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 2016  giugno 11 Sabato calendario

FENOMENOLOGIA DEL GIOCATORE VENDUTO


Una telefonata nel cuore della notte: «Scendi, andiamo ad Ascoli». Sedativi per equini nella borraccia, sonni improvvisi e schianti in autostrada. Quaranta mila euro avvolti in un asciugamano, fughe in mutande. Minacce di morte, a te e a tuo figlio. Il carcere, senza chiudere occhio.
Non è un film di Guy Ritchie: sono storie della provincia italiana, storie recenti di un calcio nemmeno troppo minore. L’allarme dei bookmaker sui movimenti sospetti di questo campionato, in Lega Pro e in partite di serie A giocate dal Frosinone, l’ultima puntata.
Sono le storie di Vittorio Micolucci e Nicola Santoni, dell’ex cittadino benemerito Cristiano Doni. Che si è rifatto una vita con il suo beach bar a Maiorca, dicono che nelle serate più esclusive compaiano le danzatrici del ventre. Lui sapeva dove ricominciare, che denari e amici ne aveva accumulati in una giovinezza da 150 gol tra A e B.
Molti colleghi non sono stati così bravi e fortunati: per loro Last Bet, l’inchiesta di Cremona che nel 2011 svelò la nuova cancrena del calcioscommesse, fu una falcata ben distesa nell’abisso. Ragazzi agiati, persino qualcosa di più, hanno scoperto vergogna, depressione e carcere. E poi spese processuali, disoccupazione, lavoretti. Cosa farai quando smetti, ripetevano gli amici invidiosi. Lo avrebbero scoperto a 27 anni, senza rughe né acciacchi, divenuti ex giocatori, bollati come infami.
Perché lo hanno fatto? Sono centinaia gli atleti indagati per le combine del pallone: si va da ex nazionali a onesti muscolari della cadetteria, fino a mestieranti assaliti dalla paranoia del dilettantismo. In ogni caso c’era di che campare senza gettarsi nelle braccia degli Zingari, almeno in teoria.
Alcune biografie sconfinano nel patologico. Per esempio Beppe Signori, nono marcatore di sempre in Serie A, secondo cui un Buondì Motta senza marmellata mangiato in meno di trenta passi valeva un milione di lire. Non è l’unico scommettitore incallito: per Marco Paoloni, portiere della Cremonese che scoperchiò il pentolone dopo aver quasi ammazzato i compagni con del sonnifero nel loro tè caldo, «il 99% dei calciatori scommette». Lui perse 500 mila euro in tre anni, all’epoca ne guadagnava 20 mila al mese. Condivide il personalissimo breaking bad con Carlo Gervasoni, reo confesso di 12 partite truccate nonostante un ingaggio da 100 mila euro all’anno. Barava «per fare la bella vita e per l’adrenalina».
O Alessandro Zamperini, sacrificato sull’altare mediatico per il flirt con Nicole Minetti e per il conto in banca dei genitori titolari di due stabilimenti a Fregene, che non gli impedì di mettersi nei guai. Fino a Filippo Carobbio, l’accusatore di Antonio Conte, che prendeva 10 mila euro a biscotto e ogni volta si diceva che era l’ultima.
I loro volti sono noti, masticati dai giornali per mesi. Ma al loro fianco, sul banco degli imputati, si sono seduti decine di giocatori. Squalificati, licenziati, da reinventare. Le inchieste sui flussi anomali di partite in Serie D e Lega Pro sono numerose, a fine anno le sfide accomodate sono ormai prassi consolidata.
I tesserati si accordano per vendere i risultati e per scommettere a loro volta tramite prestanome, come un anno fa dimostrò l’inchiesta Dirty Soccer della Dda di Catanzaro. Il brivido di chi passeggia per il lato oscuro e la mancanza di saldi anticorpi contribuiscono, ma in molti casi ad alzare la sbarra è una umana ansia di futuro. Ogni estate scatta la caccia a un nuovo contratto e, Dio ci scampi dagli infortuni, a 35 anni è tutto finito. Nel frattempo la vita degli adulti è già iniziata: ci sono moglie e figli, che costano. C’è da pensare a un’attività, magari un bar, c’è da costruire la casa in paese. Cinque mila euro al mese sembrano tanti, ma non sono infiniti. Uno svarione al limite dell’area, come se fosse il primo, ne vale il doppio. Solo che poi ci si prende gusto e si diventa ricattabili, nell’ambiente gira la voce. Allora non ti chiama più l’ex compagno di squadra, ma uno con il tono sgarbato. E magari ti beccano, così pensi a quanto sei stato scemo e ti vorresti prendere a pugni. A parlare è sempre la stessa voce: non la coscienza, il mutuo.