Renzo Rosati, pagina99 11/6/2016, 11 giugno 2016
D’ÉLITE E POPOLARE IL CORRIERE CHE VUOLE CAIRO
Lunedì 13 giugno parte l’offerta pubblica di scambio di Urbano Cairo su Rcs Mediagroup che si concluderà l’8 luglio. Ventisei giorni nei quali la Consob dovrebbe autorizzare anche l’offerta concorrente, di Andrea Bonomi e per conto dei soci attuali dell’editoriale del Corriere della Sera (Mediobanca, Diego Della Valle, Unipolsai, Pirelli).
Le due scalate, pura quella di Cairo, interna e non considerata ostile quella di Bonomi, sono diverse, a cominciare dal fatto che la prima è “carta contro carta”: propone 0,12 azioni Cairo Communication per ogni Rcs, valutata 0,58 euro. Nei fatti, come afferma l’editore nonché proprietario del Torino, chiede agli azionisti grandi e piccoli, storici e non, di «salire a bordo» di un gruppo, il suo, che capitalizza poco meno di Rcs (377 milioni rispetto a 407, questi ultimi però ora gonfiati dalle offerte contrapposte) e che tuttavia non è schiacciato dai 410 milioni di debiti – appena rinnovati dalle banche – né dalla crisi di strategie e gestione che affligge Via Solferino.
Conversando con pagina99, l’imprenditore nato in provincia di Alessandria 59 anni fa, non può in corso di Ops dire direttamente cose che oltre a infrangere le regole Consob potrebbero essere male interpretate dal suscettibile mondo dei salotti finanziari, quelli che in via Solferino l’hanno fatta da padrona. Si sa però che Cairo possedendo anche La7, intende «sfruttare da subito le sinergie con la televisione, oltretutto il profilo dei nostri telespettatori coincide con quello dei lettori del Corriere», sottintendendo persone che cercano «più idee che ideologie», confronti e non talk show gridati, insomma un target acculturato di ceto medio-alto e classe dirigente, della quale il Corriere ama definirsi portabandiera: sempre che poi oggi qualcuno capisca davvero cosa pensa il ceto medio, e dove sta la classe dirigente. Ma questo non lo sanno politici e sociologi, ed è ovvio che Cairo – «da editore puro», insiste con orgoglio – guardi piuttosto alle sinergie con i suoi periodici popolari, con la tv e soprattutto con la pubblicità «anche legata allo sport, penso alla Gazzetta e ai diritti del Giro d’Italia», per allargare i confini di un business che da anni i manager della Rcs sembrano invece aver fatto a gara nel restringere, compreso il digitale, un mondo che tempo fa Cairo ammetteva di conoscere poco ma sul quale ora vuole puntare perché «in epoca di convergenza dei media i soldi si vanno a cercare ovunque possibile».
È anche indubbio che l’offerta concorrente di Bonomi patrocinata da Mediobanca sia in apparenza più ricca (0,7 euro ad azione) e in contanti; però non viene da un editore vero, dal momento che Bonomi è presidente di Investindustrial, un fondo che tra l’altro possiede il 37,5% della Aston Martin, mentre Della Valle è noto per le Tod’s e altri brand del lusso, Unipolsai è una compagnia assicuratrice, Pirelli, ormai in mano cinese, è leader dei pneumatici ad alte prestazioni. E infine Mediobanca, che, pur con i propositi di essere meno italocentrica, resta il simbolo del nostro capitalismo di relazione.
Se l’Opa Bonomi ha successo, un nuovo veicolo finanziario, International Acquisitions Holding, controllerà Rcs dividendosi a sua volta per il 45% tra Bonomi stesso e per il 55 tra i vecchi soci, che avranno il 13,75% della newco. Seguiranno aumenti di capitale per rimettere in piedi il gruppo editoriale. Business as usual? Di certo Rcs, dopo aver venduto i libri alla Mondadori e lo storico palazzo di via Solferino al fondo Blackstone senza benefici significativi per i conti e l’immagine, pare avere urgente bisogno di un editore, e magari anche di una ventata mercatista. Ma soprattutto di un progetto nuovo poiché la difesa dell’esistente non basta più, mentre la concorrenza è in pieno movimento con la fusione Repubblica-L’Espresso-La Stampa-Secolo XIX, con le manovre su Mediaset, con la guerra dei contenuti tra Vivendi – quindi Telecom e ancora Mediaset – e Netflix e Sky.
Cairo sa che questo è il suo punto di forza: avere un piano. Ma che tipo di Corriere ha in mente, sinergie a parte? Il progetto parla delle «eccellenze giornalistiche della testata», non prevede tagli nelle redazioni, mentre punta su centri stampa comuni nei periodici e di fusione nella raccolta pubblicitaria. Ma si sa che Cairo stima Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli, i due direttori che si sono avvicendati prima dell’avvento di Luciano Fontana. Considerando la fiducia per Enrico Mentana, pur tra le tensioni, non è difficile intuire la nostalgia per le caratteristiche che in anni neppure lontanissimi hanno fatto la fortuna del Corriere della Sera: il “terzismo” tra destra e sinistra (copyright Mieli, nonostante gli endorsement prodiani), la capacità di alternare linguaggi alti e popolari, e soprattutto l’idea che un giornale leader debba indicare un’agenda ai politici, anziché andare a rimorchio. Stessa cosa per le questioni finanziarie ed europee. Insomma, una linea più chiara rispetto al multilinguismo che si nota attualmente. E l’obiettivo di avere in anteprima notizie e dossier, anziché organizzarci intorno dibattiti.
Egualmente Cairo pensa che un grande editore debba vendere copie e pubblicità sia attraverso testate di opinione sia popolari. Racconta che gli sarebbe piaciuto lanciare un tabloid, «visto che il nord e il centro Europa hanno l’abitudine di leggere giornali popolari e di qualità, da noi questa doppia offerta non c’è, non si è mai capito se per snobismo dei giornalisti o assenza di mercato».
In realtà un tentativo remoto e naufragato fu fatto proprio dalla Rizzoli con L’Occhio di Maurizio Costanzo. Di grandi editori europei di popolari e di élite c’è soprattutto il gruppo tedesco Axel Springer, che con la Bild, Die Welt, il tabloid polacco Fakt, Auto Bild, l’edizione tedesca di Rolling Stone e Sport Bild (il maggiore magazine sportivo europeo) è una potenza da 3,5 miliardi di fatturato e 600 milioni di utili, il 60% delle attività e il 70% degli utili nel digitale. Di tendenza liberal-conservatrice, Bild e Die Welt sono il riferimento dell’establishment tedesco, da Angela Merkel al capo della Bundesbank Jens Weidmann, che adattano i loro linguaggi a seconda delle due testate.
Che la Rcs possa arrivare a questo è ovviamente da dimostrare. Il vero problema, come ha ripetuto fino allo spasimo de Bortoli, «è che al Corriere manca l’editore».