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 2016  giugno 11 Sabato calendario

NEL FIOR FIORE DELL’OLANDA


La tentazione è forte, ma paragonare Aalsmeer a Wall Street sarebbe un errore. All’asta botanica di questo paesino a 5 chilometri da Schiphol, l’aeroporto di Amsterdam, vengono acquistati e venduti il 60% dei fiori di tutto il mondo (12 miliardi e mezzo l’anno), con un giro d’affari enorme (9 milioni di euro al giorno, 4,5 miliardi l’anno). Qui si fissano i prezzi di mercato, mentre una campanella sancisce l’inizio e la fine delle contrattazioni.
Eppure tutto questo, malgrado le apparenze, ha poco in comune con una Borsa tipo quella di New York. Oltre al paesaggio (niente grattacieli e metropolitane, ma fattorie di mattoni e chiatte che avanzano sonnecchianti sui canali alla volta di Amsterdam) è diverso lo spirito. Per chi lavora ad Aalsmeer fare soldi è sacrosanto ma “all’olandese”, tenendo presente il benessere della collettività prima di quello dei singoli: tant’è che l’istituzione che governa quest’impero verde - la Royal Flora Holland - è una cooperativa.
«Non siamo qui per generare profitti, ma per reinvestire i guadagni in ricerca e sviluppo per i nostri 4500 membri», dice il General Manager Lucas Vos, maniche di camicia, viso e sguardo appuntito ma sorriso facile, comprovato mago della logistica globale (è approdato ai fiori dopo aver abbandonato un incarico al top del gigante del trasporto cargo Maersk di Copenhagen). «Siamo i garanti della qualità del prodotto e del suo prezzo: ci assicuriamo che le cifre offerte nelle contrattazioni siano eque e diano un utile degno a chi coltiva. Altrimenti il guadagno veloce del singolo si trasformerebbe in una disfatta per il sistema». Ovvio. Se qualcuno lo avesse spiegato ai lupi di Wall Street, prima che diventassero tali, forse ora non saremmo dove siamo. Ma quella è un’altra storia. Per riuscire in questo settore, poi, serve un acume commerciale molto diverso rispetto a quello delle attività di borsa tradizionali. «Bisogna conoscere il lato “emotivo” dei paesi di tutto il mondo», spiega José Hougee, che da 18 anni accompagna i 100mila visitatori di Flora Holland nel ventre del gigante di Aalsmeer, il centro logistico grande quanto il principato di Monaco dove al posto delle macchine di lusso transita un’infinità di carrelli elevatori arancioni che producono un brusio simile a quello di un alveare. «Il giorno dopo la morte di Lady D., chi era al corrente della sua passione per i fiori bianchi ha fatto una fortuna. Chi sa che i bambini russi portano una rosa alla maestra al rientro dalle vacanze ne acquista in abbondanza il giorno prima a Mosca e provincia. Tutti sanno che San Valentino e l’8 marzo sono giorni clou, ma i fuoriclasse si ricordano della festa della mamma in Spagna o che la Regina Elisabetta ama ricevere garofani per il compleanno».
Un’addetta allo stoccaggio Le giornate ad Aalsmeer durano quasi 24 ore. I fiori arrivano dal tardo pomeriggio alle 4 del mattino. Il 70% via terra, dai vari coltivatori locali (l’Olanda immette ancora sul mercato il 52% della produzione mondiale), e il 30% via aerea, principalmente da Colombia, Ecuador e Kenia. Ogni venditore è responsabile per la creazione di un file elettronico che contiene tutte le informazioni sul prodotto, inclusa la sua valutazione qualitativa. «Barare è controproducente», spiega Vos. «I furbetti vengono immediatamente smascherati dai controllori, che analizzano campioni a caso, o dagli acquirenti. E il suo livello di affidabilità scende, con conseguenze immaginabili. La fiducia è un valore imprescindibile». Tutte le specie di fiori e piante che transitano da Aalsmeer, prima di essere ammesse passano una settimana nell’area test, dove vengono sottoposte a simulazioni di trasporto per 4 giorni (sballottate in contenitori a 6 gradi) e di vendita per 3 (abbandonate a se stesse a 20 gradi).
Quest’attenzione maniacale per la qualità e la trasparenza è fondamentale soprattutto oggi, visto che l’immagine romantica della stanza con i petali da toccare e il profumo che impregna l’aria, appartiene a un immaginario che non esiste più da anni. Le aste, infatti, avvengono in stanze che sembrano aule di università, dove ogni compratore ha il suo computer, e decide gli acquisti visionando immagini (scattate al momento della consegna). Volendo, potrebbe farlo anche da casa. «La maggior parte preferisce comunque venire qui, anche se significa svegliarsi presto: l’asta apre alle 6 e finisce alle 10», dice Vos. «Il contatto umano, i consigli, la possibilità di assistere alle aste anche senza comprare: questo dà agli acquirenti il termometro del mercato. Senza contare che chi vuole toccare con mano le piante può arrivare alle 4 e fare un giro in magazzino». L’asta dei fiori funziona al contrario, con il prezzo che si muove al ribasso. È il sistema detto “dell’orologio”, dove su uno schermo gigante appare un quadrante con l’immagine del fiore e la cifra richiesta, che scende finché qualcuno non la blocca. Verrebbe da pensare che un sistema del genere rallenti le procedure (più si aspetta, meno si paga). Invece è vero il contrario.
«Il nemico numero uno della qualità di un fiore è il tempo. Prima viene venduto all’asta, prima può partire per la sua destinazione finale», aggiunge José. «E poiché la discesa del prezzo è velocissima, premere il pulsante subito significa aggiudicarsi il prodotto: aspettare è un rischio». Vedere i compratori in azione (attentissimi, a capo chino, con il polpastrello pronto) fa girare la testa. Ogni acquisto non dura mai più di qualche secondo e il passaggio da un prodotto all’altro non è facile da cogliere per i non addetti ai lavori. «Il tempo è la variabile più importante del nostro lavoro», conferma Jonas van Stekelenburg a capo dei servizi cargo dell’aeroporto di Schiphol. Tutta la logistica dei fiori di Aalsmeer, dal momento in cui atterrano fino allo smistamento, è sotto la sua responsabilità. I numeri sono da capogiro: trenta Boeing 747 trasportano 80 milioni di fiori alla settimana e tengono occupato almeno 6000 persone nell’aeroporto. «Siamo una macchina da guerra», dice van Stekelenburg che quando sorride ricorda il premier inglese David Cameron, in versione bionda. «Le compagnie aeree (soprattutto KLM e la sua partner Martinair) caricano i fiori in Colombia, Ecuador, Kenia e li trasportano a una temperatura rigorosamente controllata di 4°C. Quando atterrano i nostri doganieri sono in grado di gestire la parte burocratica e di controllo sicurezza in velocità e i fiori arrivano ad Aalsmeer (o sui camion per le vendite dirette) nel giro di una, due ore massimo, senza subire traumi».
In quest’oliatissimo universo, gli olandesi fanno la parte del leone anche quando si parla di estero e non solo per la logistica: i grandi produttori di rose in Kenia o in Colombia sono coltivatori emigrati dai Paesi Bassi negli anni 80, in cerca di situazioni per le loro coltivazioni. In totale, i lavoratori impiegati nella filiera sono circa 250mila. Qualcosa, però, sta cambiando. «La produzione è sempre più internazionalizzata e il ruolo dei Paesi Bassi sta diminuendo», ammette Vos. «In più un numero sempre crescente di coltivatori vende direttamente ai grandi retailers: i supermercati, i department store. E questo riduce l’importanza dell’asta come sistema di determinazione dei prezzi». La “colpa”, come al solito, è della rete. «Oggi è molto più semplice per gli acquirenti di tutto il mondo mettersi in contatto con i venditori e le vendite avvengono online», continua Vos. L’asta, insomma, viene percepita da chi entra in questo business come un mezzo vetusto. «Noi pensiamo che abbia ancora la sua ragion d’essere, per esempio per garantire la qualità dei prodotti e per proteggere i coltivatori in tema di prezzi. Ma ovviamente ci stiamo muovendo per pensare al nuovo». Il piano cui Vos si riferisce è FloraHolland 2020, anno in cui l’associazione prevede di avere un nuovo tipo di asta già attivo («lo inventeremo parlando con venditori e compratori»), un sistema computerizzato per la condivisione di informazioni, richieste e proposte (l’equivalente digitale della pausa caffè durante le contrattazioni) e una strategia di marketing per aumentare del 20% la spesa globale per l’acquisto di fiori, invogliandoli con «prodotti nuovi, diversi, innovativi».
L’hangar di Aalsmeer Innovazione è una parola che può suonare strana quando si parla di natura. «Invece ha un ruolo fondamentale», dice la professoressa Francesca Quattrocchio, ricercatrice dello Swammerdam Institute for Life Sciences dell’Università di Amsterdam, «perché nell’orticoltura ci sono tendenze, gusti collettivi, mode di cui tenere conto. Ma è anche possibile generarle, immettendo sul mercato prodotti nuovi». Insieme al marito, il professor Ronald Koes, Francesca studia le leggi genetiche che regolano le fasi iniziali dello sviluppo dei fiori, come la formazione di gruppi di cellule e i processi che portano alla differenziazione di quelle pigmentate. «Alcune delle nostre scoperte sono interessanti per i coltivatori e ci permettono di creare degli spin off utilissimi anche per il sostegno economico delle nostre ricerche». Un esempio sono le rose blu. Quelle che si trovano sul mercato sono specie bianche spruzzate di colore. Nel 2009, però, il gruppo di ricercatori coordinato da Quattrocchio è riuscito a modificare geneticamente il gene che produce il pH5: se si diminuisce l’acidità del petalo, la sua colorazione vira naturalmente verso il blu. In Australia e in Giappone vanno a ruba. «Da noi, invece, non possono essere prodotte né vendute», dice. «Ci sono regole molto severe in Europa per quanto riguarda le piante transgeniche. Ma solo lavorando in queste modalità è possibile ottenere varietà nuove, più belle e forti ma anche controllate, progettate in partenza. Paradossalmente, agire sui trapianti seguendo i metodi tradizionali degli innesti costa molto di più dell’OGM, perché il tempo per ottenere risultati simili (mai uguali) è infinitamente più lungo». Tutto questo potrebbe avere conseguenze negative sul mercato dei fiori olandesi. «Pochi produttori - che sono spesso ancora piccole aziende a gestione familiare - possono permettersi di fare ricerca. E sempre di più si associano in gruppi, per riuscire a raccogliere i capitali da investire in ricerca e sviluppo». Perché non è con il protezionismo, arroccandosi nel passato o anche solo facendo leva sullo straordinario know-how del suo aeroporto (primo al mondo per il trasporto di specie botaniche) che l’Olanda riuscirà a mantenere il proprio primato.