Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 15 Mercoledì calendario

L’ERBA– [WIMBLEDON]


Il manto erboso, curato e tagliato fine, è un’invenzione inglese. I primi prati spuntarono all’inizio del XVII secolo, nelle vaste tenute dei ricchi proprietari terrieri, come un segno che il proprietario potesse permettersi di possedere della terra senza bisogno di costruirvi, né di coltivarla. Eppure di certo il prato – la forma che assunse – arrivò a indicare qualcosa in più, perfino all’epoca di Re Giacomo. Qui il verde portava rassicurazione: un luogo con un suolo ricco a sufficienza, acqua, quasi nessun rischio di carestia. Portava serenità: il verde tappeto ondulato, che si apriva sotto colline, tramonti, panorami. Qui era un campo seminato con l’accenno dell’idea che la natura potesse essere trasformata – potesse essere resa un’espressione del non necessario, di bellezza, di cultura e quindi trascesa. Qui la vista si apriva sul tempo libero.
Di certo fu in questo modo che il prato fu inglobato nella vita della società inglese. Ci si sarebbe passeggiato sopra, ci si sarebbero fatti pic-nic, ci si sarebbe giocato a palla e anche a golf, e non soltanto la classe aristocratica, ma anche l’emergente borghesia. A metà del XIX secolo arrivò la mania del croquet. E non molti anni più tardi, nel 1873, un Maggiore inglese, Walter Clopton Wingfield, progettò e brevettò un gioco a cui diede il nome di Sphairistike (dal greco “abilità nel giocare la palla”), che riuniva in sé molti altri sport – inclusa la pallacorda – e che era studiato per giocarsi proprio in quelle parti di prato che i vittoriani avevano destinato al croquet. Lo sport creato da Wingfield si chiamò, infine, semplicemente tennis. Uno dei circoli che trasformarono i primi prati da croquet in veri e propri campi da tennis fu l’All England Club, fondato nel 1868 su quattro acri di prato, a sud del Tamigi e lontano dal caos londinese, nel villaggio di Wimbledon. Entro il 1877 i membri del Club, travolti dal nuovo gioco di Wingfield, rimisero mano alle regole, e organizzarono il primo torneo. Il tempo libero era cambiato. Ai Championships, come vennero chiamati, la maggior parte delle persone se ne stava seduta in piedi a guardare un piccolo gruppo di prescelti sfidarsi l’uno con l’altro, con ardore ed eleganza. Mano a mano che il tennis si sviluppava, e il gioco aumentava in rapidità e potenza, i prati di Wimbledon diventarono, per i partecipanti, sempre più ostici: scivolosi, pieni di zolle, di ostacoli. Per gli spettatori più devoti, quei prati si trasformarono in uno dei simboli più iconici: distese erbose che richiamavano la pura estetica del tennis, il più bello tra tutti gli sport.

Gli psicologi dicono che il verde sia il più “riposante” dei colori, il più “facile” per l’iride, che deve lavorare molto poco per assorbirlo. Forse è per questo che quando guardo una partita a Wimbledon sono meno agitato che in altri luoghi. Non mi muovo in continuazione avanti e indietro, le mie gambe sono calme, la penna rimane salda nella mano – a differenza di quello che accade in molti altri stadi. E mi sento più assorbito non solo nel guardare la partita, ma nella capacità di osservazione: mi accorgo di come il verde dell’erba muti tonalità durante il giorno, ad esempio. A mezzogiorno, se il cielo è sgombro di nuvole, il verde del Centre Court ingiallito dalla potenza del sole ricorda il colore dello Chartreuse. Sul finire del giorno, invece, si scurisce come un pino, o persino di più, come ho osservato una sera di molti anni fa sul nuovo No.2 Court (un piccolo stadio da 4.000 spettatori, la dimensione perfetta per tenere in equilibrio spettacolo e intimità). Era una partita del secondo turno. Juan Martín Del Potro contro Olivier Rochus. Iniziò soltanto alle 7 di sera. Dopo un primo set combattuto, il match si trasformò in un massacro (6-7, 6-1, 6-0, 6-4), e mentre i miei occhi vagavano dall’erba al cielo violaceo del crepuscolo – più interessante ormai del tennis – mi ritrovai a immaginare come Constable avrebbe dipinto tutto questo. Quando i giocatori, a rete, si strinsero la mano, il verde dell’erba era quello della foresta più fitta.

Sotto una luce normale, l’erba di Wimbledon sarebbe color “smeraldo”. È al cento per cento della specie Lolium Perennae, di aspetto compatto, adatta a climi freddi. Il Club, prima, utilizzava un mix di Lolium e Red Fescue (che, naturalmente, è verde e non rossa), ma le cose sono cambiate 15 anni fa. Il motivo del cambiamento è oggetto di discussione, e lo stesso si può dire del risultato: l’attuale Lolium permette un gioco più lento del precedente mix, e c’è almeno un video che dimostra come la pallina rimbalzi più in alto sul Lolium puro (tra parentesi: le palle utilizzate a Wimbledon sono trattate per resistere alle macchie del prato. La prova è sulla mia scrivania: una sfera perfettamente gialla, usata nei Championships del 2011). La nuova erba avvantaggia i giocatori che usano l’impugnatura di tipo “Western” per il diritto con cui è difficile affrontare i colpi più bassi), ma svantaggia chi usa il rovescio a una mano (con cui è difficile affrontare i colpi più alti). Per dirla in un altro modo: la nuova erba ha avvantaggiato Rafael Nadal, e messo in difficoltà Roger Federer, nell’epico testa a testa del 2008. Almeno, così vi direbbe un fervente adepto di Federer. Probabilmente, verde d’invidia.
A differenza di un campo in cemento (ricoperto di acrilico), o di un campo in terra rossa (in realtà non è vera terra, ma cemento ricoperto di un sottile velo di mattoni sbriciolati), un campo in erba è vivo. Sprigiona un profumo dolce, ed emette un suono particolare, una sorta di sommesso mormorio, quando è colpito da una palla veloce e con un certo spin. Mi sono trovato immerso in tutto questo – la vitalità dell’erba – un mattino di cinque anni fa, guardando Serena Williams allenarsi sul Campo 15, uno dei più esterni. C’era una pioggia leggera ma insistente, io me ne stavo seduto in silenzio con un’altra dozzina di spettatori, molti dei quali tenevano gli ombrelli aperti sulle loro teste. C’è, per il devoto del tennis, qualcosa di particolare nel guardare un grande giocatori allenarsi qualcosa di amichevolmente intimo, e furtivo insieme. È qualcosa in cui siete immersi tu e il giocatore, e che non possono provare gli spettatori che vanno solo agli incontri né quelli davanti alla tv.

L’erba era troppo bagnata perché Serena giocasse con un partner, come da programma. Serena stava sulla linea di fondo, e batteva, ancora e ancora il miglior servizio del tennis femminile e, bisogna dirlo, un movimento più elegante della maggior parte del circuito Atp maschile. Senza l’espressione feroce della partita, sembrava particolarmente bella – zigomi alti; occhi larghi; un sorriso grande e rilassato. E la presenza dell’erba fresca, intensificata dalla pioggia e dall’umidità, era inebriante. A un certo punto ho chiuso gli occhi, concentrandomi sul suono e il profumo. L’aroma dolce dell’erba era reso più penetrante dalle gocce, il sibilo prolungato, soprattutto in occasione di una palla tagliata. Era una sensazione di tennis purissimo, ho pensato, ma che era sempre meno parte di esso. Sempre meno persone si trovano a giocare su un campo in erba. E la stagione dell’erba per i giocatori professionisti dura soltanto un mese o poco più una manciata di piccoli tornei (Queens, Hertogenbosch, Halle, Eastbourne) prima delle due settimane di Wimbledon.

Il tennis oggi è uno sport globale, certo, e giocato soprattutto in luoghi – o in periodi dell’anno – in cui l’erba non è di casa. E anche dove l’erba potrebbe crescere ed essere usata come superficie per un campo, richiede troppo lavoro e troppe spese per essere mantenuta. Nella settimana successiva alla fine del torneo di Wimbledon, gli “show courts” – utilizzati soltanto per i Championships – sono spogliati di tutto ciò che vi cresce. Vengono nuovamente seminati, il terreno è fertilizzato, e i campi coperti. In inverno, ci si prende cura dell’erba, lasciata crescere a circa 13 millimetri. Con la primavera viene gradualmente accorciata, così che con l’arrivo del torneo è perfettamente allineata a 8 millimetri.

Ventotto giardinieri irrigano i campi ogni notte durante Wimbledon. L’erba viene tagliata quotidianamente e, se capita un periodo piovoso, anche due volte al giorno. Poi, alla fine della prima settimana di gioco – il “Middle Sunday” – i campi vengono chiusi. È una cosa che può sembrare folle alle produzioni televisive e agli spettatori: niente tennis proprio nel giorno in cui c’è più tempo per guardarlo?! Ma i campi devono respirare. I giardinieri lavorano furiosamente per rimetterli in ordine, spianando zolle e frammenti e riempiendo di nuovo al meglio le linee di fondo. Camminare nell’All-England Club durante il Middle Sunday ci fa ricordare che il verde che amiamo non è artificiale, e che dovremmo prenderci cura, e non solo giocarci sopra, della terra sotto i nostri piedi.