un po’ come quando si parla del rock. Lo spirito non muore mai, anzi si evolve nel tempo».