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 2016  giugno 13 Lunedì calendario

IL CASO CONSOB SPIEGATO BENE

E’ arrivato dalla politica. E ha dato, fin dai primi mesi del suo lavoro, un’impronta politica alla Consob. Sta terminando il mandato gravato da polemiche politiche, e in dialettica spinta con il collegio dei commissari, tornato a farsi sentire dopo gli anni di formazione ridotta a tre membri. Giuseppe Vegas lascerà, comunque vadano le cose, un’istituzione con profonde necessità di rinnovamento. "Da rifondare", dicono più enfaticamente alcuni osservatori, in contatto con elementi del governo, che tuttavia in questa fase ha altre priorità che non muovere le acque in un’Authority attiva su materie delicate, prima tra tutte l’informazione ai risparmiatori.

Sembra un karma quello "politico" di Giuseppe Vegas, presidente della Commissione nazionale per le società e la Borsa: quando il 18 novembre 2010 fu designato dal Consiglio dei ministri continuò a partecipare ai lavori della Camera, compreso un voto di sfiducia al governo Berlusconi il 14 dicembre, poiché le sue dimissioni da parlamentare del Popolo della Libertà e viceministro dell’Economia erano calendarizzate qualche giorno dopo. Uno dei suoi primi atti da presidente, nel marzo 2011, fu proporre un piano di incentivi per aumentare le quotazioni di matricole a Piazza Affari; progetto con forte risonanza politica.

Poi sono cominciati i dossier "caldi". Come la scalata Unipol a Fondiaria-Sai, per cui il presidente aveva suscitato critiche per certi atteggiamenti poco istituzionali (anche dall’allora
commissario Michele Pezzinga). O come la crisi di Mps, su cui Consob s’è ostinata a coprire la patacca dei derivati Alexandria - congegnati nel 2009 per occultare perdite ma che ha finito per moltiplicarle - lasciati contabilizzare fino al 2014 come titoli di Stato, salvo che frattanto gli azionisti della banca senese hanno visto bruciare ricapitalizzazioni per quasi 10 miliardi. Nella parte centrale del settennato Vegas ha imposto un suo stile accentratore e personale alla vita interna e ai dossier su cui l’Autorità doveva esprimersi. Una modalità resa possibile anche dalla negligenza degli esecutivi di Mario Monti e di Enrico Letta, che nei loro tre anni di governi non hanno rimpiazzato i commissari in scadenza, con l’effetto di azzoppare la Commissione lasciando a Vegas un ruolo preponderante nel collegio: in caso di stallo il voto del presidente conta doppio; inoltre lo statuto interno assegna al presidente ampie discrezionalità, come convocare riunioni non precedute da attività preparatorie, o decidere "per le vie brevi", come attesta la lettera diffusa da Report in cui emerge l’archiviazione silenziosa degli "scenari probabilistici" di investimento sui bond.

Quello che ha fatto più rumore, dentro l’opinione pubblica e l’esecutivo, è certo la scarsa trasparenza nel diffondere i principi del salvataggio interno delle banche, entrati in vigore nel gennaio 2016 ma approvati da Bruxelles quasi tre anni prima. Il governatore della Banca d’Italia si è spesso lamentato - con argomenti della mancata esenzione dal bail-in dei prestiti bancari subordinati già emessi, che si sono visti gravare rischi ignoti al momento della sottoscrizione. Ma perché la vigilanza bancaria e quella dei mercati (nelle mani di Consob) non hanno imposto alle banche emittenti di spiegare per tempo i nuovi rischi, noti fin dal 2013? Né Vegas, né Visco hanno mai fatto ammenda a riguardo. Resta il fatto che, proprio nella stessa fase, le banche domestiche acceleravano nella vendita di subordinati agli sportelli: circa 70 miliardi di euro, senza cui diverse banche patrie avrebbero esaurito la dotazione patrimoniale. Ma come si è visto poi sui listini poi, quei titoli si sono deprezzati anche a doppia cifra percentuale, o addirittura - è il caso di Banca Marche, Etruria, Cariferrara e Carichieti - si sono azzerati. I loro prospetti "erano stati redatti nel rispetto delle regole di trasparenza previste", ha dichiarato il presidente della Consob nell’ultima relazione annuale. Salvo correggere il tiro poco dopo: "Erano troppo lunghi e complessi per potere essere letti e pienamente compresi. Un eccesso di informazioni equivale quasi sempre a una carenza di informazioni".

Poche settimane dopo - siamo al presente - Consob ha autorizzato la pubblicazione del prospetto più lungo (e forse più rischioso) della storia della finanza italiana: le 1.114 pagine per convincere/dissuadere a sottoscrivere la ricapitalizzazione da un miliardo di Veneto Banca. Quando l’aggiunta di informazioni di rischio dava diritto di recesso agli investitori, come nel caso del bond Banca Etruria del dicembre 2013, Consob strinse i tempi al minimo di legge: appena due giorni per riavere i soldi indietro, e si era sotto Natale.

Sulle vendite di subordinati al dettaglio, in diversi casi violando la direttiva Mifid, le banche italiane hanno fatto molti errori da quegli anni e Consob non ha aiutato a disvelarli quando, ancora nel luglio 2015, ha stilato un elenco di strumenti finanziari complessi che, malgrado una raccomandazione ad hoc dell’Esma che raggruppa le autorità di mercato europee, non includeva la tipologia dei "subordinati", quei bond chiamati prima degli altri (i senior) a pagare le perdite di chi li emette. Anche su queste premesse Matteo Renzi ha ritenuto, lo scorso dicembre, di privare Consob di una sua funzione e individuare l’arbitro dei rimborsi degli obbligazionisti delle quattro banche tra "persone di comprovata imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità". Che in breve sono state individuate nell’Anac di Raffaele Cantone.

L’ultimo dissidio in ordine di tempo vede le associazioni di consumatori e decine di economisti e accademici tacciare la Commissione di aver indebitamente dissuaso dal pubblicare gli "scenari probabilistici" dai prospetti degli investimenti più rischiosi. E’ un caso molto tecnico e che si presta a strumentalizzazioni, anche favorito da numerosi cambiamenti di regolazione a livello comunitario. Di certo a Vegas le attualizzazioni che cercano di prevedere le chance di guadagnare e di perdere non piacciono: ha depotenziato l’ufficio analisi quantitative interno che se ne occupava e, senza mai abrogare gli "scenari", ha messo loro la sordina, in ciò favorito da sopraggiunte contrarie disposizioni europee. Non piacevano neanche a Giulio Tremonti, il "suo" ministro del Tesoro, fiero critico degli scenari di probabilità perché li giudicava un tentativo di legittimare i derivati, che considerava invece "una follia finanziaria".

Tuttavia il modo in cui Vegas ha espunto gli "scenari" dai prospetti dei bond italiani è piaciuto a pochi. Giorni fa alcuni suoi commissari hanno chiesto di chiarire, e ottenuto, con votazione favorevole quattro contro uno, di convocare una Commissione ad hoc, che dovrebbe svolgersi questa settimana. Indipendentemente dagli esiti, va notato che la questione è una delle prime che vede ricomporsi il Collegio, per anni monco e ricomposto dal governo Renzi che l’anno scorso ha nominato Anna Genovese, e quattro mesi fa il magistrato Giuseppe Maria Berruti e l’ex vice dg di Assonime, Carmine Di Noia. Il plenum ritrovato tra i commissari sta creando nuove chimiche dentro la Consob, e ha riequilibrato la "monocrazia" degli anni scorsi. Ma l’autonomia del cane da guardia è un valore, e non è detto che la "spallata" andrà fino in fondo. Tre banchi di prova si avvicinano: la doppia opa su Rcs; il recepimento entro il 2016 della direttiva sulle informazioni chiave da inserire nei prospetti, che potrebbe portare al superamento degli "scenari probabilistici" in favore del metodo "what if", per cui il venditore costruisce a sua discrezione tre opposti scenari di rendimento, e li segnala al compratore; l’integrazione di Francesca Amaturo, segretaria di Vegas da lui a suo tempo promossa dirigente senza fare un concorso, suscitando un’inchiesta penale su cui la procura romana ha chiesto l’archiviazione. Ma il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima la stabilizzazione della dirigente, e giorni fa in Commissione è passata la linea di chiedere un parere all’Avvocatura dello Stato, non ai legali della Consob come il presidente chiedeva. Il rischio è che l’ultima fase della gestione Vegas trascorra tra veti, sgambetti e tentativi di accreditarsi interpretando la volontà politica prevalente. Lasciando un cumulo di macerie su cui si dovrà rifondare un organismo sfibrato dall’avere un corpus di regole basato su quelle originarie del 1974, un personale quasi scevro da esperienze esterne, un finanziamento delegato alle società vigilate, un’alta dirigenza statica che da anni o decenni occupa gli snodi chiave.